MEFISTOFELE
AUDITORIUM CARIPLO
Foyer della Balconata -
Largo Mahler -Milano
Giovedì 24 maggio 2018 – ore 18,00
INIZIATIVE CULTURALI de
laVerdi
Faust o Mefisto
... dipende dal punto di vista!
Arrigo Boito -
Mefistofele, prologo
Analisi e ricerca di Mario Mainino
COLLOCAZIONE TEMPORALE NEL CORSO DELLA
STORIA DELLA MUSICA LIRICA
ARRIGO BOTIO, COMPOSITORE E LIBRETTISTA
DIPENDE DAL PUNTO DI VISTA FAUST,
MARGARETHEo MEFISTOFELE
ANALISI DEL PROLOGO DELL'OPERA
DICONO DI ARRIGO BOITO
Arrigo Boito -Dalla musica dell’avvenire al ritorno-.
Mefistofele (1868 e 1875)
Nerone (1924, rappresentata postuma, composizione: 1862-1915).
I LIBRETTI di Boito (Tobia Gorio)
Il quattro giugno (1860, musica propria e di Franco Faccio)
Le sorelle d'Italia (1861, musica propria e di Franco Faccio)
Amleto (1865, Franco Faccio)
Mefistofele
(1868, musica propria; 1875, musica propria)
Ero e Leandro (1871, musica propria, non rappresentato; 1879, Giovanni
Bottesini; 1896, Luigi Mancinelli)
Iràm (1873, Cesare Dominiceti, non rappresentato)
Un tramonto (1873, Gaetano Coronaro)
La falce (1875, Alfredo Catalani)
Semira (1876, Luigi San Germano, non rappresentata)
La Gioconda (1876, musica di
Amilcare Ponchielli)
Pier Luigi Farnese (1877, musica di Costantino Palumbo, non rappresentata)
Basi e bote (entro il 1881, musica propria, non rappresentata; 1927,
musica di Riccardo Pick-Mangiagalli)
Simon
Boccanegra
(1881 musica di Giuseppe Verdi, rifacimento del libretto di Francesco
Maria
Piave)
Otello (1887, Giuseppe Verdi)
Falstaff
(1893, Giuseppe Verdi)
Nerone (1924, musica propria, rappresentata postuma, composizione:
1862-1915).
Nasce a Padova il 20 febbraio 1841 da Silvestro autoritrattista pittore
bellunese richiesto per la sua abilità anche all'estero, e da Giuseppina
Radolinska contessa polacca musicista al suo secondo matrimonio.
Ha un fratello, Camillo, nato il 30 ottobre 1836, ma già nel 1850 i genitori vivono praticamente separati tanto che Camillo ed Arrigo (che alla nascita fu battezzato col nome di Enrico e che lui stesso più tardi cambiò in Arrigo, infatti nel “mefistofele” in una scena Margherita si rivolge a Faust dicendogli - Enrico, Enrico, tu mi fai ribrezzo -) erano sotto la protezione del marchese Pietro Selvatico Estense, professore di belle arti all'accademia di Venezia che allora col teatro La Fenice dal 1844 al 57 ospiterà il debutto di ben cinque capolavori verdiani (Ernani, Attila, Rigoletto, Traviata, Simon Boccanegra).
Dopo aver intrapreso privatamente gli studi elementari col maestro Domenico Franchi, nel 1853 Arrigo con la madre si trasferisce a Milano e diventa allievo al Conservatorio di musica, con il sostentamento di una borsa di studio concessa dalla presidenza della Curatela, il nobile Galeazzo Manna. Silvestro morirà in circostanze misteriose quando ancora Camillo ed Arrigo erano ragazzi. Nel 1854 avviene una svolta nei teatri lirici: i due ruoli, quello di maestro al cembalo ed il capo d’orchestra, vengono raggruppati in una sola persona che prende il nome di maestro concertatore e direttore d’orchestra. Il maestro di cembalo era quasi sempre un compositore che istruiva i cantanti, dava indicazioni sulla scenografia, coordinava le voci agli strumenti e seguiva le prove. I primi ad occupare questa nuova istituzione orchestrale alla Scala di Milano furono: Alberto Mazzucato, Giovanni Panizza, Francesco Pollini, Eugenio Terzani.
