Altro masque (In maschera, cantato e danzato)
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STEFANO - Quel tuo folletto, che a sentire te, mostro, non
ci doveva far del male, s’è portato con noi, né più né meno, come un qualunque
fior di farabutto.
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TRINCULO - O, re Stefano! O Pari! O degno Stefano! Guarda,
guarda che ricco guardaroba c’è qui in serbo per te.
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Finché di questa terra sarò re, l’arguzia troverà la sua
mercé.
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La fine degli incantesimi
ATTO QUINTO
SCENA I – Davanti alla grotta di Prospero il cui ingresso è semichiuso
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Il mio disegno sta venendo a capo; gl’incantesimi vanno
tutti a segno; i miei folletti mi sono obbedienti ed il tempo procede a mio
favore.
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ARIELE - L’ora sesta; quella in cui mi dicesti, mio signore,
che sarebbe cessato il nostro impegno.
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Va’ dunque a liberarli, Ariele, presto. Vo’ romper
gl’incantesimi, restituire a ciascuno di loro la perduta ragione, a far che
tornino nuovamente se stessi.
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Spezzerò questa mia verga magica, e la seppellirò ben
sottoterra e in mare scaglierò tutti i miei libri, che vadano a sommergersi più
in fondo di quanto mai sia sceso uno scandaglio.
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PROSPERO - (Ad Alonso) Guardami adesso, re: io sono
Prospero, l’oltraggiato signore di Milano. E per meglio convincerti che è lui
quel duca, vivo, colui che ti parla, io t’abbraccio, ed a te e ai tuoi compagni
do un cordial benvenuto in casa mia.
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ALONSO - Se tu sei quel che dici, oppure no, o se sei uno di
quegli incantesimi che già m’han tratto in inganno, non so; il tuo polso però lo
sento battere come quello d’un uomo in carne e sangue; e dal primo momento che
t’ho visto ho sentito placarsi nel mio spirito quell’afflizione che m’aveva
invaso come una forma, temo, di pazzia. Se tutto questo è vero ed è reale, si
tratta d’una ben strana vicenda. Se così è, rassegno il tuo ducato nelle tue
mani, e ti chiedo perdono dei torti che t’ho fatto. E tuttavia mi chiedo sempre
come sia possibile che Prospero sia vivo, e in questo luogo.
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(Ad Antonio) Quanto a te, scelleratissimo signore, a te,
ch’io non potrei chiamare mio fratello senza sentirmi infettare la bocca, di
tutte le tue colpe nefandissime, io ti perdono; ti chiedo soltanto il mio ducato
che, so, d’altra parte, non potresti comunque ricusarmi.
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ALONSO - D’un genitore al colmo della gioia ti circondino le
benedizioni. Alzati e dimmi com’è che sei qui.
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ALONSO - Una perdita eguale? PROSPERO - E dolorosa per me
altrettanto, ed anch’essa recente; ed a renderla meno sopportabile ho mezzi di
conforto assai più deboli di quelli vostri: ho perduto mia figlia.
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E domattina ce ne andremo insieme a raggiungere in mare il
vostro barco, per far rotta su Napoli, dove spero vedere celebrato il matrimonio
di questi due giovani nostri figli diletti; e di laggiù poi ritirarmi nella mia
Milano, dove uno su tre dei miei pensieri sarà volto alla tomba.
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Ecco, guardate un po’ le vestimenta che si son messe addosso
questi tre, e dite voi se possano mai essere quello ch’essi vorrebbero apparire.
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EPILOGO (recitato da Prospero)
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I miei incantesimi sono finiti;
sol mi restano ora le mie forze,
piuttosto scarse, per la verità.
Ora sta a voi decidere, signori,
s’io debba rimanere sempre qui,
racchiuso in questo luogo solitario,
o partire per Napoli con loro.
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Ma spero che non sia vostra vaghezza
ch’io resti relegato su quest’isola
- e per vostro incantesimo, in tal caso -
avendo riottenuto il mio ducato
e perdonato a tutti i traditori;
che vogliate al contrario
magicamente con le vostre mani
sciogliermi e liberarmi da ogni laccio,
e gonfiare col vostro fiato amico
le mie vele, altrimenti è il fallimento
di tutto il mio progetto
ch’era quello di farvi divertire.
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Non ho più spiritelli al mio comando
né magico potere d’incantesimi;
e la mia fine sarà disperata
se non venga da voi
una tal penetrante intercessione
in mio favore presso la pietà,
da assolvermi da tutte le mie colpe.
E se a voi piace d’esser perdonati
dei peccati, dall’indulgenza vostra
fate ch’io venga assolto anch’io dei miei.
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1) Prospero e
Miranda - La Tempesta - Ferdinando e Miranda
2) Gli altri illustri naufraghi
3) Presa di potere di Trinculo,
rivelazione di Prospero ed epilogo.
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