Festa del Cuore Immacolato di Maria
2005
INDICE
I – Un angolo di Vigevano nel
sec. XVII.
II – L’antico affresco
III – Francescani e Domenicani
IV – Il grande Caramuel
V – La chiesa vecchia
VI – La chiesa nuova
VII - Sviluppi
VIII - Un altare, una campana e
qualche indulgenza
IX - L’eremita
X - i restauri del 1901
XI - la decadenza e la rinascita
XII - festa e tradizioni
XIII - un pò di catechesi
XIV - guida artistica
XV - preghiera al SS. Crocefisso
I– UN ANGOLO DI VIGEVANO NEL SEC. XVII.
Ai giorni
nostri la chiesetta del Cristo, privata da decenni del suo vasto
sagrato che si allungava sul davanti, chiudendo un’area curiosamente a
pianta trapezioidale, pare soffocata dal traffico dell’incrocio di
cinque strade su cui si affaccia, e mortificata nelle proporzioni dal
grande condominio piazzato di fronte e dai tanti altri che stanno
sorgendo nelle vicinanze, in luogo delle dismesse fabbriche di scarpe.
Dall’altra parte della strada, nascosto da un muro cadente, anche il
vecchio mulino della resega sembra smarrirsi tra la strada e le
case che lo circondano.
Com’è difficile
immaginare quest’angolo della nostra città al tempo in cui inizia la
storia della chiesa del Cristo, che andiamo a raccontare, più o meno
quattro secoli fa. Dobbiamo immaginare di trovarci presso un
crocicchio di campagna, lungo la strada campestre che correva lungo le
vecchie mura di Vigevano, chiamati terraggi perchè formate da
due muraglioni in mattoni e ciotoli del Ticino collegati da un
terrapieno sopraelevato. Un tratto significativo del camminamento
sulle mura si conserva proprio da queste parti, tra la via dei
Domenicani (dietro il mulino di Porta Nuova, presso le ortaglie del
convento di San Pietro m.) e la via Riberia (dove si apriva la porta
di Valle). La contrada di Costa, che passa in mezzo, non aveva sbocco
dalle mura, fin quando, due secoli fa la cinta muraria andò in
pensione e fu demolita (eccetto brevi tratti). Era stata edificata
alla metà del sec. XIV, al tempo in cui i Visconti costruivano il
Maschio del Castello e la Strada coperta. Cent’anni dopo i
terraggi erano ormai cadenti, e dovendosi provvedere in qualche
modo alla grave spesa, venne in mente ad un membro del Consiglio
comunale di scomodare nientemeno che il vecchio patrono, Sant’Ambrogio.
E il buon Vescovo rispose all’appello e andò in sogno allo zelante
amministratore invitando alla ricostruzione delle mura. Volle dare
anche un segno, così da colorare la paterna sollecitazione con un
prodigio: i lavori andavano cominciati laddove si fosse trovata una
porca rossa rovistare col grugno da qualche parte. E così, alcuni
giorni dopo (e non prima, ne siamo convinti...), il Consigliere,
passando per queste strade, notò che la scrofa del mugnaio del molino
detto allora inferiore colorare il suo mantello della polvere
rossa dei mattoni sfatti delle mura in rovina presso le quali passava
le giornate col suo seguiti di porcellini. Il prodigio fu riconosciuto
da tutto il popolo e le mura si cominciarono a riedificare partendo
dalla torre di spigolo della cinta, che andò a trovarsi sopra il
mulino, come ricordava una lapide posta sul muro. I Vigevanesi vollero
fare ancora di più, e immortalarono la porca rossa in una statua di
terracotta posta sotto il portico del vecchio palazzo di giustizia
comunale, demolito nel 1492 per far posto ai portici della nuova
Piazza. Il prodigio era avvenuto il 20 agosto 1452.
Gli intanto passarono, come l’acqua
che azionava il mulino reso celebre dalla porca di Sant’Ambrogio
(tirato in mezzo con molta confidenza), ma tutto rimase presso a poco
tale e quale. Solo questo cambiò destinazione, e fu adibito a
segheria, da cui il nome popolare di resega, sempre azionata
dal salto delle acque della roggia Vecchia che lambiscono il vecchio
fabbricato ancora oggi, e fanno sentire il loro scroscio (traffico
automobilistico permettendo) a chi passi per la via.
Nei primi decenni del sec. XVII sopra
il muro d’un qualche edificio rustico, una mano semplice ma efficace
dipinse l’affresco del SS. Crocefisso tra San Francesco d’Assisi e
Santa Caterina da Siena ora venerato sopra l’altare della chiesetta
del Cristo. L’incrocio su cui si affacciava l’immagine conduceva a
quel tempo a varie chiesa, alcune delle quali conservate ai giorni
nostri. L’attuale via dei Mulini partiva dalla Rocca Nuova, detta
anche di San Rocco, dal titolare della chiesa eretta forse al tempo
della peste del 1524 dove sorse nel 1922 il santuario della Madonna di
Pompei. Fu sede di Confraternita.
Quasi davanti, negli anni di cui stiamo discorrendo, sulle rovine
della Rocca Nuova, fatta saltare nel 1646 dopo un doppio assedio, si
stava costruendo la chiesa del monastero di Santa Chiara. Le clarisse
inaugurarono la loro chiesa nel 1670, per opera dell’intrepida
fondatrice ven. Giovanna dè Previde Eustachio
.
L’odierna via Rossini era detta nei
tempi andati del dosso Baraglia per via della salita sulla
costa, e proseguiva, accanto al mulino, verso la chiesa del Carmine
costruita davanti alla porta di Valle dopo essere stata fatta
atterrare da Ludovico il Moro nel 1498 per far posto a nuove
fortificazioni. Era allora dedicata a Santa Margherita; si cominciò a
chiamarla col titolo mariano dopo che nel 1602 s’ebbe insediata la
Confraternita del Carmine che la riedificò e nel 1661 innalzò il
campanile, che è il più alto della città (fu elevato nel 1782).
Il sobborgo nato attorno alla chiesa, abitato dai massè
confinava col ponte del Naviglio detto della giacchetta.
L’ultima strada dell’incrocio era
costeggiata dalla roggia vecchia (coperta cinquant’anni fa) e si è
sempre chiamata di San Giacomo, dall’antica cappelletta che vi sorgeva,
ricordo dei romei che passavano per Vigevano, e sostavano sotto il
portichetto, ora pericolante, dell’antichissima chiesetta di Santa
Maria intus vineas, che sorge poco avanti, oltre la ferrovia.
Vi sostò anche un Papa (l’unico passato da Vigevano), Martino V, in
ritorno dal Concilio di Costanza, nel lontano 1418.
La chiesa di San Giacomo, adibita a cimitero degli appestati nel 1524,
era all’incrocio con la strada che porta alla chiesa di Santa Maria
degli Angeli,
fondata nella seconda metà del quattrocento dal Duca Galeazzo M.
Sforza, rimasto illeso da quelle parti, da una brutta caduta a
cavallo. Fu ricostruita nel 1583 dalla Confraternita
dell’Annunciazione di Maria SS., che l’officiava e l’abbellì a metà
settecento con la cupola del presbiterio simile a quella del Cristo.
II – L’AFFRESCO
L’origine della
chiesa del Cristo si deve all’immagine del Cristo Crocefisso tra due
Santi che si venera oggi sopra l’altare. E’ di dimensioni modeste
(alta circa un metro e larga la metà), centinata ad arco (almeno nella
configurazione odierna), stesa con la tecnica dell’affresco su un muro
di mattoni e sassi di fiume ricoperto di intonaco lisciato
approssimativamente e con qualche rappezzo. Siccome è da presumere che
l’affresco sia rimasto sempre al suo posto, si deve pensare che fu
dipinto sul muro d’un edificio rustico un pò in alto, come si usava
per le immagini sacre lungo la strada. Al centro è raffigurato Cristo
Crocefisso su un’alta croce col mosso cartiglio sovrastante, che si
poggia sul terreno con cunei e un teschio ai piedi. Il Signore, con la
testa nimbata e reclinata, è raffigurato in suggestiva espressione: il
suo prezioso sangue è sparso con abbondanza dalle piaghe. Ai piedi,
lateralmente, in ad orazione è raffigurato a sinistra San Francesco
d’Assisi, in ginocchio, con l’aureola e i segni visibili delle
stimmate. Dall’altra parte, in un simile posa, Santa Caterina da
Siena. Ci soffermeremo nel capitolo successivo su questi due Santi e
la scelta di raffigurarli appaiati.
Lo sfondo, reso con colori scuri e
soffusi, reca la veduta di una città murata con torri, una cupola e
per qualcuno, la sagoma della nostra torre del Bramante. Il cielo,
dalle tinte sfumate, mostra, tra le nuvole, la tipica iconografia del
sole e della luna.
