ATTO SECONDO
SCENA I
Una sala terrena nel Castello.
Una invetriata la divide da un grande giardino. Un verone.
Jago al di qua del verone. Cassio al di là.
JAGO: (al di qua del verone, a Cassio)
Non ti crucciar. Se credi a me, tra poco
farai ritorno ai folleggianti amori
di Monna Bianca, altiero capitano,
coll'elsa d'oro e col balteo fregiato.
CASSIO: (al di là del verone)
Non lusingarmi. . .
JAGO:
Attendi a ciò ch'io dico.
Tu dêi saper che Desdemona è il Duce
del nostro Duce, sol per essa ei vive.
Pregala tu, quell'anima cortese
per te interceda e il tuo perdono è certo.
CASSIO:
Ma come favellarle?
JAGO:
è suo costume
girsene a meriggiar fra quelle fronde
colla consorte mia. Quivi l'aspetta.
Or t'è aperta la via di salvazione.
Vanne.
(Cassio s'allontana)
ATTO SECONDO
SCENA II
Jago solo
JAGO: (seguendo coll'occhio Cassio)
Vanne; la tua meta già vedo.
Ti spinge il tuo dimone,
e il tuo dimon son io.
E me trascina il mio, nel quale io credo,
inesorato Iddio.
(allontanandosi dal verone seza più guardar Cassio che sarà scomparso
fra gli alberi)
Credo in un Dio crudel che m'ha creato
simile a sè e che nell'ira io nomo.
Dalla viltà d'un germe o d'un atòmo
vile son nato.
Son scellerato
perchè son uomo;
e sento il fango originario in me.
Sì! questa è la mia fe'!
Credo con fermo cuor, siccome crede
la vedovella al tempio,
che il mal ch'io penso e che da me procede,
per il mio destino adempio.
Credo che il guisto è un istrion beffardo,
e nel viso e nel cuor,
che tutto è in lui bugiardo:
lagrima, bacio, sguardo,
sacrificio ed onor.
E credo l'uom gioco d'iniqua sorte
dal germe della culla
al verme dell'avel.
Vien dopo tanta irrision la Morte.
E poi? E poi? La Morte è il Nulla.
è vecchia fola il Ciel.
(Si vede passare nel giardino Desdemona con Emilia. Jago si slacia al
verone, al di là del quale è appostato)
JAGO: (a Cassio)
Eccola. . .Cassio. . .a te. . .Questo è il momento.
Ti scuoti. . .vien Desdemona.
(Cassio va verso Desdemona, la saluta, le s'accosta)
S'è mosso; la saluta
e s'avvicina.
Or qui si tragga Otello!. . .aiuta, aiuta
Sàtana il mio cimento!
Già conversano insieme. . .ed essa inclina,
sorridendo, il bel viso.
(si vedono ripassare nel giardino Cassio e Desdemona)
Mi basta un lampo sol di quel sorriso
per trascinare Otello alla ruina.
(fa per avviarsi rapido all'uscio del lato destro, ma s'arresta
subitamente)
Andiam. . .Ma il caso in mio favor s'adopra.
Eccolo. . .al posto, all'opra.
(Si colloca immoto al verone, guardando fissamente verso il giardino,
dove stanno Cassio e Desdemona)
ATTO SECONDO
SCENA III
Jago e Otello
JAGO: (simulando di non aver visto Otello e fingendo di parlare fra sè)
Ciò m'accora.
OTELLO:
Che parli?
JAGO:
Nulla. . .voi qui? una vana
voce m'uscì dal labbro. . .
OTELLO:
Colui che s'allontana
dalla mia sposa, è Cassio?
JAGO:
Cassio? No. . .quei si scosse
come un reo nel vedervi.
OTELLO:
Credo che Cassio ei fosse.
JAGO:
Mio signore. . .
OTELLO:
Che brami?
JAGO:
Cassio, nei primi dì del vostro amor,
Desdemona non conosceva?
OTELLO:
Sì.
Perchè fai tale inchiesta?
JAGO:
Il mio pensiero è vago d'ubbie,
non di malizia.
OTELLO:
Di' il tuo pensiero, Jago.
JAGO:
Vi confidaste a Cassio?
OTELLO:
Spesso un mio dono o un cenno
portava alla mia sposa.
JAGO:
Dassenno?
OTELLO:
Si, dassenno.
Nol credi onesto?
JAGO: (imitando Otello)
Onesto?
OTELLO:
Che ascondi nel tuo core?
JAGO:
Che asondo in cor, signore?
