Lucia di Lammermoor

PALAZZO DEI CONGRESSI - STRESA

Settimane Musicali di Stresa e del Lago maggiore



Giovedì 25 agosto 2011, ore 20.00

Organizzato da Festival Settimane Musicali di Stresa e del Lago Maggiore
 collaborazione Comune di Stresa, Provincia

Gaetano Donizetti (1797 - 1848)
Lucia di Lammermoor

 Realizzazione in forma semi-scenica
Dramma tragico in tre parti di su libretto di SALVATORE CAMMARANO
Edizioni Casa Ricordi/Universal Music Publishing Ricordi srl

Nelle fotine:
 Franco Vassallo, Elena Mosuc, John Osborn
Riccardo Zanellato, Alessandro Liberatore, Arianna Vendittelli, Luca Casalin,
 

Lord Enrico Asthon - Franco Vassallo, baritono


Miss Lucia, di lui sorella - Elena Mosuc, soprano
Sir Edgardo di Ravenswood - John Osborn, tenore
Raimondo Bidebent, confidente di Lucia- Riccardo Zanellato, basso
Lord Arturo Bucklaw - Alessandro Liberatore, tenore
Alisa, damigella di Lucia - Arianna Vendittelli, soprano
Normanno, capo degli armigeri di Ravenswood - Luca Casalin, tenore
Coro di donne e cavalieri, congiunti di Asthon, abitanti di Lammermoor
Paggi, armigeri, domestici di Asthon

Ars Cantica Choir
Marco Berrini, maestro del coro
Stresa Festival Orchestra
Gianandrea Noseda, direttore

Scenografie realizzate dal Laboratorio di Scenotecnica nell'ambito dell'Accademia Musicale di Stresa - Corso 2011, a cura di Luca Tombolato: Elena Ajani, Ornella Banfi, Camilla Ferro, Flavia De Strasser, Nicole Figini, Ilaria Massi, Lorenzo Palazzolo, Yuri Punzo, Filippo Tadolini
Il Palazzo dei Congressi, sede storica del Festival, è situato nel centro di Stresa, a pochi passi dalla stazione ferroviaria e da tutti i maggiori alberghi e ristoranti.


Atto I -- Atto II -- Atto III


Seguono immagini della serata:

 


L’avvenimento ha luogo in Iscozia, parte nel castello di Ravenswood, parte nella rovinata Torre di Wolferag – L’epoca rimonta al declinare del secolo XVI.

NORMANNO, CORO

Percorrete le spiagge vicine

CORO
Percorriamo
Della torre le vaste rovine:
Cada il velo di sì turpe mistero
Lo domanda... lo impone l’onor.
Fia che splenda il terribile vero
Come lampo fra nubi d’orror!


NORMANNO
Tu sei turbato!
(accostandosi rispettosamente ad Enrico)

ENRICO
E n’ho ben donde. Il sai:
Del mio destin si ottenebrò la stella...

Intanto Edgardo... quel mortal nemico
Di mia prosapia, dalle sue rovine
Erge la fronte baldanzosa e ride!

Sola una mano raffermar mi puote
Nel vacillante mio poter...
Lucia Osa respinger quella mano!...
Ah! suora Non m’è colei!

RAIMONDO
(in tuono di chi cerca di calmare l’altrui collera)
Dolente Vergin, che geme sull’urna recente
Di cara madre, al talamo potria
Volger lo sguardo? Ah! rispettiam quel core
Che per troppo dolor non sente amore.

NORMANNO
Non sente amor! Lucia D’amore avvampa.

ENRICO
Che favelli?...

RAIMONDO
(Oh detto!)

NORMANNO
M’udite. Ella sen gìa colà, nel parco
Nel solingo vial dove la madre
Giace sepolta: la sua fida Alisa
Era al suo fianco... Impetuoso toro
Ecco su lor s’avventa...
Prive d’ogni soccorso,
Pende sovr’esse inevitabil morte!...
Quando per l’aere sibilar si sente
Un colpo, e al suol repente
Cade la belva.