L’ignoto artista ha raggiunto un
livello espressivo e una resa pittorica non comuni. La pittura,
protetta da vetro fin dal sec. XIX, presenta colori vividi e uniformi,
nonostante la pellicola pittorica si adatti ad una non uniforme
stesura dell’intonaco e a maldestri rappezzi (specie in basso). Non si
scorgono tracce di ridipinture, ritocchi e nemmeno restauri;
recentemente si è provveduta ad una leggera ripulitura della
superficie dalla polvere. Tuttavia è impossibile non essere d’accordo
col giudizio dell’allora Parroco di San Cristoforo don Carlo Volpi,
che scriveva nel 1819: pare di fresco dipinta.
E pare così
anche a noi, a due secoli di distanza.
Questa immagine dovette, quattro
secoli fa, toccare la pietà religiosa di chi si trovava a passare di
là, tra ortaglie e vigne a ridosso delle mura della città. La
devozione crebbe, e come vedremo, si costruì prima un’edicola votiva,
poi una chiesetta, e poi la chiesa attuale, nel giro di un secolo. La
devozione popolare non è mai venuta meno nel corso del tempo: ancora
oggi le pareti dell’edificio sacro mostrano numerosi quadretti ex
voto, cuoricini d’argento o latta dipinta, i più antichi dei quali
risalenti alla metà dell’ottocento. Nei decenni passati erano molto
più numerosi e ricoprivano buona parte dei muri, vicino all’altare e
sulle colonne. Accanto a quelli superstiti ne sono esposti diversi
aggiuntisi negli ultimi anni, segno di una devozione viva, dopo vari
anni di oblio.
III - DOMENICANI E FRANCESCANI.
A questi due Ordini religiosi
mendicanti, molto affini, appartengono i due Santi raffigurati
ai lati del Crocefisso nel nostro affresco: la scelta non deve
stupire, entrambi condivisero alte vette di misticismo, trovando nella
passione di Cristo la fonte e il culmine. Ebbero inoltre il privilegio
di partecipare alla Croce di Cristo attraverso le stimmate. Singolare
è piuttosto il loro accostamento: le due scuole di santità,
francescana e domenicana, pur analoghe, rimasero nei secoli ben
distinte, quasi rivali (sempre benevolmente, s’intende).
San Francesco d’Assisi (1181 - 1226)
raccolse alcuni giovani a condividere il suo ideale di povertà dando
vita all’ordine religioso mendicante dei frati minori, da lui
chiamati francescani. Negli stessi anni San Domenico di Guzman
(1170 - 1221) fondava un ordine religioso analogo detto dei
predicatori per la particolare forma di apostolato, più noti come
domenicani. Al Terz’Ordine femminile appartenne Santa Caterina
da Siena (1347 - 1380) che fu protagonista nella travagliata vita
della Chiesa e del Papato del sec. XIV, colma di grazie dello Spirito
Santo.
Entrambi gli Ordini, nelle varie
famiglie e nelle branche maschili e femminili, furono presenti a
Vigevano, fino alle soppressioni napoleoniche di inizio ottocento. Ora
restano soltanto i Cappuccini, tornati nel 1895 operando con
gradimento dei concittadini nel convento della Sacra Famiglia, a non
molta distanza dalla chiesa del Cristo.
I primi religiosi ad aprire una casa
religiosa con chiesa propria a Vigevano furono i frati francescani
minori della famiglia dei conventuali, che diedero inizio alla
chiesa e al convento di San Francesco nel 1378, ad opera del
vigevanese fra Giovanni Ferrari.
Al primitivo chiesuolo si sostituì alla metà del sec. XV la bella
chiesa attuale, ora rifatta secondo il gusto neogotico dai radicali
restauri ottocenteschi. Il convento fu soppresso nel 1801 per le leggi
napoleoniche; la chiesa dopo essere stata adibita a deposito di sale
della vicina dogana (alloggiata nel convento), fu riaperta al culto e
divenne sede della parrocchia di San Dionigi nel 1852. Onorò questo
convento il Beato Anselmo degli Anselmi, vigevanese (morto alla fine
del sec. XV), il cui corpo si venera all’altare di Santa Margherita da
Cortona. Fu più volta ospite di questo cenobio San Bernardino da Siena
tra il 1431 e il 1442; una tradizione vuole che abbia eretta il bel
campanile di San Francesco.
Legata a questo Santo, propugnatore
dell’osservanza francescana è la fondazione, resa definitiva nel 1475
della chiesa di Santa Maria delle Grazie e del convento dei
Francescani osservanti, più noti come zoccolanti. Il
complesso, che sorgeva in fondo a corso Novara, fu soppresso nel 1810
e in gran parte demolito; resta un chiostro, adibito ad abitazioni.
Visse qui il Beato Cristoforo Macassolio (morto nel 1485), le cui
reliquie si traslarono in Duomo nel 1811, ove si venerano all’altare
di Sant’Elisabetta.
La terza famiglia francescana, quella
dei Cappuccini,
si insediò nel 1539 in città, inizialmente presso la chiesetta della
Madonna di Loreto, che esiste ancora oggi, in via Santa Casa. Nel 1609
i Cappuccini si trasferirono in un più grande convento, intitolata a
Santa Maria del Crocefisso, a Battù, soppresso nel 1805. Resta il coro
della grande chiesa, visibile in via dei Cappuccini.
Nel Convento della Santa Casa si
trasferì nel 1609 un altro ramo francescano, quello dei Terziari, che
vi rimasero fino al 1653.
A Vigevano erano presenti dunque tutti
i rami maschili: abbiamo già accennato al ramo femminile, le suore
clarisse, che ebbero un convento sugli spalti della Rocca Nuova, di
cui resta il chiostro, e la chiesa intitolata a Santa Chiara, allo
sbocco del corso della Repubblica, tra il 1655 e il 1810. Già prima si
era formata una comunità domestica di clarisse nel 1458 presso la
chiesa di San Dionigi (presto confluite nel monastero di Santa Chiara
ad Abbiategrasso), e in seguito, nel 1641 in una casa del vicolo del
Seminario, che diede vita poco dopo al monastero vigevanese.
Abbiamo lasciato per ultimi i
Domenicani, non certo perchè ritenuti tali in ordine di prestigio.
Tutt’altro. La chiesa e il convento di San Pietro Martire,
dei frati domenicani dell’osservanza furono fondati nel 1445 a
seguito di un voto pubblico dei Vigevanesi a quel Santo. Il quando, il
come e il perchè di quel voto furono oggetto di infinite questioni. I
frati certamente erano conosciuti a Vigevano già prima del 1445, forse
già dal 1359, almeno per periodiche predicazioni. Il convento fu
illustre per la fama di santità e il prestigio dei suoi frati: tra
questi uno divenne papa: il grande San Pio V. Ma il più noto, e il più
caro a noi tutti vigevanesi è il Beato Matteo Carreri
(1420-1470),
proclamato protettore di Vigevano nel 1518. Il corpo è venerato con
grande fervore ancora oggi, e non solo per le feste patronali di
ottobre, nella cripta, o scurolo sotto l’altare maggiore della
chiesa di San Pietro Martire, divenuta parrocchiale di San Cristoforo
nel 1806, essendo stato il convento soppresso l’anno prima e adibito a
sede del Tribunale, come ai giorni nostri.
I Domenicani erano presenti inoltre
alla Sforzesca, avendo avuto in dono la possessione da Ludovico il
Moro perchè suffragassero l’anima sua e della moglie. Presso la chiesa
(rifatta nell’ottocento, eccetto il campanile) avevano un piccolo
convento, dipendente da quello di Santa Maria delle Grazie di Milano.
I beni furono incamerati nel 1798 e venduti.
Anche il ramo femminile,
quello di Santa Caterina da Siena, fu presente in città fin dal 1445.
Le Terziarie abitarono prima in una casa di vicolo degli Anselmi, poi,
dal 1525 nel grande convento dell’Assunta, in via Merula, soppresso
nel 1805, di cui restano i due chiostri. La chiesa divenne teatro,
cinema, infine...appartamenti e una banca. Tra le suore, emerse per
fama di santità la Beata Caterina Naj Savini,
da Gambolò, penitente del Beato Matteo, morta nel 1516. Le reliquie si
venerano nella cappella di San Pio V della chiesa di San Pietro
Martire.
La presenza femminile domenicana, dopo
molti decenni, ritornò in città con la venuta delle suore di Santa
Caterina da Siena del Second’Ordine (le nostre domenicane), nel 1881
su invito del vescovo mons. De Gaudenzi, in via Griona. Nel 1912 si
trasferirono nel convento già delle Sacramentine (eretto nel 1876 in
fondo al vicolo Deomini) alle spalle dei chiostri dell’Assunta. Ancora
oggi operano nell’istituto scolastico San Giuseppe.
Due scuole di santità così radicate
nella nostra città non mancarono mai di spronare religiosi e laici
nella santa emulazione, sempre pacifica, eccetto qualche ceffone
volato in Duomo l’8 dicembre dell’anno 1537.
