|     | Vigevano seconda domenica di ottobre 
      
       
        
        Beato Matteo Carreri, Frate  Domenicano
 Festeggiato nella data canonica del  5 ottobre
 Nato a Mantova, 1420 - Morto a Vigevano, 5 ottobre 1470
 
 
        Frate Matteo nacque a Mantova nel 
        1420 e indossò l'abito Domenicano intorno al 1440. Quindi la storia 
        religiosa del Beato Matteo Carreri inizia quando entrò a 20 anni nel 
        convento della nativa Mantova.  
        Il culmine della sua vita 
        spirituale lo raggiunse proprio a Vigevano dove ancora in vita gli 
        furono attribuite miracolose conversioni e guarigioni. Visse e predicò 
        nel Convento di San Pietro Martire, dove morì il 5 ottobre 1470. 
         
 
        I vigevanesi (da lui considerati come 
        la "sua gente") sono da sempre molto legati al Beato Matteo a causa 
        degli innumerevoli miracoli compiuti a loro favore. Questa è la 
        riproduzione di una immaginetta realizzata dalla Parrocchia della 
        Madonna Pellegrina nel 1971 in onore del Beato Matteo. 
          
 Nel 1482 Papa Sisto IV permise la traslazione del suo corpo e la 
        commemorazione nei divini Uffici.
 Benedetto XIV nel 1742 concedeva all'ordine dei Domenicani l'ufficio e 
        la messa del Beato.
 Nel 1518, con pubblico decreto, la città di Vigevano lo elesse a suo 
        Protettore e, nel 1645, il suo corpo venne collocato in un'arca di ebano 
        e depositato nello scurolo appena costruito sotto l'altare maggiore 
        della Chiesa di San Pietro Martire di Vigevano, dove è ancora venerato 
        come patrono.
   Si rese celebre per la sua fervente 
        predicazione, il cui tema centrale era la Passione di Gesù. La sua voce 
        appassionata risuonò in Lombardia, Toscana, Liguria e Veneto, ottenendo 
        la conversione di innumerevoli peccatori e guidando sulla via della 
        perfezione molte anime tra cui la b. Stefana Quinzani. La sua carità fu tale che egli si offrì in schiavitù al posto di una 
        giovane donna.
   
        Gian Francesco Carreri, della 
        nobilissima famiglia Carreri, va annoverato tra i religiosi che più 
        strenuamente nel XV° secolo si affaticarono per la salute delle anime e 
        per la riforma dell’Ordine. Cambiò il suo nome di battesimo in Matteo.
           
        Etimologia: Matteo = dall'ebraico 
        significa uomo di Dio   
        "Da fanciullo sembrò un angelo 
        per la bellezza del corpo e per la bontà del cuore. Non gli mancarono 
        insidie e tentazioni, ma egli, con la grazia di Dio le superò tutte, 
        riportando completa vittoria. Desideroso di abbracciare la vita 
        religiosa chiedeva al Signore di fargli conoscere la sua volontà, e un 
        giorno, entrando nella chiesa di S. Domenico di Mantova, rimase così 
        soavemente colpito dalla devota salmodia dei frati, che subito decise di 
        entrare nell’Ordine dei Predicatori. Il suo noviziato fu uno dei più 
        ferventi, e spesso il Padre Maestro doveva moderarne l’eccessivo ardore. 
        La preghiera, lo studio, la penitenza furono i mezzi sicuri con cui si 
        preparò alla sua portentosa predicazione. La Lombardia e la Toscana 
        furono scosse dalla sua ardente parola e dai prodigi che 
        l’accompagnavano. Combatté senza posa la profanazione dei giorni festivi 
        e i divertimenti illeciti. Portò uno spirito nuovo nei vari conventi, 
        specialmente in quello di Soncino, in cui introdusse una riforma 
        completa. Curò molto il Terz’Ordine e vi fece sbocciare quel mirabile 
        fiore di santità, che fu Luchina da Soncino. Bramò di gustare, prima di 
        morire, qualche goccia della Passione del Salvatore, e l’ottenne. Il 
        Crocifisso gli apparve e, trapassandogli il cuore con un acuto strale, 
        lo assicurò del premio vicino. La sua morte, avvenuta il 5 ottobre 1470 
        a Vigevano, fu seguita da moltissimi miracoli. Il suo corpo è venerato 
        nella chiesa di San Pietro Martire. I vigevanesi nel 1482 hanno ottenuto 
        da Papa Sisto IV di celebrare la memoria liturgica e, nel 1518, lo hanno 
        proclamato Compatrono della città. Papa Benedetto XIV il 23 settembre 
        1742 ha confermato il culto."  (tratto da Franco 
        Mariani)     
        Iconografia: 
        Defendente Ferrari lo raffigura 
        in una tavola con Santi Giovanni Battista, Giacomo Maggiore, Ambrogio ed 
        il beato Matteo Carreri che da Vigevano sono transitate per Bosco 
        Marengo ed oggi si trovano in una illustre collezione privata. 
          