Nel suo insegnamento musicale fu molto seguito da Giovanni Buzzolla,
maestro compositore, incomincia a 12 anni lo studio di violino, pianoforte
e composizione col maestro Alberto Mazzuccato. L’11 giugno del 1859 muore
la madre. Esce dal torpore infantile con l’arrivo al conservatorio del
veronese Franco Faccio. Con esso lega un’amicizia profonda, si
mette in luce come compositore della cantata in patria il “Quattro
giugno”, in memoria del loro compagno Gustavo Coletti morto sul campo tra
le file dei garibaldini.
Arrigo e Faccio incominciano a pensare alla musica dell’avvenire e al
concetto di ricerca di una musica -antitaliana- scrive saggi come quello
contro Wagner.
L’anno dopo i due amici presentano al pubblico milanese il Mistero “Le
sorelle d’Italia” come saggio di diploma al conservatorio; quest’opera è
dedicata ai loro maestri Alberto Mazzacurato e Stefano Ronchetti Monteviti.
Dal Mistero viene tratto anche un testo poetico proponendosi nella duplice
veste di poeta-musicista.; il prologo, ambientato nel Walhlla, anticipa il
germanismo come -musica dell’avvenire- infatti la rivista d’arte Il
Pungolo invita il giovane Boito musicista a rimpatriare musicalmente dopo
essersi istruito nei suoi viaggi oltre i monti. Il successo di questa
opera li porta ad affinare la preparazione musicale con una borsa di
studio; si recano a Parigi e incontrano Verdi e Rossini, Berlioz, Gounod e
l’intelligenza locale, corrispondono, anche, con una cronaca musicale da
Parigi alla rivista milanese Perseveranza.
Boito imbevuto di letteratura tedesca, diventa interessante anche Verdi, che gli offre la possibilità di scrivere il testo dell’”Inno delle nazioni” per l’esposizione internazionale di Londra, eseguita al teatro della Regina il 24 maggio 1862, il 10 novembre dello stesso anno Verdi fa esordire per la prima volta, al teatro Imperiale di Pietroburgo “La forza del destino“.
In questo periodo molto creativo Boito incomincia a strumentare il suo
Faust dal romanzo di Goethe e pensa anche a scrivere il libretto del
Nerone.
Nell’aprile del ’62, senza l’amico Faccio, lascia Parigi e si reca in Polonia dalla sorellastra Tecla e compone il libretto di “Amleto” racconto shakespeariano che verrà musicato da Franco Faccio. Prima di rientrare in Italia visita la Germania, il Belgio e l’Inghilterra. Il fratello Camillo architetto sostenitore delle belle arti si dedica all’insegnamento; autore di novelle scritte con stile rapido ed efficace di cui si ricorda “Storielle vane” e “Senso“ che ispirò la più bella pellicola di Visconti. Nel 1862 va in scena per la prima volta il “Faust “ del compositore francese Gounod, alla Scala.
Nel 1863 Franco Faccio rappresenta la sua opera “I profughi fiamminghi” su
libretto di Emilio Praga, manifesto antiverdiano proponeva un
abbandono delle tradizionali formule operistiche ma è stato un grande
insuccesso.
Oltre a Faccio, Boito tiene amicizia con Emilio Praga (scapigliatura) con il quale scrive “Le madri galanti”, una commedia in cinque atti del 1863, andata in scena al teatro Carignano di Torino con esito negativo. “Amleto” andrà in scena nel 65 con un colossale fiasco, l’opera è sostenuta solo dagli scapigliati.
Nello stesso anno pubblica un libro in versi per Faccio “Alla salute dell’arte italiana”.
Scrive in saggio di musica come antiverdiana -Ode all’arte italica- con questa si mette in contrasto con Giuseppe Verdi, al quale il 20 dicembre del 1864 invia il polimetrico poemetto “Re orso“ come segno di riappacificazione, e diventerà il suo librettista di fiducia.
Con Praga a Milano fonda la rivista “figaro”, un periodico settimanale e si firma col pseudonimo di Almaviva, In questo periodo ha una relazione intensamente con la contessina Eugenia Litta cinque anni più anziana di lui. Nel 66 con Faccio e Praga parte in guerra con i garibaldini per la lotta di liberazione del Trentino. Arrigo in questo periodo dirà –sto per finire un’arida esistenza di fatue vanità, entro in un turbine dal quale ne uscirò trasfigurato, per incominciare una esistenza fertilissima e potentemente piena.- Queste parole significano per Boito che fosse alla ricerca di un ideale per cui vivere una motivazione politica patriottica per non dire sociale che lo spingesse come già Verdi delle tematiche adatte ad essere portate in musica o a venir liricizzate in poesia.