IV – IL GRANDE CARAMUEL
Abbiamo lasciato la nostra immagine
sul murello. Tanto per dare qualche riferimento cronologico, noteremo
che la carta topografica della città in vista dell’assedio francese
della Rocca Nuova del 1646, peraltro puntuale, non segna alcuna
cappella od edicola: se c’era, era solo un dipinto su un muro, e non
doveva comunque costituire un ostacolo o un possibile avamposto
militare come le chiese e i casolari vicini. Ma tant’è che la
devozione popolare crebbe a tal punto che si decise di erigere una
cappelletta di fronte ad essa, e si provvide a chiedere al Vescovo la
debita autorizzazione. Sedeva sulla cattedra vescovile della nostra
città il grande mons. Caramuel, che resse la piccola diocesi di
Vigevano tra il 1673 e il 1680, noto ai più come studioso di quasi
tutte le discipline dello scibile umano e artefice della facciata del
Duomo e della sistemazione urbanistica della sua piazza. Ebbene
proprio lui, come racconta il Gianolio,
diede licenza, il 5 agosto 1680, di costruire una chiesa
intitolata al SS. Crocefisso fuori porta di Valle.
V – LA CHIESA VECCHIA
Si fece carico di provvedere a
raccogliere le elemosine e dirigere la costruzione di una chiesa, la
primitiva, l’allora parroco di San Cristoforo, nel cui territorio si
trovava l’immagine, don Andrea Giacomo Araldi, che resse la cura
d’anime dal 14 dicembre 1659 all’11 dicembre 1696. L’edificio di culto
divenne così di proprietà del parroco pro-tempore,
esercitandone l’amministrazione e il diritto di Patronato, come fa
ancora oggi. Essendo oratorio di proprietà di un privato si salvò
dalle soppressioni napoleoniche, e rimase aperto al culto anche in
quegli anni burrascosi, a differenza delle chiese di conventi e
confraternite, come vedremo a suo luogo. Leggiamo infatti dalle pagine
di un manoscritto inedito del can. Fassina, rettore della chiesa di
Sant’Ignazio, che scriveva nel 1729, tra le chiese e gli oratori
costruiti dopo il 1669, quello del SS. Crocefisso della Resega,
dall’elemosina dei fedeli e dall’impegno del parroco di San Cristoforo
D. Giacomo Andrea Araldi completato nel 1689.
Di questo
edificio, forse un piccolo oratorio campestre con altare per
celebrarvi la Messa, non sappiamo nulla, se non che già esisteva nel
1687 nelle strutture murarie, comparendo in una pianta topografica
della città di quell’anno.
V – LA CHIESA NUOVA
La
primitiva chiesa doveva essere ben poca cosa, e non solo in termini di
superficie occupata, non soddisfacendo alla crescente pietà religiosa
dei devoti, che dopo pochi decenni intrapresero la costruzione di una
nuova chiesa, ancora una volta con le offerte, i materiali, e le
prestazioni d’opera dei fedeli stessi, come dimostrano i rilievi
compiuti sulle murature e le coperture.
A incanalare il fervore in un’opera non piccola, toccò ad un
successore di don Araldi, don Bartolomeo Prato Previde, parroco di San
Cristoforo dal 17 marzo 1748 al 1 aprile 1763. I lavori, come annota
il citato don Volpi,
cominciarono nell’anno 1749 e dovettero concludersi, almeno nelle
parti essenziali, due anni dopo. Nel retro del portone d’ingresso alla
chiesa, sulle ante superiori, è infatti incisa la data 1751,
che si riferisce alla costruzione del serramento che andava a chiudere
un edificio almeno in parte completato.
Si volle
costruire non un semplice luogo di culto campestre, come molti altri,
ma un santuario vero e proprio, che, pur nelle limitate proporzioni,
presentasse un’articolazione architettonica e decorativa tutt’altro
che trascurabile. L’edificio costruito è di piccole dimensioni, a
pianta centrale a croce greca da cui si dilata al centro un ottagono
coi bracci dell’ingresso e dell’altare dilatati. L’impianto assume
grandiosità ed eleganza nell’articolazione delle otto colonne binate
su alta base che sostengono nei quattro lati trasversali la calotta
della cupola, piuttosto elevata, che tramite un breve tamburo,
nascosto dal cornicione interno, imposta la calotta sommitale. A
rendere prezioso l’interno sono gli splendidi stucchi a forte rilievo
che ornano i capitelli delle colonne e i sottarchi di presbiterio e
ingresso e soprattutto invadono con esuberante eleganza barocca tutta
la parte superiore della chiesa. Chi eseguì il disegno e chi eseguì
l’opera doveva provenire da un livello artistico non comune (frequente
in Piemonte e Lombardia tra i sec. XVII e XVIII), che ha lasciato
esempi analoghi in alcune chiese della Lomellina e soprattutto nella
vicina chiesa della Confraternita della Madonna degli Angeli, di cui
venne costruita, proprio in quegli anni, l’elegante cupola che
sovrasta il presbiterio, decorata di dipinti su tela e stucchi,
inequivocabilmente affini ai nostri.
La decorazione
a stucco rimase confinata alla parte superiore della chiesa: attorno
all’ancona col dipinto venerato non si conservano strutture
architettoniche o anche solo decorative analoghe alla cupola. L’ancona
dipinta di gusto neoclassico risale alla metà del sec. XIX; l’altare
attuale, marmoreo, come vedremo, sostituisce molto probabilmente
quello originario, forse in muratura con decorazioni in stucco.
La chiesa era
originariamente completamente isolata, e decorata esternamente da
lesene e paraste visibili per tutto il fianco laterale, verso via dei
mulini; la stessa decorazione in muratura, intonacata, riprende nel
fianco opposto, successivamente nascosta dall’addossamento di
sagrestia, campanile e casa annessa. E’ ben visibile dalla scala
interna che sale al campanile e da un locale di disimpegno sul braccio
opposto. Se la finitura esterna è accurata fino al tetto dei bracci
dell’ottagono e della facciata, fu lasciata rustica tutta la parte
superiore: ancor oggi il piccolo tamburo reca a vista la muratura (si
noti l’incoerenza del materiale: mattoni di varia consistenza e
dimensioni con l’inserzioni di pietre e sassi di fiume) e la cupola,
intradossata anche nel progetto iniziale (secondo la tradizione
lombarda), è coperta da un tetto a otto falde retto da pilastrini (non
furono eseguiti i muri di continuazione). Accurata è l’articolazione
della facciata, verticalmente dilatata, con elaborati capitelli sui
pilastri.
VI –
SVILUPPI SUCCESSIVI
Abbiamo visto
come la nostra chiesa fosse nata nella metà del sec. XVIII come
oratorio campestre isolato; non passò molto tempo che si decise di
affiancare al luogo di culto locali di servizio, come la sagrestia e
il campanile. Si aggiunse inoltre un caseggiato addossato alla
costruzione per alloggiarvi il custode eremita di cui
parleremo.
Il primo edificio
aggiunto fu la sagrestia, concepita come un vano architettonicamente
autonomo, collegato da una porta al transetto sinistro della chiesa,
di proporzioni dignitose e voltato. La muratura è piuttosto regolare,
diversamente da quella della chiesa ed è slegata dai muri adiacenti.
Se successiva è l’inserzione di questo locale, non dovettero passare
molti anni, se fa fede la data 1754 incisa nell’anta del mobilio
ancora conservato, senz’altro originale.Nella
visita pastorale del Vescovo Mons. Scarampi, del 1757, è nominata come
già esistente la sagrestia, con quanto necessario per la celebrazione
della S. Messa.
A quest’epoca,
inoltre, risalgono le suppellettili d’altare di cui è dotata la
chiesa.
Analogamente
furono aggiunti, nel fronte, due locali, uno sopra l’altro, costruiti
con approssimazione e ampliati in lunghezza in un secondo tempo. Anche
sopra la sagrestia fu eretto un locale, con livello di soglia elevato
però di due gradini. Le tre stanze, coperte da solai in legno, furono
collegate da un breve corridoio ai due piani, che immette nel vano
scala, ricavato nell’intercapedine del lato obliquo dell’ottagono alla
chiesa. Per sfruttare lo scarso spazio la scala fu eretta in mattoni
con gradini irregolarmente disposti a chiocciola, sostenuta da un
voltone in muratura. Al di sopra di questo vano, in un secondo tempo
(a giudicare dalla muratura originaria superstite), forse nel 1806 per
ospitare la campana, come vedremo, fu impostato il breve campaniletto,
a pianta quadrata con grande cella campanaria. Esso è stato
integralmente ricostruito verso il 1950 a causa del cedimento
dell’arcata e delle travi di appoggio; fu allora impostato su una
putrella in cemento armato, riprendendo le linee antiche, con
cornicione aggettante in cotto e il tettuccio a quattro falde con
piloncino sommitale reggente la croce. Non furono però eseguiti gli
archetti a tutto sesto delle finestre della cella, sostituiti da
putrelle piatte in forati; il castello della campana, in legno, fu
ricostruito con travicelli in ferro.