OTELLO:
"Che ascondo in cor, signore?"
Pel cielo, tu sei l'eco dei detti miei, nel chiostro
dell'anima ricetti qualche terribil mostro.
Sì, (declamato) ben t'udii poc'anzi mormorar: "Ciò m'accora."
Ma di che t'accoravi? Nomini Cassio e allora
tu corrughi la fronte. Suvvia, parla, se m'ami.
JAGO:
Voi sapete ch'io v'amo.
OTELLO:
Dunque senza velami
t'esprimi, e senza ambagi.
T'esca fuor dalla gola
il tuo più rio pensiero colla più ria parola.
JAGO:
S'anco teneste in mano tutta l'anima mia
nol sapreste.
OTELLO:
Ah!
JAGO: (avvicinandosi molto ad Otello e sottovoce)
Temete, signor, la gelosia!
è un'idra fosca, livida, cieca, col suo veleno
sè stessa attosca, vivida piaga le squarcia il seno.
OTELLO:
Miseria mia! No! il vano sospettar nulla giova.
Pria del dubbio l'indagine, dopo il dubbio la prova,
dopo la prova (Otello ha sue leggi supreme),
amore e gelosia vadan dispersi insieme!
JAGO:
Un tal proposto spezza di mie labbra il suggello.
JAGO:
Non parlo ancor di prova, pur, generoso Otello,
vigilate. . .soventi le oneste e ben create
coscienze non vedono la frode: (sottovoce) vigilate.
Scrutate le parole di Desdemona, un detto
può ricondur la fede, può affermare il sospetto.
VOCI LONTANO:
Dove guardi splendono
raggi, avvampan cuori,
dove passi scendono
nuvole di fiori.
Qui fra gigli e rose,
come a un casto altare,
padri, bimbi, spose
vengono a cantar.
(Si vede ricomparire Desdemona nel giardino, dalla vasta apertura del
fondo: esse è circondata da donne dell'isola, da fanciulle, da marinai
cipriotti e albanesi che si avanzano e le offrono fiori e rami fioriti
ed altri doni. Alcuni s'accompagnano, cantando, sulla guzla (una
specie di Mandòla), altri hanno delle piccole arpe ad armascollo)
JAGO:
Eccola. . .vigilate.
(Una parte del Coro in scena; uniti a questa vi sarrano dei figuranti
con Mandolini, Chitarre e Cornamuse. L'altra parte resterà dietro la
tela, unitamente ai suonatori di Mandolini, Chittare e Cornamuse)
VOCI: Dove guardi splendono
raggi, avvampan cuori,
dove passi scendono
nuvole di fiori.
Qui fra gigli e rose,
come a un casto altare,
padri, bimbi, spose
vengono a cantar.
FANCIULLI: (spargendo al suolo fiori di giglio)
T'offriamo il giglio soave stel
che in man degl'angeli fu assunto in ciel,
che abbella il fulgido manto
e la gonna della Madonna
e il santo vel.
DONNE E MARINAI:
Mentre all'aura vola
lieta la canzon,
l'agile mandòla
ne accompagna il suon.
MARINAI: (offrendo a Desdemona dei monili di corallo e di perle)
A te le porpore, le perle e gli ostri,
nella voragine còlti del mar.
Vogliam Desdemona coi doni nostri
come un'immagine sacra adornar.
DONNE E FANCIULLI:
Mentre all'aura vola
lieta la canzon,
l'agile mandòla
ne accompagna il suon.
LE DONNE: (spargendo fronde e fiori)
A te la florida messe dai grembi
spargiam al suolo, a nembi, a nembi.
L'april circonda la sposa bionda
d'un etra rorida che vibra al sol.
FANCIULLI E MARINAI:
Mentre all'aura vola etc. . .
TUTTI:
Dove guardi splendono raggi etc. . .
DESDEMONA:
Splende il cielo, danza
l'aura, olezza il fior.
OTELLO:
Quel canto mi conquide.
S'ella m'inganna, il ciel se stesso irride!
JAGO:
Beltà ed amor in dolce inno concordi!
I vostri infrangerò soavi accordi.
DESDEMONA:
Gioia, amor, speranza
cantan nel mio cor.
CIPRIOTI: Vivi felice! vivi felice!
Addio. Qui regna Amor.
OTELLO:
Quel canto mi conquide.