Al termine delle ostilità Boito si impegna a terminare il Mefistofele, dove nei tratti più felici riesce ad armonizzare l’andamento epico dell’assunto etico-antropologico (patto col diavolo) e le stimolazioni liriche della sfera erotica (la storia di Faust e Margherita), che tuttavia non potrà essere compiuto prima del 68.
Dal 67 al 68 su quello che significa musica dell’avvenire si può discutere a lungo, ma è certo che Boito si è accorto in tutte queste scaramucce, d’avere una vena musicale poco prolifica, per cui preferisce percorrere la via più facile ed immediata della letteratura pubblicando poesie (il libro dei versi), novelle (il trapezio, Iberia, e l’alfiere nero) e scrivendo testi per altri musicisti non del valore di Verdi, ed oggi caduti nel nulla come G,Coronaro, C,Palombo, M.Saladino e C.Dominiceti. Per questi musicisti minori i suoi libretti vengono firmati col pseudonimo di Tobia Gorrio.
Ai primi di gennaio del 1868 appare il libretto del Mefistofele anzi il Mefistofele, in mezzo tra gli opposti profili, di ribelle, musicista irriverente, poeta maledetto, notista spigoloso, guida carismatica con Faccio e Praga della scapigliatura avversa alla tradizione, si intravede un volto mai in chiaroscuro ma sempre in bianco e nero, del bene e del male, nella vicenda del Mefistofele o meglio dei Mefistofele approdo di un artista rivoluzionario accecato dalle passioni e mosso da furia iconoclastica.
Il 5 marzo del 68 va in scena alla Scala (la caduta) il “Mefistofele“ circondato da molta curiosità e accompagnato da polemiche sul libretto, tutta Milano attendeva con ansia questo evento di musica della avvenire, durante l’esecuzione diretta dallo stesso Boito dentro e fuori dal teatro nelle case, osterie ed il telegrafo sono stati aperti oltre le 4 del mattino, suscitando tanto interesse nei milanesi. Se un’ala del teatro fosse crollata, la sua rovina non avrebbe prodotto una sensazione più profonda. Indigesto spettacolo durato quasi sei ore probabilmente male eseguito, di un musicista che il pubblico della Scala temeva quale sovvertitore di ogni regola melodrammatica.
Si trattò in effetti di un insuccesso clamoroso.
Di questa partitura non ci rimane purtroppo nulla, probabilmente fu distrutta dallo stesso Boito solo il libretto è stato conservato.
Dal 1871 il prestigio dell’orchestra della Scala è affidato a Franco Faccio uno dei più grandi e apprezzato concertatore e direttori d’orchestra dell’800. In questo anno arriva a Milano Giovanni Verga esponente del movimento letterario dei veristi (legati al naturalismo francese del precursore Balzac, del Maupassant, dello Zola, del Gouncort) ed entra subito in contatto con gli scapigliati e con i salotti letterari partecipando alle discussioni e polemiche sulle varie tendenze rimarrà a Milano fino al 1891. La facile se non frequente provocabilità di Boito si parla in una lettera che Piave invia a Verdi di un duello tra Boito e Verga per avergli quest’ultimo buttato del fumo di sigaretta in faccia e Boito dirà è in una lettera (quell’animale di Verga). Boito incomincia a scrivere il libretto di ”Ero e Leandro“ una semplice storia d’amore conclusa tragicamente in soli due atti (nel 1871) per Giovanni Bottesini, rappresentata a Torino 11 gennaio del 79. “La falce“ per Alfredo Catalani, inoltre svolge traduzioni, basterà segnalare “La cena degli apostoli” di Wagner, il “Freischutz “ di Weber (nel 72), Il ”Fantasma“ di Meyerbeer (nel 73) più tardi il “Tristano ed Isotta“ (nel 76).
Ostinato della sua opera e resosi conto dei suoi difetti dal 1873 al fine
del 74 operò al “Mefistofele “ un sostanziale rifacimento della sua opera
filosofica, abolendo quegli episodi la cui comprensione era strettamente
legata alla conoscenza del testo di Goethe e badò al ritorno strutturale
tradizionale riguardo ai due fondamentali aspetti della forma e della
vocalità, ( la parte di Faust originariamente per baritono fu riscritta
per tenore) scendendo a patti con la tradizione del melodramma
italiano, dove nel “Mefistofele 1 “ si era vivacemente scagliato.