Nel giro di
qualche decennio, dunque, la destinazione e il ruolo della chiesa
erano cambiati, divenendo luogo di culto non più saltuario, con
officiatura regolare (pur senza legati) e quanto necessario per la
celebrazione della Messa. L’ultimo cappellano festivo fu don Matteo
Bellazzi, morto nel 1919.
Fino a trent’anni
fa si celebrava Messa regolarmente ogni venerdì, specie in quaresima,
da un Curato di San Pietro martire per devozione degli abitanti del
rione.
Dagli Atti della Visita di mons. Scarampi (12 luglio 1757)
conservanti nell’ ASDV, leggiamo: Accessit ad Ecclesiam S.mi
Crucifixi, ubi visitavit altare, sacristiam, vasa sacra, et sacras
suppellectilis, que omnia inventi ad formam
VII – UN
ALTARE, UNA CAMPANA E QUALCHE INDULGENZA
Siamo giunti
ormai agli inizi del sec. XIX, epoca di gravi turbamenti e
sconvolgimenti, anche in campo ecclesiastico. Tra il 1798 e il 1810
nella sola città di Vigevano, a causa delle leggi soppressive, vennero
chiuse e vendute ben 9 chiese con annesso convento o monastero (in
seguito furono riaperte le sole chiese di San Francesco e San Pietro
M.), e oltre 20 chiese di Confraternite e Oratori. Poche di esse
rimasero aperte perchè dichiarate sussidiarie di Parrocchie (per San
Cristoforo: San Pietro martire e il Carmine) o perchè salvate dai
Confratelli e ripristinate passata la bufera napoleonica (la Madonna
degli Angeli).
La chiesa del Cristo non rientrò tra i casi previsti dai decreti di
soppressione, perchè ritenuto Oratorio privato di proprietà e
patronato del Parroco pro-tempore di San Cristoforo, che ne
aveva curato la edificazione, e che tuttora ne detiene il patronato e
l’amministrazione.
Ai quei tempi
furono numerosissime le opere d’arte, gli oggetti, le suppellettili
dismesse dalle chiese chiuse e spogliate d’ogni bene, originando la
tragica distruzione e dispersione d’un patrimonio artistico valutabile
in poco meno di quello rimasto. Nacque quindi un mercato di oggetti,
ma anche di manufatti più impegnativi, come balaustrate ed anche
altari marmorei. Uno di questi, proveniente da chi sa quale chiesa
profanata della nostra città, dovette capitare al Cristo ed essere
rimontato. Quello che vediamo oggi è una pregevole composizione di
gusto barocco in marmi policromi elegantemente assortiti e sagomati,
databile ai primi decenni del sec. XVIII. Sono evidenti, specie
nell’articolato paliotto, i segni dello smontaggio e della
ricomposizione accurata dei tasselli della struttura marmorea. Si noti
inoltre l’evidente sproporzione dell’altare rispetto al vano in cui è
inserito (penetrando le lesene dei muri): l’alzata per i candelieri,
inoltre, sembra essere stata ristretta e accostata al tabernacolo
marmoreo, piuttosto sovradimensionato rispetto all’insieme. Inoltre si
noti che la parte posteriore, addossata alla parete, presente parti di
specchiatura marmorea, che avevano un senso quando l’altare, dotato di
una seconda alzata e diversamente assemblato, doveva trovarsi tra il
presbiterio e il coro di una chiesa, al centro del vano. Un’ulteriore
dimostrazione è stata la scoperta, durante il rinnovo della cassa del
tabernacolo, nel giugno 2003, di uno sportello in legno decorato in
stucco che chiudeva originariamente la custodia del SS. Sacramento. Lo
sportellino, ora custodito in sagrestia, reca in facciata un’elaborata
decorazione a stucco in forte rilievo dorata, raffigurante al centro,
su una nuvoletta l’usuale raffigurazione dell’ Agnus Dei.
Attorno sono eleganti decorazioni a stucco verniciate in argento (in
parte cadute), e sotto, le parole della consacrazione della Messa
secondo il Canon Missae.
Il disegno ricorda molto lo sportellino dell’altare della cappella
della Madonna del Rosario nella chiesa di San Pietro martire (quello
però in lamina di rame sbalzato e cesellato). Quando l’altare fu
trasferito al Cristo non era più necessario conservare nel tabernacolo
il SS. Sacramento, ma piuttosto la reliquia della Santa Croce in
apposito reliquiario ad ostensorietto, che ancor oggi si espone
all’altare nei giorni della festa. Si decise allora di applicare sopra
lo sportello una nuova facciata, questa volta in lamina di ottone
sbalzata e cesellata, realizzata nel primo decennio dell’ottocento e
raffigurante la Santa Croce contornata da teste d’angelo e da una
raggiera.
Un mese prima
di scoprire lo sportello originario del tabernacolo, nel maggio 2003,
calando la campana dal campanile per l’improrogabile sua revisione e
riparazione, si scoprì essere molto più antica della chiesa e del
campanile. Anzi è la più antica campana funzionante della città. Si
scoprì in quell’occasione la dicitura a rilievo: SS.
TRINITAS ET VIRGO MARIA
TUEANTUR – 1690. Se, come
abbiamo detto, il campanile fu eretto nel primo decennio
dell’ottocento, possiamo supporre che la campana, come l’altare,
provenga anch’essa da qualche chiesa soppressa in quegli anni. Con
qualche ragione possiamo affermare che provenga dall’antica chiesa
parrocchiale di San Cristoforo,
che sorgeva all’angolo tra il vicolo omonimo e la via Riberia. Era
stata fondata nel 1524 al tempo d’una grave pestilenza per cura di un
gruppo di uomini della contrada di Valle, che s’unirono in una
Confraternita per l’assistenza materiale e spirituale dei loro
concittadini, intitolata a quel Santo con l’abito nero in ricordo di
quei lutti. Nel 1584 si intitolò alla SS. Trinità (infatti la campana
ha questo titolo) e mutò l’abito in rosso. Nel 1801, soppressa la
Confraternita la chiesa fu lasciata aperta al culto perchè sede di
cura d’anime, ma nell’agosto del 1806, il parroco don Clerici ottenne
dal Demanio di trasferire la parrocchia nella chiesa di San Pietro
martire (i frati erano stati cacciati l’anno prima). La vecchia
parrocchiale fu quindi soppressa e venduta, insieme ad altari e quant’altro
per £ 2.500 (somma ridicola anche a quel tempo), come ricorda il
cronista contemporaneo Ludovico Cotta Morandini.
Alcuni quadri e la suppellettile si trasferirono nella nuova
parrocchiale.
Sul campanile di questa chiesa stavano
due campane, risparmiate dalla requisizione sabauda del 1795.
Calate nel 1806, dovendosi atterrare la torre, non furono vendute, ma
issate sul campanile di San Pietro martire, che di campane ne avevano
lasciata una sola. Nel memoriale citato di don Volpi, leggiamo che nel
1819 vi erano due campane (una lasciata nel 1795 e l’altra di
San Cristoforo), e altra piccola (anch’essa di San Cristoforo)
fu trasportata ad altra chiesa, nel circondario della Parrocchia.
Dunque questa campana, calata dall’antica parrocchiale di San
Cristoforo fu tra il 1806 e il 1819 portata al Cristo e issata sul
campaniletto, eretto in quegli anni.
Poco dopo, si aggiunse anche la
concessione di una serie di importanti indulgenze, come leggiamo nel
prezioso memoriale di don Volpi: nella chiesa del SS. Crocefisso,
detta volgarmente “della Resega” situata nei sobborghi della
parrocchia, dietro istanza fatta dall’attuale Parroco, SS. Pio VII in
data 15 luglio 1818 si è degnato di concedere le seguenti indulgenze:
1-
indulgenza plenaria nella festa dell’Invenzione della Santa
Croce, nella terza domenica di settembre, e nel venerdì dopo la terza
domenica di quaresima.
2-
altra indulgenza concessa a chiunque visiterà la detta chiesa
nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce e nei sette giorni
susseguenti una sol volta l’anno.
3-
come pure indulgenza in tutti gli altri venerdì di quaresima
soltanto per sette anni, ed altrettante quarantene.
4-
così pure tutti gli altri venerdì dell’anno concede indulgenza
di duecento giorni.
Tutte le suddette indulgenze sono
accordate per un settennio, e riconosciute dall’Ordinario in data 14
settembre 1818.
In sagrestia si conserva ancora il
cartiglio di legno baroccamente sagomato che si appendeva in chiesa
nei giorni disponibili per acquistare le indulgenze.