ATTO SECONDO
SCENA IV
(Finito il Coro, Desdemona bacia la testa d'alcuni tra i fanciulli, e
alcune donne le baciano il lembo della veste, ed essa porge una borsa
ai marinai. Il Coro s'allontana. Desdemona, seguita poi da Emilia,
entra nella sala e s'avanza verso Otello)
DESDEMONA: (a Otello)
D'un uom che geme sotto il tuo disdegno
la preghiera ti porto.
OTELLO:
Chi è costui?
DESDEMONA:
Cassio.
OTELLO:
Era lui
che ti parlava sotto quelle fronde?
DESDEMONA:
Lui stesso, e il suo dolor che in me s'infonde
tanto è verace che di grazia è degno.
Intercedo per lui, per lui ti prego.
Tu gli perdona.
OTELLO: (con asprezza)
Non ora.
DESDEMONA:
Non oppormi il tuo diniego.
Gli perdona.
OTELLO:
Non ora.
DESDEMONA:
Perchè torbida suona la voce tua?
Qual pena t'addolora?
OTELLO:
M'ardon le tempie.
DESDEMONA: (spiegando il suo fazzoletto come per fasciare la fronte
d'Otello)
Quell'ardor molesto
svanirà, se con questo
morbido lino la mia man ti fascia.
OTELLO: (getta il fazzoletto a terra)
Non ho d'uopo di ciò.
DESDEMONA:
Tu sei crucciato, signor.
OTELLO: (aspramente)
Mi lascia! mi lascia!
(Emilia raccoglie il fazzoletto dal suolo)
DESDEMONA:
Se inconscia, contro te, sposo, ho peccato,
dammi la dolce e lieta parola del perdono.
OTELLO: (a parte)
(Forse perchè gl'inganni
d'arguto amor non tendo. . )
DESDEMONA:
La tua fanciulla io sono
umile e mansueta;
ma il labbro tuo sospira,
hai l'occhio fiso al suol.
Guardami in volto e mira
come favella amor.
Vien ch'io t'allieti il core,
ch'io ti lenisca il duol.
Guardami in volto e mira, etc. . .
OTELLO:
(. . .forse perchè discendo
nella valle degli anni,
forse perchè ho sul viso
quest'atro tenebror. . .
forse perchè gl'inganni d'arguto
amor non tendo, etc. . .
Ella è perduta è irriso
io sono e il core m'infrango
e ruinar nel fango
vedo il mio sogno d'or.
Ella è perduta e irriso, etc. . )
JAGO: (a Emilia sottovoce)
(Quel vel mi porgi
ch'or hai raccolto.
EMILIA: (sottovoce a Jago)
(Qual frode scorgi?
Ti leggo in volto.
JAGO:
T'opponi a vôto
quand'io commando.
EMILIA:
Il tuo nefando
livor m'è noto.
JAGO:
Sospetto insano!
EMILIA:
Guardia fedel
è questa mano.
JAGO:
Dammi quel vel!
(afferra violentemente il braccio di Emilia)
Su te l'irosa mia man s'aggrava!
EMILIA:
Son la tua sposa,
non la tua schiava.
JAGO:
La schiava impura
tu sei di Jago.
EMILIA:
Ho il cor presago
d'una sventura.
JAGO:
Né mi paventi?
EMILIA:
Uomo crudel!
JAGO:
A me.
EMILIA:
Che tenti?
JAGO:
A me quel vel!
(con un colpo di mano Jago ha carpito il fazzoletto ad Emilia)
EMILIA:
Uomo crudel!
JAGO: (a sé stesso)
(Già la mia brama
conquido, ed ora
su questa trama
Jago lavora!)
EMILIA: (a sé stessa)
(Vinser gli artigli
truci e codardi.
Dio dai perigli
sempre ci guardi)
DESDEMONA:
Dammi la dolce e lieta parola del perdon.
OTELLO:
Escite! Solo vo' restar.
JAGO: (sottovoce ad Emilia che sta per escire)
Ti giova tacer. Intendi?
(Desdemona ed Emilia escono. Jago finge d'escire dalla porta del
fondo, ma giuntovi s'arresta)
ATTO SECONDO
SCENA V
Otello, Jago sul fondo
OTELLO: (accasciato, su d'un sedile)
Desdemona rea!
JAGO: (nel fondo guardando di nascosto il fazzoletto, poi riponendolo
con cura nel giustacuore)
(Con questi fili tramerò la prova
del peccato d'amor. Nella dimora
di Cassio ciò s'asconda)
OTELLO:
Atroce idea!
JAGO: (fissando Otello)
(Il mio velen lavora)
OTELLO:
Rea contro me! contro me!
JAGO: (cupo)
(Soffri e ruggi!)