A Bologna il popolo italiano nel 1871 ebbe il primo impatto con la musica di Richard Wagner con l’opera “Lohengrin” ( vi assistette Giuseppe Verdi che la segui con lo spartito in mano ) l’anno successivo è la volta del “Tanhaüser” con grande successo di pubblico, Boito poté ritenere che i tempi per la sua opera filosofica fossero maturi per comprenderla, ovviamente per questi motivi non era la Scala per una rinascita.
Bologna diventa dopo i successi wagneriani la capitale della musica dell’avvenire.
Mefistofele fu inserita nel cartellone della stagione autunnale 1875 come opera inaugurale eseguita il 4 ottobre il successo pur non unanime fu innegabile e in pochi anni fu rappresentata in tutti i teatri italiani ed europei, a questa gioia fa riscontro un dolore fortissimo, il 26 dicembre del 1875 muore il più grande amico Emilio Praga per alcol e vita disordinata tipica per gli scapigliati, antiManzoniano respingeva la sua ispirazione morale e cristiana, per lui scriverà Boito “ i miei pensieri vanno verso la morte, come l’acqua al suo pendio“. Emilio Praga idealista nostalgico, autore di poesie e delle “Memorie del presbiterio” in prosa oscilla fra atteggiamenti spregiudicati si esprime nella descrizione di semplici gioie di spiriti candidi e nostalgia di purezza, rappresentava emblema più significativo della scapigliatura, con Tarchetti i loro splendori e le miserie risultano testimoni tipici della condizione di emarginazione adottata come insegna degli scapigliati, dalla loro esasperazione romantica dalla psicologia torbida e malata, la loro confusione tra l’arte e la vita, una ribellione mancata elemento di rottura velleitaria, perché incapace di sollevarsi a una visione veramente nuova dell’uomo, della vita, dei rapporti sociali, contribuendo al tramonto della vecchia letteratura esprimendo ansiosa ricerca di nuovi ideali della generazioni post risorgimentali, nel cui ambito Boito aveva compiuto le più ardite sperimentazioni di cui ormai verrà considerato un transfuga, ed assumerà nella cultura italiana una posizione prestigiosa destinata ad rafforzarsi e dei letterati lo appelleranno come “dittatore dell’umbertinismo musicale italiano“.
Gli esponenti più importanti della scapigliatura figurano Carlo Righetti, Vittorio Imbriani, Giovanni Camerana, Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi, in campo artistico lo scultore Giuseppe Grandi, e i pittori Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Daniele Ranzoni, in campo musicale lo stesso Boito, Franco Faccio, Alfredo Catalani e Amilcare Ponchielli, anche Giacomo Puccini mosse i suoi primi passi all’interno della scapigliatura, Rincuorato dal successo del Mefistofele riprende a scrivere il libretto del “Nerone “.
Che verrà interrotto per la stesura col pseudonimo di Tobia Gorrio del libretto della “Gioconda“ per Amilcare Ponchielli (nel 76 ) e nel “Pier Luigi Farnese “ per Costantino Palumbo (nel 1877), restano invece sconosciuti al pubblico e non musicati la “Semira“ (1876), l’”iram” (1879) , e “basi e botte“ (81). Pur vivendo lontano dal suo Veneto non perde mai l’occasione di parlarne sia nel dialetto veneziano dalle nobilissime tradizioni letterarie (Basi e bote), ma da un'altra opera è possibile ricavare la sua Venezia: si tratta della “Gioconda” il libretto è tratto dal romanzo di V. Hugo, Angelo, tyran de Padue, dove l’Angelo viene ambientato a Padova e Venezia rimane sullo sfondo della vicenda animata da feste coloratissime, da danze, da cori burloni arlecchini pantaloni, e mori, con appassionati duetti d’amore. Politicamente sembra mantenersi su posizioni di moderato mazziniano, in linea d’altronde con gli ambienti culturali che pure avevano sostenuto le sue più spericolate ricerche in campo musicale e letterario che erano lontanissime dal versante democratico della Scapigliatura.