Se si chiese e si ottenne dalla Santa Sede la concessioni di
indulgenze per più giorni l’anno, è evidente quanto passaggio di
fedeli dovesse esserci in chiesa a quel tempo, specialmente in
Quaresima e nelle due feste della Santa Croce: l’Invenzione (3 maggio)
e l’Esaltazione (14 settembre).
VII – L’EREMITA
Abbiamo parlato della costruzione di
alcuni ambienti annessi alla sagrestia e abbiamo accennato a chi li
occupava, il custode della chiesa, che abitava anche il caseggiato
retrostante. Questo esiste ancora, pur trasformato, dopo essere stato
espropriato e venduto dal demanio a causa delle sciagurate leggi
soppressive anti - religiose messe in atto dal governo subalpino nel
1866.
Tra gli edifici e i terreni legittimamente donati e posseduti da
istituzioni religiose, incamerati dal governo, ci fu quella parte
della casa del custode, venduta, e ricostruita nel 1920 con la
facciata su via Mulini decorata da artistici graffiti; la parte di
casa sul cortile, un tempo collegata alla sagrestia, fu rifatta trent’anni
fa.
La casa fu abitata nel sec. XX da un
eremita, figura rimasta ancora ai nostri giorni nella memoria e
nell’immaginazione dei nostri vecchi, ricordata nella relazione citata
del 1819. Parlando dei romiti della parrocchia, don Volpi
scrive: vi è vicino alla chiesa, ossia oratorio del SS. Crocefisso
detto volgarmente della Resega il sacrestano ossia romito, il medesimo
viene nominato dal Parroco, ed ha la sua abitazione annessa e connessa
alla chiesa. La di lui condotta è del tutto onesta e morigerata,
frequenta i sacramenti, il di lui abito quando va a questuare per la
città colla bussola si è di colore ceruleo, ritrae poi il di lui vitto
dalle giornaliere sue fatiche, occupandosi di lavorante di muratore
Raccontano i vecchi che un eremita, forse quello del 1819, di cui non
è stato trasmesso il nome, abbia preparato per sè un sepolcreto dentro
la chiesa, sotto il pavimento davanti all’altare. Nel 1993, rimuovendo
il pavimento della chiesa e scavando per risanare il suolo, si trovò
appena sotto il gradino una tomba in mattoni accuratamente costruita,
ma priva di traccia di sepoltura.
Queste figure con l’andare del tempo
andarono scomparendo e al Cristo si provvide a stabilire una famiglia,
che abitava la parte di casa rimasta dopo il 1866, coltivava ad orto
il cortile e si occupava della chiesa; in caso di nevicate e di
funzioni particolari, prestava la sua opera coadiuvando il sagrestano
di San Pietro martire. Ultimamente, fino a quarant’anni fa, si occupò
della chiesa la fam. Guffra, pare per circa un secolo.
VIII – I RESTAURI DEL 1901
Ancora una volta la storia
del Cristo si incrocia con quella della chiesa di San Cristoforo, anzi
della sua Confraternita, intitolata alla SS. Trinità, esule in San
Pietro martire nel 1806 con le altre Confraternite della Parrocchia
sotto il titolo del SS. Sacramento.
Passata la bufera napoleonica si ricostituì con gli usi antichi, e
contribuì con efficacia alle opere parrocchiali: nel 1887 provvide al
nuovo altare marmoreo della cappella della SS. Trinità nella chiesa di
San Pietro martire con gli affreschi del Garberini alle pareti. Nel
1901 si sobbarcò l’onere di promuovere e curare i radicali restauri
della chiesa del Cristo. Questa si trovava allora in grave stato di
deperimento a causa dell’umidità proveniente dal suolo
(inconveniente ancor oggi presente) e dalle infiltrazioni d’acqua
piovana dal tetto, che avevano danneggiato gli stucchi della cupola.
All’interno si procedette ad una ridipintura generale delle pareti e
delle decorazioni che alterò pesantemente l’aspetto originario.
I muri, le colonne e i
cornicioni furono dipinti ad imitazione del marmo secondo il gusto del
tempo con tinte giallo-rosse e verdi nelle colonne e nel riquadro
delle basi. L’ancona dipinta sopra l’altare fu ritoccata e appesantita
con decorazioni in oro matto. Nel cornicione si scrisse: AVE
MARIA GRATIA PLENA; gli stucchi della cupola furono dipinti a
fondo giallo con decorazioni dipinte nelle cornici. I cartigli furono
riscritti su fondo arancione. L’affresco sul colmo della cupola,
evidentemente già lacunoso, fu coperto da uno scialbo rosso al cui
centro fu dipinta la colomba dello Spirito Santo; nel riquadro
centrale del sottarco dell’altare fu disegnato un ostensorio. Tutti
questi elementi nell’ultimo restauro furono rimossi, anche per
l’irreparabile degrado in cui versavano, eccetto il pregevole dipinto
che orna la lunetta sopra l’altare, raffigurante tre angeli su nuvole,
eseguito presumibilmente nel 1901. Non presenta nè data, nè firma, ma
si può agevolmente attribuire ad un pittore della cerchia degli
artisti vigevanesi che onorarono la nostra città a cavallo tra otto e
novecento.
Dopo questo intervento, si
segnala nel 1927 la sistemazione della casa del sagrestano, col
ballatoio e la scala esterna in muratura (prima erano in legno). Nel
1950 si provvide a ricostruire il campaniletto e rappezzare gli
intonaci esterni. Poco dopo furono rifatti in marmo rosso i due
gradini dell’altare in chiesa e la predella in
parquet.
IX – LA DECADENZA E LA RINASCITA
Il secondo dopoguerra, con le
trasformazioni sociali e anche urbanistiche di quest’angolo di
Vigevano, divenuta immediata periferia industriale, segnò un mutamento
radicale anche per la chiesa del Cristo. La frequentazione più
rarefatta, la precarietà della custodia e l’inarrestabile degrado
delle strutture architettoniche, segnarono un lento e inesorabile
declino dell’edificio sacro. Nel 1984, venuta a mancare la presenza di
un sagrestano, e a seguito di alcuni furti perpetrati ai danni della
suppellettile antica, si dovette chiudere al culto la chiesa. Presto i
segni del degrado si fecero pericolosi: il tetto della casa,
parzialmente crollato per la nevicata del 1985 fu rifatto a spese
della parrocchia. Anche dal punto di vista statico i problemi si
fecero preoccupanti: una serie di profonde lesioni sulla facciata, che
si estendevano alla volta dell’ingresso e minavano la statica della
cupola, erano i segni del dissesto dei muri di fondazione del lato
verso via dei mulini, accentuato dalla scorretta apposizione dei
carichi del campanile , reso pericolante per lo scollamento dei muri
sottostanti di chiesa e casa (risolto solo nel 2002). Le coperture
minacciavano rovina, l’intonaco esterno era quasi del tutto degradato;
l’umidità interna rendeva rovinoso l’aspetto dell’interno. Era
necessario intervenire quanto prima, se si voleva salvare questo
edificio, e con un intervento radicale ed accurato.
Un fattivo interessamento per la
salvaguardia della chiesa fu avviato da alcuni cittadini aderenti al
F.A.I. che promossero una campagna di sensibilizzazione a livello di
istituzioni e di cittadinanza che trovò l’appoggio della parrocchia di
San Pietro martire, proprietaria dell’immobile.
Si prese carico della parte progettuale
ed esecutiva, a titolo gratuito, il prestigioso studio degli arch.
Vielmi e Rossi di Vigevano, noto per interventi sul patrimonio
artistico cittadino (castello, chiostro dell’Assunta). Si era
nell’anno 1991.
All’inizio del 1992 fu elaborato un
progetto di interventi, coordinato dal prevosto mons. Cerri e dalla
delegazione F.A.I. di Pavia, con il contributo di enti, fondazioni,
associazioni, privati, professionisti e della Cooperativa muratori
e affini che intese ricordare il novantesimo di fondazione. Scopo
dell’intervento era il ripristino integrale della chiesa e dei locali
annessi, restituendo al culto chiesa e sagrestia e recuperando i
locali superiori per una destinazione culturale gestita dal F.A.I. I
lavori cominciarono lo stesso anno, con il rifacimento dei tetti della
chiesa e il riassetto statico e il consolidamento dell’intera
struttura, intervenendo particolarmente sulla cupola. Vennero inoltre
completamente rifatti gli intonaci interni ed esterni, dopo aver
tentato il risanamento del sottosuolo e delle murature. Con notevole
impegno, anche finanziario, si pose mano al recupero degli stucchi e
delle modanature della cupola. Furono consolidate le superfici e la
descialbatura permise il ritrovamento di tinte antiche insperate. Al
centro della cupola fu ritrovato l’affresco raffigurante angeli
musicanti, con annose lacune; i cartigli rilevarono cartelle
marmorizzate a finto marmo nero con scritte ormai illeggibili.