            
              |  | Il Beato 
                Matteo a Vigevano e i primi miracoli
 
                In 
                questo contributo in onore del Beato Matteo cerco di delineare 
                le motivazioni della venuta di frate Matteo Carreri a Vigevano, 
                basandomi sulla documentazione che ho potuto consultare. Ho 
                tenuto volutamente il tono di racconto, ma i riferimenti storici 
                sono autentici. Introduco subito uno dei protagonisti delle 
                vicende che vado a tracciare: Aliolo Gravalona. Questi era un 
                ricco mercante di stoffe, in particolare di "panni alti" o 
                pregiati, nella Vigevano della seconda metà dei Quattrocento. 
                Abitava in Contrada dei Mercanti (l'attuale Via Caduti 
                Liberazione), a due passi dalla chiesa di San Francesco 
                officiata dai "Minori" o Frati francescani conventuali, ai quali 
                accordava ragguardevoli elemosine. Ma quell'anno 1470, il 
                "quaresimale", ossia il ciclo di predicazioni in preparazione 
                alla Santa Pasqua, era programmato a livello comunitario nella 
                chiesa di San Pietro Martire tenuta dai Frati domenicani o 
                Predicatori, con l'attesa parola del rinomato frate Matteo 
                Carreri da Mantova, dei Gonzaga. E il nostro Gravalona dovette 
                dirottare alla chiesa dei Domenicani, sicuramente per dovere 
                cristiano, ma pure per necessità politica. Infatti, erano in 
                atto accesi scontri di parte. Lotte politiche
 Occorre ricordare che Vigevano, non ancora città (sarà tale 
                nel 1530), era "terra separata", ossia non soggetta né alla 
                detestata Pavia, né alla subdola Novara, né alla prepotente 
                Milano, ma rispondeva in modo diretto al solo Duca di Milano 
                che, al tempo, era Galeazzo Maria Sforza. Questi, signore del 
                ducato milanese dal 1466 (alla scomparsa del padre Francesco 
                Sforza), aveva avvertito la necessità politica di portarsi nella 
                turbolenta Vigevano, nel gennaio del 1470, per la 
                chiarificazione dell'appartenenza della comunità al dominio 
                degli Sforza. Infatti, a Vigevano, il partito anti-sforzesco 
                stava riprendendo vigore, addirittura con l'elezione al 
                Consiglio Generale dei fratelli Giovanni e Antonio Desio, che 
                erano avversi agli Sforza ed erano stati i promotori della 
                ribellione vige-vanese del 1449. Nella prima seduta del 
                Consiglio Generale del 1470, proprio al primo di gennaio, i 
                potenti mercanti filo-sforzeschi Giorgio Colli e Ambrogio 
                Gravalona si levarono ad opporsi a che i Desio sedessero in 
                Consiglio generale, ad-ducendo, su piano formale, che i Desio 
                non erano "de sanguine Viglevani".
 Ma la sostanza era politica. Ne scoppiò una "bagarre" 
                indescrivibile. La seduta fu sospesa e aggiornata a! 7 gennaio. 
                Nella nuova seduta, i Desio presentarono "lettere" datate 5 
                gennaio 1470, ottenute dal rappresentante ducale di Pavia, nelle 
                quali veniva dichiarata la legittimità dell'appartenenza dei 
                Desio al Consiglio Generale di Vigevano, il Colli e il Gravalona 
                non ci videro più e sì misero a protestare anzitutto contro la 
                provenienza "pavese" delle lettere e poi contro il sopruso, 
                gridando: "Lettere impetrate, lettere impetrate", ossia comprate 
                a suon d'argento presso il compiacente rappresentante ducale di 
                Pavia. Solo i ripetuti interventi dei quattro robusti Servitori 