ENRICO
E chi vibrò quel colpo? Io fremo! Né tu scovristi il seduttor?...

NORMANNO
Sospetto Io n’ho soltanto. E' tuo nemico.

ENRICO
Esser potrebbe!... Edgardo?

ENRICO
Cruda... funesta smania
Tu m’hai destata in petto!...
È troppo, è troppo orribile
Questo fatal sospetto!
Mi fe’ gelare e fremere!...
Mi drizza in fronte il crin!
Colma di tanto obbrobrio
Chi suora mia nascea! –
Pria che d’amor sì perfido
(con terribile impulso di sdegno)
A me svelarti rea,
Se ti colpisse un fulmine,
Fora men rio destin.


CORO
Come vinti da stanchezza
Dopo lungo errar d’intorno...



ENRICO
La pietade in suo favore
Miti sensi invan ti detta...
Se mi parli di vendetta
Solo intender ti potrò. –
Sciagurati!... il mio furore
Già su voi tremendo rugge...
L’empia fiamma che vi strugge
Io col sangue spegnerò.


LUCIA
Ancor non giunse!...

ALISA
Incauta!... a che mi traggi!...
Avventurarti, or che il fratel qui venne,
È folle ardir.

LUCIA
Quella fonte mai
Senza tremar non veggo...

Ah! tu lo sai.
Un Ravenswood, ardendo
Di geloso furor, l’amata donna
Colà trafisse: l’infelice cadde
Nell’onda, ed ivi rimanea sepolta...

M’apparve l’ombra sua...

ALISA
Che intendo!...

 

LUCIA  Ascolta.

Regnava nel silenzio
Alta la notte e bruna...
Colpìa la fonte un pallido
Raggio di tetra luna...
Quando sommesso un gemito
Fra l’aure udir si fe’,
Ed ecco su quel margine
L’ombra mostrarsi a me!

Qual di chi parla muoversi
Il labbro suo vedea,
E con la mano esanime
Chiamarmi a sé parea.
 

Stette un momento immobile
Poi rapida sgombrò,
E l’onda pria sì limpida,
Di sangue rosseggiò! –

ALISA
Chiari, oh ciel! ben chiari e tristi
Nel tuo dir presagi intendo!
Ah! Lucia, Lucia desisti
Da un amor così tremendo.

LUCIA
Io?... che parli!
Al cor che geme
Questo affetto è sola speme...
Senza Edgardo non potrei
Un istante respirar...

Egli è luce a’ giorni miei,
E conforto al mio penar

Quando rapito in estasi
Del più cocente amore,
Col favellar del core
Mi giura eterna fe’;

Gli affanni miei dimentico,  Gioia diviene il pianto...
 

Parmi che a lui d’accanto

Si schiuda il ciel per me!

ALISA
Giorni d’amaro pianto Si apprestano per te!

Egli s’avanza...  La vicina soglia Io cauta veglierò.


EDGARDO
Lucia, perdona Se ad ora inusitata
Io vederti chiedea: ragion possente
A ciò mi trasse.
Pria che in ciel biancheggi
L’alba novella, dalle patrie sponde Lungi sarò.

EDGARDO
Pe’ Franchi lidi amici
Sciolgo le vele: ivi trattar m’è dato
Le sorti della Scozia.
Pria di lasciarti
Asthon mi vegga... stenderò placato
A lui la destra, e la tua destra, pegno
Fra noi di pace, chiederò.

LUCIA
Che ascolto!... Ah! no... rimanga nel silenzio avvolto Per or l’arcano affetto...

EDGARDO
(con amarezza)
Intendo! – Di mia stirpe Il reo persecutore
Dei mali miei .. Ancor pago non è!
Mi tolse il padre... Il mio retaggio avito
Con trame inique m’usurpò...

Né basta? Che brama ancor? che chiede
Quel cor feroce e rio?
La mia perdita intera, il sangue mio? Ei mi abborre...