L’insieme, ripulito dalle pitture di inizio novecento, assumeva col
ripristino e il risarcimento accurato e discreto delle parti rovinate
un aspetto del tutto inimmaginabile agli inizi dei lavori,
perfettamente settecentesco. I restauri furono eseguiti dallo studio
Villa di Bergamo. L’altare marmoreo fu integralmente ripulito e
restaurato con integrazioni e stuccature.
La prima parte dei lavori si concluse
nell’inverno del 1995.
La chiesa poteva dirsi completata, ad
eccezione del pavimento da posare sulla gettata in cemento del vespaio
d’ areazione; la sagrestia,col pavimento percorso da trincee per
l’impianto di riscaldamento e le pareti scrostate, appena agibile,
mentre gli altri locali erano ancora impraticabili. In una domenica di
marzo del 1996, per la giornata nazionale del F.A.I., il Cristo fu
aperto per la prima volta a numerosi Vigevanesi e turisti nel suo
rinnovato, e inaspettato, splendore.
La sera del 1 maggio la chiesa è
finalmente riaperta al culto, per la recita quotidiana del S. Rosario.
Sull’altare è una vecchia tovaglia prestata da San Pietro martire; i
vecchi candelieri, trovati in solaio, sono allineati con le candele di
legno dipinto un pò inclinate; vasi di vetro scompagnati recano le
rose rosse dell’annoso albero rampicante sopravvissuto, presso la
scala del cortile, chi sa come, all’abbandono e al cantiere. Una
parrocchiana presta una piccola statua della Madonna in gesso. I
fedeli del vicinato cominciano ad affollare le funzioni: dalla legnaia
si riportano in chiesa i vecchi inginocchiatoi; gli scout prestano le
panchine, da cantine di gente amica saltano fuori vecchie sedie per le
persone che crescono ogni giorno di più di numero.
Da questo momento, si fa carico la
parrocchia di San Pietro martire di trovare il modo di finanziare il
completamento dei restauri. Nell’estate si rende agibile la sagrestia,
ripristinando il grande armadio; solo in seguito sarà restaurata la
credenza settecentesca (rifacendo le ante scolpite trafugate anni
prima), e si provvederanno mobili e arredi, per lo più antichi,
provenienti da donazioni o acquisti. Nel 1997 viene rifatto il
pavimento della chiesa, utilizzando in parte le vecchie piastrelle di
cotto variegato originarie e in parte elementi nuovi imitanti quelle
antiche. Nel 1999 si revisionano le coperture della casa e a
completare gli impianti elettrici e di illuminazione; è sistemato il
cortile, riparata la scala esterna e il ballatoio, aggiustati e
verniciati i serramenti, costruito un servizio igienico. Nel 2001 si
affronta l’ingente spesa della ristrutturazione del campanile e della
casa: la muratura, per oltre tre metri ridotta in precarie condizioni,
è integralmente sostituita con materiale coevo, e si rinnovano
completamente gli intonaci di tutte le parti esterne con calce
colorata, secondo i dettami della Sovrintendenza. Anche il campanile è
restaurato, intervenendo sui pilastri della cella e sanando le lesioni
strutturali, legando tra l’altro i muri di facciata di casa e chiesa.
Nel 2002 sono demoliti i solai in legno della casa, semicrollati, e
ricostruiti mantenendo le caratteristiche originali: il rifacimento
coinvolge pareti e pavimenti, recuperando l’ambiente sottostante come
seconda sagrestia e quello superiore come saletta per riunioni. Nel
2003 è integralmente restaurata la scala interna e i pavimenti in
cotto originali, sostituendo le parti rovinate con materiale antico.
Le pareti interne della chiese, danneggiate negli intonaci a causa
dell’umidità perdurante, sono pure restaurate. Negli stessi anni si
provvede alla suppellettile della chiesa, rovinata e in parte
sottratta durante gli anni d’incuria; candelieri, reliquiari e gli
altri arredi sono integralmente restaurati e affiancati da altri,
spesso d’epoca. Anche il corredo di biancheria è ripristinato, grazie
all’opera di donne volenterose; i paramenti antichi sono restaurati e
se ne aggiungono di nuovi. Nel 2000 è rinnovata la via Crucis e
restaurata la statua della Madonna (affiancata nel 2004 da quella del
Sacro Cuore, e, in sagrestia, dai simulacri dell’Immacolata e di San
Giuseppe). Nel 2003 viene messo in sicurezza il tabernacolo; è
restaurata l’antica campana, affiancandone altre due, intonate, a
formare un piccolo concerto. Nella primavera 2005 si provvede
all’impianto di riscaldamento della chiesa, con termoconvettore. Nelle
stesse settimane viene acquistato da una chiesa di Torino il grandioso
organo a canne per rendere più solenni le liturgie, a 6 registri e più
di 300 canne, collocato nell’allargata cantoria sull’ingresso. Seguono
i lavori di finitura degli intonaci esterni (già in parte compromessi
dall’umidità), ripristinando le parti decorative della facciata, e
ponendo canali di gronda sul campanile e sulla cupola.
Le numerose ultime opere sono state
realizzate con il contributo di fondazioni ed enti, ma soprattutto con
l’apporto costante e generose delle offerte dei fedeli.
XII TRADIZIONI E FESTE
Dopo la riapertura al culto, nel 1996, si
è tornato a festeggiare il giorno dell’Esaltazione della Santa Croce,
il 14 settembre, festa titolare della chiesa con un triduo di
predicazione e il Vespro cantato e la Messa solenne il giorno della
festa, conclusa con la benedizione con la reliquia della Santa Croce,
conservata abitualmente in sagrestia, esposta sull’altare in quei
giorni. Negli anni la partecipazione dei fedeli è continuamente
cresciuta insieme all’addobbo interno ed esterno della chiesa, così da
ricreare il clima di festa rionale d’altri tempi, che coinvolge
specialmente gli abitanti dei dintorni. Acconto ai riti religiosi, si
sono unite altre manifestazioni, come concerti di musica sacra (per lo
più da camera) e iniziative volta a raccogliere fondi per i restauri,
come l’incanto delle torte e il pozzo di San Patrizio. Fin dalla prima
edizione (2001) il concerto di chiusura delle feste patronali
cittadini per il Beato Matteo, che si svolge con grande partecipazione
nella chiesa di San Pietro martire la terza domenica d’ottobre, si è
prefissato la raccolta di fondi per i restauri del Cristo.
Fino alla chiusura della chiesa, la festa
del Cristo era molto sentita e partecipata, e continuava alla terza
domenica di settembre (dopo la festa della Madonna dei sette dolori).
Il più antico resoconto, si trova in una memoria del parroco di San
Cristoforo don Ambrogio Vismara, che nel 1790, parlando delle feste
della parrocchia scrive al n°10: finalmente, la domenica fra
l’ottava dell’Esaltazione della Santa Croce il Parroci nella chiesa
del Cristo, volgarmente detta “della Resega” celebra la festa solenne
della Santa Croce. Ivi assiste alle confessioni, canta la Messa
solenne, si dà la benedizione col SS.mo Sacramento alla mattina e alla
sera si mette alla riffa un agnello, dal quale per lo più si ricava il
doppio. Per tutto questo il parroco non riceve alcun emolumento
essendo l’amministratore e il benefattore di detta chiesa
Da qualche anno, poi, si usa festeggiare
con Messa solenne, esposizione del quadro, e bacio della reliquia, la
festa di San Luigi Gonzaga, il 21 giugno, con la partecipazione della
gioventù della parrocchia.
Durante l’anno, oltre alla recita
quotidiana del S. Rosario durante il mese di maggio, si svolge nei
venerdì di quaresima la pratica della Via Crucis. Il giovedì santo si
allestisce il tradizionale altare della reposizione, che viene
visitato da moltissimi fedeli, che hanno aggiunto il Cristo al giro
dei sette sepolcri. Il venerdì santo, poi, si espone, secondo
la tradizione, il crocefisso ligneo usualmente appeso in sagrestia.
Parlando di tradizioni, è bene accennare
a quanto raccontano i nostri vecchi. Nei tempi andati, si racconta, la
chiesa del Cristo era meta di quanti pregavano per essere liberati da
malattie o possessioni diaboliche. Venivano davanti all’altare
recitate dai sacerdoti preposti, le preghiere rituali di esorcismo, a
cui seguiva la benedizione con la reliquia della Santa Croce. Essa,
d’altronde, è lo strumento di vittoria che ha cancellato nell’uomo,
redento dal Cristo salvatore il peccato. I vecchi, per l’appunto, a
confermare questa usanza, mostrano le quattro figure grottesche che
ornano i cartigli degli spicchi della cupola, appena sopra i
cornicioni: quelli verso l’altare hanno sembianze demoniache (con
corna molto ben marcate).