OTELLO:
Atroce! atroce!
JAGO:
Non pensateci più.
(dopo essersi portato accanto ad Otello, bonariamente)
OTELLO: (balzando)
Tu? Indietro! fuggi!
M'hai legato alla croce! Ahimè!
Più orrendo d'ogni orrenda ingiuria
dell'ingiuria è il sospetto.
Nell'ore arcane della sua lussuria
(e a me furate!) m'agitava il petto
forse un presagio! Ero baldo, giulivo.
Nulla sapevo ancora; io non sentivo
sul suo corpo divin che m'innamora
e sui labbri mendaci
gli ardenti baci
di Cassio! Ed ora! ed ora. . .
Ora e per sempre addio sante memorie,
addio, sublimi incanti del pensier!
Addio schiere fulgenti, addio vittorie,
dardi volanti e volanti corsier!
Addio, vessillo trionfale e pio,
e diane squillanti in sul mattin!
Clamori e canti di battaglia, addio!
Della gloria d'Otello è questo il fin.
JAGO:
Pace, signor.
OTELLO:
Sciagurato! mi trova una prova secura
che Desdemona è impura. . .
Non sfuggir! nulla ti giova!
Vo' una secura, una visibil prova!
O sulla tua testa
s'accenda e precipiti il fulmine
del mio spaventoso furor che si desta!
(Afferra Jago alla gola e lo atterra)
JAGO:
Divina grazia difendimi!
(alzandosi) Il cielo vi protegga. Non son più vostro alfiere.
Voglio che il mondo testimon mi sia
che l'onestà è periglio.
(fa per andarsene)
OTELLO:
No. . .rimani. Forse onesto tu sei.
JAGO: (sulla soglia fingendo d'andarsene)
Meglio varebbe ch'io fossi un ciurmador.
OTELLO:
Per l'universo!
Credo leale Desdemona e credo
che non lo sia. Te credo onesto e credo
disleale. . .La prova io voglio!
Voglio la certezza!
JAGO: (ritornando verso Otello)
Signor, frenate l'ansie.
E qual certezza v'abbisogna?
Avvinti vederli forse?
OTELLO:
Ah, morte e dannazione!
JAGO:
Ardua impresa sarebbe; e qual certezza
sognate voi se quell'immondo fatto
sempre vi sfuggirà? Ma pur se guida
è la ragione al vero, una sì forte
congettura riserbo che per poco alla
certezza vi conduce. Udite.
(avvicinandosi molto ad Otello e sottovoce)
Era la notte, Cassio dormìa,
gli stavo accanto.
Con interrotte voci tradia
l'intimo incanto.
Le labbra lente, lente movea,
nell'abbandono
del sogno ardente, e allor dicea,
con flebil suono:
(sottovoce parlate)
"Desdemona soave! Il nostro amor s'asconda.
Cauti vegliamo! L'estasi del ciel
tutto m'innonda."
Seguìa più vago l'incubo blando;
con molle angoscia
l'interna imago quasi baciando,
ei disse poscia:
(sempre sottovoce)
"Il rio destino impreco
che al Moro ti donò".
E allora il sogno
in cieco letargo si mutò.
OTELLO:
Oh! mostuosa colpa!
JAGO:
Io non narrai che un sogno.
OTELLO:
Un sogno che rivela un fatto.
JAGO:
Un sogno che può dar forma di prova
ad altro indizio.
OTELLO:
E qual?
JAGO:
Talor vedeste
in mano di Desdemona un tessuto trapunto
a fior e più sottil d'un velo?
OTELLO:
È il fazzoletto ch'io le diedi,
pegno primo d'amor.
JAGO:
Quel fazzoletto ieri
(certo ne son) lo vidi in man di Cassio.
OTELLO:
Ah! Mille vite gli donaJagosanguesangueSìiuJago lo trattiene
inginocchiato)
JAGO: (s'inginocchia anch'esso)
Non v'alzate ancor!
Testimon è il Sol ch'io miro,
che m'irradia e inanima
l'ampia terra e il vasto spiro
del Creato inter,
che ad Otello io sacro ardenti,
core, braccio ed anima
s'anco ad opere cruenti
s'armi il suo voler!
JAGO e OTELLO: (alzando le mani al cielo come chi giura)
Sì, pel ciel marmoreo giuro!
Per le attorte folgori!
Per la Morte e per l'oscuro mar sterminator!
D'ira e d'impeto tremendo presto fia
che sfolgori questa man ch'io levo e stendo!
Dio vendicator!