                pubblici o "messi" riuscirono a tener separate le fazioni che 
                erano ormai prossime alle mani. Il disperato podestà, il 
                milanese giurisperito Giovanni Anfossi (detto Scazòlo, ossia che 
                camminava zoppicando), posto dagli Sforza a governare Vigevano, 
                chiuse il Consiglio e si appellò al Duca. Era tempo di un giro 
                di vite generale per ribadire chi comandava nel Ducato di 
                Milano. Infatti, Galeazzo Maria Sforza fissò, per il 20 gennaio 
                di ... [pg.45]
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                Giunge a VigevanoFrate Matteo aveva cinquant'anni. Nonostante fosse di robusta 
                costituzione e di polente voce così da farsi sentire dalle 
                platee più numerose, da qualche tempo avvertiva un calo di forze 
                e pure di voce. La continua attività missionaria lo aveva 
                sfibrato. Letta la missiva, disse ai confratelli di Soncino: 
                "Vado a Vigevano, per ivi morire". Giunse a Vigevano sul finire 
                del febbraio 1470. Raggiunto il convento dei Frati domenicani 
                osservanti di San Pietro Martire, si inginocchiò, secondo la 
                regola, di fronte al padre priore, il vigevanese frate 
                Bartolomeo de' Bergondi (o Bragunzi o Bergami), e ne chiese la 
                benedizione. Il priore e gli altri frati accolsero il santo 
                frate con somma venerazione e chiesero, a loro volta, la 
                benedizione. La genuina ospitalità dei confratelli vigevanesi 
                rinfrancò frate Matteo dalle fatiche del lungo viaggio. Già 
                aveva sperimentato l'accogliente cordialità dell'ambiente 
                vigevanese durante il quaresimale predicato nel 1456. Ora 
                rivedeva volti conosciuti, amici e giovani frati cresciuti alla 
                sua scuola, infatti, reincontrava il vigevanese frate Luca Maria 
                Secchi, da lui introdotto alla vita domenicana proprio nel 7456, 
                e i suoi antichi chierichetti divenuti giovani e fattisi frati a 
                vent'anni nel 1465: i vigevanesi frate Ludovico Angelo Rodolfi e 
                frate Tommaso Ratinando Gravalona. Questi era parente stretto 
                del citato mercante, consigliere e procuratore Ambrogio 
                Gravalona.
 Olio bollente e i miracoli in vita: taumaturgo
 Come si è accennato, anche Ambrosio Gravalona frequentava, nella 
                chiesa di San Pietro Martire, il quaresimale di quel 1470 che 
                era improntato ai temi della giustizia misericordiosa e della 
                pace evangelica, su riflessioni dì frate Matteo. Il Gravalona 
                stava nei banchi davanti, riservati ai decurioni del Consiglio 
                Generale, tenuti atta partecipazione su pressante invito del 
                Duca. Alle signore era serbato altro distinto luogo; seguiva il 
                popolo dei fedeli. Venerdì della settimana di Passione, 
                precedente la domenica delle Palme, la predicazione fu turbata 
                dal]'accorrere in chiesa di Berlanda, una giovanissima domestica 
                dei Gravalona, che concitata dilaniava e cercava i suoi padroni 
                a motivo di un grave evento accaduto ai loro figlioletto, 
                bambino di quattro anni anch'egli di nome Ambrogio. Era successo 
                che l'attiva fantesca Giovanna Ortensia aveva tolto dal fuoco 
                l'ampia padella di ferro colma dì olio bollente e l'aveva 
                depositata sulla griglia del tavolo per porvi più comodamente i 
                pesci da arrostire. Ed ecco, il vivace bambino aggrapparsi al 
                tavolo e rovesciarsi addosso l'olio bollente: "ita destructus et 