Nella collaborazione tra Verdi e la bravura di traduttore e librettista di Boito nel (79) nasce il progetto per la realizzazione dell’opera “Otello” di Shakespeare, il 24 luglio 1880 Giulio Ricordi sollecita bruscamente Boito perché si accorge che Verdi ha messo un pò a dormine il moro, e la gestazione di tale melodramma con problemi e difficoltà durò otto anni, in questa circostanza Boito rivela una notevole abilità nel maneggiare il metro poetico in funzione drammaturgica, riuscendo a suggerire un percorso stringente alla musica ed il rapporto tra Verdi e Boito risulta essere molto privilegiato rispetto ad altri collaboratori librettisti.
Visto l’insuccesso ottenuto dal “Simon Boccanegra” opera di Verdi dal libretto composto dal Piave andato in scena per la prima volta alla Fenice di Venezia nel 1857, Verdi con Boito decisero di rifare con modifiche il libretto e venne rappresentato alla Scala il 24 marzo del 1881 ottenne un grande successo.
Boito in rispetto al precedente librettista non firmò il libretto.
Un capitolo a parte nella biografia di Boito, è quello occupato dall’amicizia con Giuseppe Giocosa e si fa più intensa dal 78 quando si reca casa dell’amico a Colleretto Parella all’inizio della Valle d’Aosta, assume il ruolo di fratello minore e gli sarà vicino anche quando verrà sconvolto dal suo annullamento del rapporto con Eleonora Duse. Giocosa oscillante tra il verismo e teatro borghese parigino celebre autore di “Tristi amori” -“ Come le foglie“ con Illica scriverà diversi libretti di successo per Giacomo Puccini.
L’inizio del 1887 vide due grandi avvenimenti, il 5 febbraio alla Scala debutta “Otello” con la direzione di Franco Faccio, ebbe un grande successo, ed in questo periodo dalla scuola moderna musicale italiana all’interno del conservatorio di Milano si congedano Leoncavallo, Mascagni, definiti veristi della musica italiana, ed il giovane Puccini.
Nasce la relazione di Boito con Eleonora Duse lei 28enne, lui 45enne con alti e bassi durerà fino al 1898.
Il desiderio di assistere alla prima dell’”Otello“, e con la premura dell’amico Giocosa procura i biglietti per la Duse, è una manifestazione d’amore non solo per Boito ma anche per Shakespeare, dove l’attrice è mirabile interprete d’incarnare sulla scena le tragedie di drammi femminili. Boito appronta subito il dramma “Antonio e Cleopatra“ andato in scena al teatro Manzoni di Milano il 22 novembre 1888 ottiene purtroppo uno scarso successo. L’amore per Shakespeare più che per Boito non si spegne facilmente per l’attrice tanto che sono per la Duse “Antonio e Cleopatra“ ma anche “Giulietta e Romeo“ (il librettista Felice Romani per il musicista Nicola Vaccaj aveva già composto questo libretto molto tempo prima, che in seguito fu musicato da Vincenzo Bellini con l’opera “Montecchi e Capuleti”) di cui Boito ne concepisce la traduzione al tempo del “Falstaf” verdiano facendone una copia spedita alla Duse, ma ancora oggi non sappiamo nulla di questa traduzione. Boito ed il Verga s’erano trovati a loro agio nella stare insieme e vicini alla Duse che poi trionferà con “la cavalleria rusticana” in forma teatrale a Torino gennaio 1884.
In Boito però la Duse dopo un matrimonio riparatore con Teobaldo Marchetti cerca uno spiraglio per il suo talento su una vita più vasta e più vera di quella del palcoscenico, su un orizzonte di cultura e arte ben più alto, rappresentava insomma la continuità ideale dell’aspirazione in cui era nato il suo primo grande amore. (Martino Cafiero, un uomo superiore coltissimo che scriveva articoli smaglianti nel “Corriere del mattino” da lui stesso fondato),
La Duse si sposta continuamente dall’Europa all’America, alla Russia e da Londra gli giunge l’ultimo libro di D’Annunzio “Trionfo della morte” l’attrice lo intende come il trionfo della fine della relazione con Arrigo Boito e loda il bel nome del giovane Gabriele D’Annunzio che si presenta come il mago che con una magia nascosta può sollevarla dalle pene d’amore e fargli rivivere quella vita appassionata che Boito stentava tanto a realizzare, e intanto dal 1890 al 91 Boito fu direttore onorario del conservatorio di Parma, per questa ragione l’istituzione parmense porta il suo nome.