EDGARDO
M’odi, e trema.
Sulla tomba che rinserra Il tradito genitore,
Al tuo sangue eterna guerra
Io giurai nel mio furore:
Ma ti vidi...in cor mi nacque
Altro affetto, e l’ira tacque...
Pur quel voto non è infranto...
Io potrei compirlo ancor!

LUCIA
Deh! ti placa...deh! ti frena...
Può tradirne un solo accento!
Non ti basta la mia pena?

Vuoi ch’io mora di spavento?
Ceda, ceda ogn’altro affetto;

Solo amor t’infiammi il petto...
Ah! il più nobile, il più santo
De’ tuoi voti è un puro amor!

EDGARDO
(con subita risoluzione)
Qui, di sposa eterna fede
Qui mi giura, al cielo innante.
Dio ci ascolta, Dio ci vede...
Tempio, ed ara è un core amante;
Al tuo fato unisco il mio
(ponendo un anello in dito a Lucia)
Son tuo sposo.

LUCIA
E tua son io.
(porgendo a sua volta il proprio anello a Edgardo)
A’ miei voti amore invoco.

EDGARDO
A’ miei voti invoco il ciel.

LUCIA, EDGARDO
Porrà fine al nostro foco Sol di morte il freddo gel...

EDGARDO
Separarci omai conviene.

LUCIA
Oh parola a me funesta! Il mio cor con te ne viene.

LUCIA
Ah! talor del tuo pensiero
Venga un foglio messaggiero,
E la vita fuggitiva
Di speranza nudrirò.

EDGARDO
Io di te memoria viva  Sempre o cara, serberò.

LUCIA, EDGARDO
Verranno a te sull’aura I miei sospiri ardenti,
Udrai nel mar che mormora
L’eco de’ miei lamenti...

Pensando ch’io di gemiti
Mi pasco, e di dolor.
Spargi una mesta lagrima
Su questo pegno allor.

EDGARDO  Io parto...

LUCIA  Addio…

EDGARDO  Rammentati! Ne stringe il cielo!...



 

 

La manipolazione della volontà dell’altro per raggiungere scopi personali e la delusione per la fiducia tradita sono gli elementi chiave di questa opera straordinaria.
Sveliamo l’enigma: l’altro è Lucia. L’interessato manipolatore è Enrico, suo fratello. Edgardo è l’innamorato deluso appartenente ad una famiglia rivale. Lucia promette fedeltà ad Edgardo ma viene costretta da Enrico a sottoscrivere un matrimonio d’interesse con il nobile e ricco Arturo. Nel momento in cui Lucia firma la promessa di matrimonio irrompe Edgardo con la famosa invettiva «Ah maledetto sia l’istante che di te mi rese amante» che è uno dei momenti indimenticabili nella storia dell’opera. Schiacciata dai sensi di colpa e dalla consapevolezza di non essere libera, Lucia uccide Arturo nella prima notte di nozze. Questo ulteriore senso di colpa la fa impazzire al punto tale da perdere la vita. Quando Edgardo viene a conoscenza dell’accaduto si uccide anche lui per incontrarsi nell’aldilà con la sua amata Lucia.
È una storia terribile che sembrerebbe appartenere esclusivamente al mondo dell’opera, ma è una storia che si ripete anche oggi: la delegittimazione dell’avversario, il sopruso che il potere spesso esercita sui più deboli, l’astuta manipolazione della realtà attraverso informazioni parziali e tanto altro ancora. Si scopre allora ancor di più che l’opera non è una forma d’arte da conservare in naftalina, ma una concreta opportunità che ci aiuta a pensare, a migliorare e ci stimola a costruire una società più accogliente, umana e dignitosa. [Gianandrea Noseda]

[tratto da http://www.stresafestival.eu/festival/festival_2011/lucia_di_lammermoor.html ]