XIII – UN PO’ DI CATECHESI
In otto cartigli della cupola sono state
dipinte alcune scritte in latino, inneggianti alla Santa Croce, tratte
dal Breviarium Romanum
per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Può essere
interessante leggerle e commentarle.
Cominciamo dalla calotta della cupola:
verso l’altare i due cartigli vanno letti assieme, da destra:
PER LIGNUM / SERVI / FACTI SUMUS
e PER LIGNUM / REDEMPTI / SUMUS
(ant.1 vesperis)
PER IL LEGNO SIAMO STATI FATTI SCHIAVI - PER
IL LEGNO SIAMO STATI REDENTI.
A causa del
frutto dell’albero del Paradiso Terrestre (lignum)
Adamo e la sua discendenza furono prigionieri del peccato, fino a
Cristo, nuovo Adamo, che con la sua morte sul legno della Croce ha
redento dal peccato l’umanità.
Lo stesso per
i due cartigli di fronte, verso l’ingresso:
HOC SIGNUM / CRUCIS ERIT / IN COELO e CUM
DOMINUS / AD IUDICANDUM / VENERIT
(ant. 1
Vesperis)
QUEESTO SEGNO DELLA CROCE SARA’ IN CIELO
QUANDO VERRA’ IL SIGNORE A GIUDICARE
Il segno della
Croce, strumento della redenzione dell’umanità, sarà il cielo il
giorno del giudizio universale, quando Cristo verrà nella
gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo Regno non avrà fine.
Sulla cupola,
a destra, verso l’altare:
CHRISTE REX / PRO NOBIS IN CRUCE / EXALTATUS
(ant. Inviatatorium in
matutinum)
CRISTO RE
PER NOI INNALZATO SULLA CROCE
Come nell’Antica Alleanza il serpente
innalzato sulla verga di Aronne fu strumento di salvezza per il popolo
d’Israele, così Cristo, Figlio di Dio, appeso alla croce è il mezzo
per cui sono salvati i battezzati, nuovo popolo d’Israele. La croce è
il trono da cui regna e sconfigge le tenebre e il peccato Cristo, Re e
Signore dell’Universo
Nel cartiglio a sinistra:
SALVATOR
MUNDI / SALVA NOS / PER CRUCEM TUAM
(ant.
In III nocturno)
SALVATORE DEL MONDO SALVACI PER LA TUA CROCE
La Croce di
Cristo, nel misterioso compimento della volontà di Dio, è il mezzo
della redenzione dell’uomo, che viene così associato alla passione e
morte del Signore per essere con lui glorificati nella Sua
resurrezione.
Nel cartiglio
a destra, verso l’ingresso:
ECCE CRUCEM DOMINI / FUGITE / PARTES ADVERSAE
(ant. I
ad Laudes)
ECCO LA CROCE DEL SIGNORE : FUGGANO I SUOI
NEMICI
La croce di
Cristo ha salvato l’umanità spezzando il giogo del peccato che
allontana gli uomini da Dio: il diavolo è così sconfitto e la morte
non ha più potere.
In quello a
sinistra:
CHRISTE / PER CRUCEM TUAM / REDEMISTI MUNDUM
(ant.
In III nocturno)
CRISTO, PER LA TUA CROCE HAI REDENTO IL MONDO
Il mondo, pur
ferito dal peccato, ha la possibilità di partecipare alla sua
redenzione, attraverso la croce di Cristo.
XIV – GUIDA
ARTISTICA
La chiesa del
Cristo
si affaccia oggi direttamente sulla strada, preceduta da un breve
marciapiede, niente affatto sicuro per i passanti. Davanti, si nota,
tra il selciato di via Rossini la sagoma del vecchio sagrato,
delineato da pianelle in sasso recanti la scritta P.P.
Esso si estendeva in forma di
trapezio irregolare, seguendo il corso della via Rossini (un tempo più
stretta e delimitata da alte siepi) deviante verso l’imbocco di via
del Carmine. Era delimitato da pilastrini in granito rosa (tre verso
via dei mulini e tre dalla parte opposta) collegati da stanghe di
ferro. Le due file, al centro, erano separate da una colonnina senza
spranghe per l’accesso; i pilastrini furono purtroppo rimossi negli
anni cinquanta del novecento, per pretese ragioni viabilistiche:
rimane solo uno di essi, murato nel muro della casa, sullo spigolo.
La facciata
della chiesa è sviluppata verticalmente, delimitata da due lesene
d’ordine gigante terminanti in capitelli corinzi su basi che
sostengono il timpano triangolare e il cornicione sottostante
mistilineo che segue un’ampia riquadratura delimitata da cornice, che
conteneva una riproduzione ad affresco del dipinto sull’altare, già
del tutto scomparso agli inizi del novecento. Il portale, è delimitato
da paraste e sormontato di timpano ad arco ribassato con al centro un
riquadro decorativo.
Il fianco
verso via Rossini, libero, mostra l’elegante decorazione a paraste
e lesene a due ordini: quello superiore presenta nei lati corti
riquadri sagomati. La facciatina del braccio laterale mostra in alto
la finestra mistilinea: quella rettangolare, in basso, fu aperta
nell’ottocento per migliorare l’illuminazione interna, senza alcuna
connessione con l’insieme architettonico. Sopra il tetto si eleva la
cupola, intradossata, coperta da semplice tetto a otto falde
sostenuto da pilastrini in mattoni: nei lati dritti si aprono finestre
mistilinee. Questa parte della chiesa non fu mai completata, e rimase
al rustico; sul colmo della cupola alcuni mattoni reggono un pomo in
sasso reggente la croce in ferro. Accanto alla facciata, addossato, è
il campanile, la cui cella, aperta da finestre rettangolari, si
eleva appena sopra l’innesto del timpano della facciata. Vi è
collocato un piccolo concerto di tre campane, inaugurato dal Vescovo
mons. Baggini, il 14 settembre 2003: la maggiore, risalente al 1690 è
la più antica campana funzionante su un campanile della città; le due
minori sono le più recenti.
Accanto è la semplice facciata della casa abitata un tempo dal
custode: la finestra più piccola, in basso, recava un tempo
un’elegante sagomatura barocca, non più ripresa dopo i restauri del
2002. Oltre si apre un piccolo cortiletto alberato con portico adibito
a deposito della parrocchia; un roseto rampicante da ottant’anni
decora la scala esterna.
Si accede all’
interno dal portone in legno, consolidato e restaurato
recentemente, che reca all’interno, nelle ante superiori, l’incisione
1751. Nell’andito, a sinistra,
è appesa un’artistica scultura realizzata e donata nel 1998 alla
chiesa dall’artista vigevanese Angelo Penza raffigurante il Cristo
crocefisso. Sopra l’ingresso è la cantoria in legno, decorato con
specchiatura di gusto ottocentesco, ampliata nel 2005 in occasione
della collocazione dell’organo liturgico a canne, acquistato
dalla basilica di San Lorenzo di Torino. Lo strumento, giudicato di
pregio, della casa organaria Chichi-Tamburini, è stato realizzato nel
1972 e restaurato nel 1995 e nel 2005 nella nuova collocazione; ha 6
registri e 300 canne.
Oltre la
tribuna, alzando gli occhi si può ammirare la splendida architettura
della chiesa: pur nelle ridottissime dimensioni, l’ignoto architetto
ha realizzato un organismo elegante e grandioso, proiettato
nell’artistica cupola, riccamente decorata con stucchi a forte
rilievo. La chiesa è a pianta centrale e corpo ottagonale con quattro
bracci perpendicolari: quelli dell’ingresso e dell’altare sono
dilatati e coperti da volta a botte ornata di tre cassettoni
baroccamente sagomati in riquadrature ornate di volute e teste di
putto in stucco. Le pareti laterali sono percorse da semplici lesene
terminanti in un cornicione aggettante con particolari di gusto
classico. I lati trasversali dell’ottagono sono occupati da grandi
basi per le sovrastanti colonne binate con riquadro a finto marmo;
quelli verso l’ingresso recano due acquasantiere a forma di conchiglia
in marmo rosso; verso l’altare a destra, è la vecchia cassetta delle
elemosine in ferro, con cartiglio con scritta dorata. Sopra le basi si
elevano otto colonne binate dipinte in nero terminanti in capitelli in
stucco di eleganti linee barocche con volute, riccioli, frutti, fiori
e volti di putti. Le lunette dei bracci sono occupate lateralmente da
finestre mistilinee (quella sinistra è solo dipinta), sopra
l’ingresso, dalle canne di facciata (in zinco) dell’organo, e
sull’altare da un affresco raffigurante tre angeli con nuvole e
palmette (simboli del martirio) di inizio novecento. Sopra il
cornicione si innesta il tamburo della cupola, occupato nelle
vele sopra le colonne da quattro grandi cartigli mistilinei delimitati
da cornici in stucco che, attraverso festoni con frutti, si collegano
ad altrettanti medaglioni ovali sopra gli archi dei bracci. Sopra i
cartigli (che recano su fondo nero marmorizzato scritte in oro
inneggianti alla Santa Croce) sono volti d’angelo alati, e sotto facce
grottesche. Questa parte è conclusa da una cornice recante decorazioni
a rilievo colorato che lasciano il posto, sulla sommità, a curiose
decorazioni in stucco a motivi alternati. Qui comincia la vera calotta
della cupola, innestata però a filo dei muri inferiori; in questo
modo, unitamente all’illuminazione soffusa di quattro finestre
mistilinee, è creato un singolare effetto prospettico che pare
dilatare ulteriormente gli spazi. Le finestre sono incorniciate da
decorazioni in stucco con volute e putti sovrastate da cartelle simili
a quelle sottostanti, a loro volta inquadrate da cornici con
decorazioni e conchiglie. Lateralmente si allungano otto fasce
decorative costituite da teorie di frutti terminanti con figure intere
di putti che sostengono l’articolata cornice, con parti dorate, a
forte rilievo, contenenti un affresco di angeli musicanti con putti e
strumenti musicali, di curiosa fattura arcaizzante, coeva alla cupola
(1750 circa): al centro tre cerchi di volto d’angelo delimitano una
raggiera eucaristica. Il dipinto mostra gravi lacune, non risarcite
durante l’ultimo restauro, e già esistenti nel 1901; in occasione di
quell’intervento l’affresco era stato coperto da un dipinto
raffigurante la colomba dello Spirito Santo.