                ex-cussus, ac defórmatus" (riferisce il documento testimoniale 
                coevo), ossia "così distrutto, devastato e deformato, perse i 
                tratti della sua fisionomia e parve ormai senza speranza di 
                vita". Corse Ambrogio Gravalona giù dalla strada dei Pioppi o 
                popoli (Via del Popolo) e, per la direttrice della Maddalena 
                (Via Simone del Pozzo), raggiunse la sua abitazione nella 
                contrada dei Mercanti; lo seguiva trafelata la moglie Lena 
                Morselli. Non volevano assolutamente perdere il figlio. La 
                mamma, in particolare, portava un immenso affetto al bambino 
                anche perché aveva tanta sofferto durante la gestazione, nel 
                parto e nel dargli lo scarso latte (limite ereditario, che 
                suscitava la devozione della famiglia a Santa Agata, rimedio a 
                tale limite). Intanto, in chiesa, nel sussurro generale, frate 
                Matteo chiuse rapidamente il suo dire, invitando alla preghiera. 
                Parecchi si recarono alla casa dei Gravalona per dare conforto. 
                Il fisico-chirurgo scosse però il capo: solo pezzuole imbevute 
                d'acqua di pozzo potevano un poco lenire lo spasimo delle membra 
                del malcapitato bambino ormai in stadio di incoscienza. Era 
                presente anche frate Tommaso Raimondo Gravalona che incitò 
                Aliolo a salire con lui al convento per ricorrere all'aiuto di 
                frate Matteo. Nel locale del parlatorio, posto all'ingresso del 
                convento dei Domenicani (all'attuale entrata del Tribunale di 
                Vigevano), fu chiamato il santo frate per un colloquio urgente. 
                Aliolo gli descrisse i fatti "miscens lacrìmas verbis", 
                mescolando le lacrime alle parole, dice l'antico manoscritto, e 
                invocò la grazia della guarigione del bambino. Si schermì frate 
                Matteo, ricordando che i miracoli li fa solo il Signore. Al che 
                Aliolo rilevò che i santi in quel 1470, la convocazione presso 
                il castello di Vigevano dei rappresentanti non solo di Vigevano, 
                ma pure delle varie città del Ducato, allo scopo di ottenere il 
                giuramento di fedeltà agli Sforza. All'appuntamento si 
                presentarono i responsabili di Cremona, Parma, Piacenza, Lodi, 
                Tortona, Alessandria, Pavia, Como e Vigevano. Questa era 
                rappresentata dai "sindaci" o procuratori Giorgio Colli, 
                Ambrogio Gravalona, Giovanni Vastamiglio e Spiritino del Pozzo.
 Il Duca ottenne il generale giuramento di fedeltà. Si rese però 
                conto della lacerante divisione nella comunità di Vigevano. 
                Occorreva mediare per non perdere i fedeli sforzeschi e intanto 
                recuperare gli antichi avversar! ormai consci della realtà 
                ducale, nonché creare un clima di pacifica convivenza nella 
                comunità vigevanese.
 La scelta di frate Matteo da inviare a Vigevano
 Sul primo versante, il Duca procedeva, nel mese di febbraio, 
                dando in Milano separate udienze alle due fazioni. La mediazione 
                cercava di accontentare le teste dure proprio vigevanesi, 
                convinte di "avere ragione", senza troppo scontentare l'altra 
                parte che si mostrava disponibile all'accettazione degli Sforza. 
                Il compromesso raggiunto si coglie nel convocato del Consiglio 
                Generale dei 4 marzo 1470: gratitudine ai Colli, ai Gravalona e 
                ai filo-sforzeschi, per la loro fedeltà, e concessione a 
                Giovanni Desìo (ma non a! fratello Antonio) di far parte del 