Chi non aspetta è la morte che si porta via nel 1891 Franco Faccio.
La Duse ebbe una figlia di nome Enrichetta e non intende divorziare. Si defila da Boito criticando anche l’ultima sua opera il libretto riguardante la figura di John Falstaff dal romanzo – The merry Wives of Windors – ( le allegre comari di Windors) del “falstaff” musicato da Verdi inteso forse come una opera buffa forse l’unica di Verdi andò in scena alla Scala il 9 febbraio 1893 con esito favorevole.
Nello stesso anno 1893 Boito riceve la laurea in honoris causa in musica dall’università di Cambridge.
Il distacco della Duse da Boito coincide con la morte della Strepponi 14 novembre 1897.
A partire dal 1898 Boito si lega con Velleda Ferretti che lo accompagnerà e assisterà fino alla morte.
Fin dalla giovinezza lavorò alla composizione della tragedia lirica che lo impegno tutta la vita il “Nerone”, Verga diede un buon giudizio sul libretto per lui rappresentava la giusta realtà storica, se gli amici dicevano bene di questo libretto, i nemici no rimproveravano l’autore di aver falsato l’indole della figura di Nerone.
Boito stesso si è accorto di aver forgiato con le sue mani lo strumento della sua tortura. Il vero argomento del Nerone è una guerra nella quale uno dei due eserciti che si affrontano pur combattendo disarmati e quindi apparentemente sconfitti in partenza, uno è destinato alla vittoria finale grazie alla forza del suo pensiero basato sull’unica Verità, nella scena finale col supplizio dei Cristiani: Nerone è il vero Anticristo, l’incarnazione del Male sulla terra e su di lui viene scagliata per tre volte la maledizione eterna.
Dovendo dare un definizione sintetica del “Nerone” gli aggettivi che vengono subito alla mente sono – interessante, discontinuo e intricato-, grande affresco storico in cinque atti dai tratti spiccatamente decadentistici. Scosso dalla morte del Verdi 1901 né pubblico il testo letterario che fu un vero successo letterario. Vinto dai dubbi e dall’autocritica non riuscì a completare la partitura nonostante la soppressione dell’intero quinto atto.
Il suo castello di amici continua a perdere le travi nel 1905 Camerana, nel 1906 Giacosa, nel 1911 Giulio Ricordi e Fogazzaro, nel 1914 il fratello Camillo, (stanco di corpo ma sano di spirito, lascio al mio amato fratello tutto quel pochissimo che possiedo). Morto Camillo Arrigo aspira a riunire i resti della madre e le ceneri del fratello e da l’incarico allo scultore Pogliaghi di creare un monumento, oggi visibile nella tribuna in alto a destra dell’entrata del Cimitero Monumentale, dove verrà lui stesso sepolto. Arrigo Boito nel 1912 fu nominato senatore del Regno, muore il 10 giugno 1918 per una crisi di –angina pectoris-, Eleonoro Duse gli sopravvive di 6 anni morendo il 21 aprile 1924.
Il Nerone completo nello spartito ma non interamente strumentato, fu in seguito integrato nell’orchestrazione da Arturo Toscanini, Antonio Smareglia e Vincenzo Tommasini, che cercarono di seguire le annotazioni che Boito aveva imposto.
Il pubblico milanese attendeva l’opera NERONE da decenni fu rappresentata alla Scala il 1 maggio 1924 con un autentico successo. Fu replicata poche volte per l’alto costo dell’allestimento.
Toscanini nel 1929 in un intervista dirà di Boito : l’intuizione sonora non gli falliva quasi mai; ma allorchè doveva concentrare e realizzare si allontanava dalla sua intuizione e non raggiungeva gli effetti voluti e previsti. Di qui pentimenti, avvilimenti, accumulo di carte nei cestini e rinvio a tempo indeterminato.
Se il “Mefistofele” è riuscito a conservare un posto nel repertorio operistico, il “Nerone” avrebbe meritato una sorte più fortunata di quella toccatagli, ciò avrebbe tra altro portato ad una conoscenza più approfondita di Arrigo Boito, musicista poeta tra i più interessanti dell’Ottocento italiano.
Vita di Arrigo Boito – Dalla musica dell’avvenire al ritorno – Alfredo
Merlini - pag 1
Como, 28 novembre 2008
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20/05/2018
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