Nella parete
del braccio sinistro sono allineate le stazioni della via Crucis: le
cornici in legno dorato appartengono i quadretti originari, un tempo
appesi alle pareti, contenenti preziose stampe settecentesche. Furono
trafugate anni fa e furono rimpiazzate dalle attuali riproduzioni a
colore, benedette il 14 settembre 2001.
L’unico
altare è sovrastato dall’affresco contenuto in nicchia centinata
ad arco (lo spessore è dipinto a finto marmo), protetta da vetro con
cornice in legno e gesso decorato e dorato di metà ottocento. A quell’epoca
appartiene l’ancona dipinta con tinte imitanti il marmo con illusioni
di rilievo architettonico (la si osservi di lato per coglierle). Di
gusto neoclassico, è costituita da due colonne con capitello ionico
reggenti la trabeazione culminante in volute di gusto classico.
Sollevato da
due gradini in marmo rosso (rifatti modernamente), si trova l’elegante
altare di linee barocche in marmi policromi elegantemente sagomati: di
particolare pregio l’articolato paliotto sotto la mensa; questa
presenta il vano della pietra sacra col sacello delle reliquie e le
croci della consacrazione. Abbiamo già accennato circa la provenienza
originale dell’altare, eseguito da maestranze lombarde di inizio sec.
XVIII. Ai lati dell’alzata per i candelieri è il grande tabernacolo
marmoreo, di elaborata architettura: lo sportello è incorniciato da
pilastrini con capitelli corinzi in stucco. Il tabernacolo in metallo
a cassaforte è stato collocato nel 2003, restaurando e dorando lo
sportellino in lamina di rame sbalzata con l’esaltazione della Santa
Croce (inizi sec. XIX). Dal 5 aprile 2000, col permesso del Vescovo,
si conserva regolarmente il SS. Sacramento. Ai lati sono sospese due
lampade in ottone e in alto una corona in legno scolpito e dorato
(seconda metà sec. XVIII) da cui si tende il padiglione in seta nelle
feste solenni, secondo l’antica consuetudine. A lato dell’altare, a
destra, è l’incavo per le ampolline, con cornici in stucco.
All’incontro
dei bracci laterali, su basamenti in legno di noce scolpito (ricavati
dagli inginocchiatoi dello Scurolo del Beato Matteo, di inizio
novecento), sono le statue in gesso della Madonna Assunta e del Sacro
Cuore di Gesù. Accanto, tra le colonne, due quadri raffigurano San
Pio da Pietralcina e il Beato Giovanni XXIII. Accanto al finestrone
del braccio destro (entro cornici) e tra le colonne verso l’altare
sono appesi molti cuori ex voto in metallo e argento, alcuni dei quali
aggiunti negli ultimi anni; un tempo erano ancor più numerosi e
ricoprivano le colonne e le pareti attorno al dipinto del Cristo
Crocefisso. I banchi, moderni, sono stati offerti nel 1999; i vecchi
inginocchiatoi, ottocenteschi, sono collocati nelle stanze al piano
superiore della casa.
Nel braccio
sinistro si apre la porta che conduce alla sagrestia, locale
piuttosto vasto, coperto da volta a padiglione con vela in
corrispondenza della finestra. La parete verso la chiesa è occupata
dal banco da comunione in noce, baroccamente sagomato (sec. XVIII) un
tempo davanti ai gradini dell’altare a mò di balaustra. Sopra è appeso
un grande crocefisso ligneo dipinto, della seconda metà del ‘700, e
accanto due medaglioni in stucco con il volto della Madonna Addolorata
e di San Giovanni Apostolo, importanti sculture del settecento
lombardo, singolari per la forte espressività drammatica. Erano appesi
accanto all’affresco, in chiesa; sono stati restaurati nel 1998
recuperando la cromia antica. Dalla parte opposta è la bella credenza
in legno di noce del 1754: sottratte le ante e compromessa gravemente
da tarli ed umidità, è stata reintegrata e restaurata nel 2002. A lato
è un grande armadio murato in legno (coevo alla costruzione della
sagrestia) restituito nel 1998 (era ricoperto d’intonaco da muro) e di
fronte un mobile di fine ottocento, dalla tipica conformazione da
sagrestia, acquistato nel 2002. Dal soffitto pende un prezioso
lampadario ottocentesco, in cristallo, donato nel 2004. La chiesa
possiede alcuni pregevoli arredi settecenteschi: una serie di
carteglorie, reliquiari ad ostensorio e candelieri recanti nel piede
la Crocefisso, in lamina di rame argentato sbalzato e cesellato,
completamente restaurati recentemente; si sono aggiunti numerosi altri
arredi per la maggior parte antichi, con acquisti mirati dal mercato
antiquario. Si è andato ad arricchire il corredo di paramenti sacri,
ricostituendo quello originario, solo in parte giunto a noi.
Attraverso una
porta, antica, si accede al corridoio che immette in un locale di
servizio, con soffitto ligneo (restaurato), ove si ripongono gli
arredi della chiesa. Si noti il grande armadio con ante sagomate degli
inizi del sec. XVII (giaceva ridipinto e tarlato in un deposito della
Parrocchia). Per una porticina si accede al piano superiore,
attraverso la scaletta a chiocciola in mattoni, piuttosto irregolare,
ripristinata nel 2002. Dal ballatoio si accede alla cantoria della
chiesa, alle corde delle campane e a un corridoio che immette in una
saletta per incontri con soffitto ligneo anch’esso restaurato; tra i
mobili antichi, l’armadio contenente l’archivio della chiesa, con ante
sagomate in stile di inizio ottocento (donato nel 2001). Nell’altro
locale, si noti il pavimento originario in cotto variegato (analogo a
quello della chiesa).
XV –
PREGHIERA AL SS. CROCEFISSO
Nel settembre
2003, a seguito di numerose richieste, sono state stampate in migliaia
di copie le immagini con la riproduzione del SS. Crocefisso e la
preghiera appositamente composta dal Vescovo mons. Baggini.
SIGNORE GESU’ CRISTO, SIAMO QUI DAVANTI A TE
A RENDERTI GRAZIE PERCHE’ OFFRENDO LA TUA VITA E VERSANDO IL TUO
SANGUE SULLA CROCE, HAI REDENTO L’INTERA UMANITA’ E HAI CANCELLATO I
PECCATI DEL MONDO. DA QUATTRO SECOLI ATRAVERSO QUESTA SACRA IMMAGINE
TU DISPENSI ABBONDANTI GRAZIE AI TUOI FEDELI E
ORA CI RINNOVI L’INVITO A VENIRE A TE. GUARDA A NOI CHE DAVANTI AL TUO
ALTARE IMPLORIAMO LA TUA DIVINA MISERICORDIA. PER I MERITI DELLA TUA
PASSIONE E MORTE, ACCOGLI LA NOSTRA DOMANDA DI PERDONO E DI AIUTO, E
DEGNATI DI CONCEDERCI LE GRAZIE CHE CON CUORE SINCERO IMPLORIAMO. TE
LO CHIEDIAMO FIDUCIOSI NELL’INTERCESSIONE DEI SANTI FRANCESCO E
CATERINA GENUFLESSI AI TUOI PIEDI. INSEGNINO A NOI LA VIA PER SEGUIRE
TE E UNIRE LA NOSTRA VITA AL SACRIFICIO DELLA CROCE CHE OGNI GIORNO
RINNOVIAMO NELL’EUCARISTIA. AMEN
CHRISTO
REGE