                Consiglio Generale della comunità di Vigevano. Sul versante 
                della più ampia pacificazione nella comunità vigevanese, 
                occorreva intervenire sulle coscienze con il richiamo ai valori 
                di pace e di concordia. Il Duca subito chiese lumi ai suoi 
                consiglieri e, in particolare, a quel volpone del Segretario 
                Generale del Ducato, primo ministro Cicco Simonetta. Questi, tra 
                le altre incombenze, seguiva con attenzione l'evolversi della 
                riforma dei Frati domenicani della "Osservanza", i quali 
                cercavano di riportare l'Ordine dei Predicatori all'osservanza, 
                appunto, della primitiva regola proposta dal fondatore, San 
                Domenico di Caleruega.
 Cicco Simonetta sentì il Padre Provinciale degli "Osservanti 
                della Provincia di Lombardia", che stava al convento domenicano 
                di S. Eustorgio in Milano. Ricevette l'indicazione 
                dell'efficacia della predicazione del frate domenicano 
                osservante Matteo Carreri da Mantova, del quale si diceva anche 
                della vita di santità e, addirittura, delta capacità di ottenere 
                miracoli. Era l'uomo giusto. Furono inviati ordini a Mantova e a 
                Vigevano. La lettera del Padre Provinciale raggiunse frate 
                Matteo a Sonano con l'ordine della predicazione del quaresimale 
                del 1470 in Vigevano, con la specifica dì puntare sulla 
                concordia e la pace.
 Intercedono presso il Signore per strappargli le grazie. Allora, 
                il santo frate, che già aveva sperimentato la potenza della sua 
                impetrazione presso Dio, per non salire in superbia ("vizio 
                sottile" diceva essere la vanagloria) invitò a confidare nella 
                intercessione del domenicano San Vincenzo Ferrer: questi aveva 
                riportato in vita un infante posto nell'acqua bollente dalla 
                madre impazzita (ancor oggi, nella chiedi di San Pietro Martire 
                c'è la pala d'altare raffigurante detto prodìgio). Quindi intonò 
                il "Pater noster" e poi stette qualche tempo con gli occhi 
                chiusi in intensa interiore preghiera. Quando aprì gli occhi 
                disse: "Fatti animo, tuo figlio di questo non morirà". Aliolo 
                tornò a casa e trovò il bimbo in ripresa coscienza, senza 
                dolori, e con progrediva guarigione delle membra ustionate. 
                Tutta Vigevano fremette di stupore e di gioia. Le ultime 
                predicazioni di frate Matteo in quel quaresimale, tenute nella 
                Settimana Santa che sfociava nella Pasqua dì risurrezione, 
                vedevano un imponente afflusso di popolo che la chiesa di San 
                Pietro Martire non poteva contenere. Gli avversari politici 
                erano toccati dalla grazia della pacificazione di fronte 
                all'uomo di Dio che esortava all'amore e alla misericordia. U 
                grande miracolo per Vigevano fu l'unità degli intenti che 
                costruiva il futuro della comunità sulle basi del rispetto, 
                della concordia e del solidale progresso. L'affetto all'umile 
                frate fu corale e, dopo qualche mese, alla sua morte avvenuta il 
                5 ottobre 1470, esplose nella decisa venerazione, giacché Matteo 
                Carreri fu proclamato subito Beato e Protettore di Vigevano a 
                furor di popolo (prima delle ufficiali dichiarazioni ecclesiali, 
                1482, e civili, 1518). La venerazione continua. Marco Bianchi, 
                15 settembre 2009.
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