«Voglio amore e amor violento»
Maggio 1835. La vena creativa di Donizetti è tanto impaziente che quando finalmente la Società dei Teatri di Napoli su sollecitazione del compositore autorizza Salvatore Cammarano a stendere il libretto della Lucia di Lammermoor la partitura è completata in poco più di un mese, infatti l’ultimo foglio ha la data “1835, luglio 6”. Il poema The Bride of Lammermoor di Walter Scott, con la sua intensa passione drammatica, è l’ispirazione ideale per il musicista, che desidera da sempre un personaggio come la protagonista. Lo stile dello scrittore scozzese, che si può tradurre efficacemente, contribuisce molto in quegli anni a diffondere all’estero il gusto romantico. Cammarano da parte sua semplifica in maniera ottimale la trama del romanzo (fa una drastica riduzione della famiglia Ashton, sorvola sulla complicata trama politico-religiosa) a vantaggio dell’azione che per Donizetti deve sempre essere rapida, ma conserva i dettagli importanti, infatti la vicenda risulta del tutto comprensibile e i conflitti sono presentati con chiarezza. Quanto il musicista è coinvolto nell’impeto, nella concitazione dei fatti e degli animi lo rivelano le sincopi, i silenzi, i dialoghi, ma anche la scrittura velocissima e nervosa dell’autografo.
Nasce così una delle più alte espressioni del melodramma romantico italiano, frutto di fusione ed equilibrio di drammaturgia e di musica, in particolare di purezza di canto: all’autore non serve altro che la scrittura vocale. Il clima creato da Scott è già di per sé romantico, sullo sfondo di uno paesaggio tenebroso, sinistro di una Scozia dall’atmosfera gotica rivisitata con gli occhi di Ossian e Hoffmann, la natura non è più una cornice da contemplare, ma uno scenario innervato dagli affetti e dalle azioni umane.
Donizetti non antepone una sinfonia all’opera, entra subito nel vivo dell’azione. Mistero e tragedia si sentono fin dai rintocchi cupi dei timpani nella tonalità funesta di si bemolle minore; di straordinaria efficacia far precedere da una sosta di angoscia pressante l’esplosione degli affanni del sestetto «Chi mi frena in tal momento». Il compositore tramuta in energia creativa la pietà che riserva a ogni gesto di Lucia. Da lei dipendono e traggono vita e azione gli altri personaggi, pur avendo Edgardo ed Enrico tratti originalissimi; soprattutto il primo, con una robusta voce tenorile caratterizzante la personalità dell’eroe romantico, la cui importanza è sottolineata dal fatto che a lui è affidata la scena finale, mentre il suo suicidio, invece che atto inconsulto, diventa donazione suprema di sé. Ma Lucia è sempre presente anche quando non appare sulla scena. Nel corso degli eventi i timbri che l’accompagnano cambiano: dapprima l’arpa, in seguito l’oboe, i violoncelli, infine il flauto, irreale nella sua fissità che evoca la follia. La sua parte non è occasione di sfoggio virtuosistico, anche quando è affiancata al flauto non è più lei che imita lo strumento, ma quest’ultimo la voce umana e comunque i vocalizzi del soprano smettono di essere sublimazione dei sentimenti per diventarne intensa e patetica espressione. La musica che l’accompagna, indipendentemente dagli sviluppi tragici è celestiale, elegiaca, dolente, smarrita; la pietas donizettiana toglie il peso della colpa all’omicidio della protagonista, il cui connotato musicale è sempre di purezza e innocenza. Ogni momento dell’opera avanza verso la follia, come l’evolversi di un male e il materiale musicale a volte è presentimento, altre ricordo e al culmine del delirio riaffiorano alla mente dell’infelice i momenti cruciali del suo destino, il primo incontro con Edgardo, la scena della fonte, l’inno di nozze, il giuramento, il canto d’addio. [Monica Rosolen tratto da

http://www.stresafestival.eu/festival/festival_2011/%C2%ABvoglio_amore_e_amor_violento%C2%BB.html
 

Atto I -- Atto II -- Atto III

 

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