a ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Strada remota.
PANCRAZIO e LINDORO
PANCRAZIO
Figlio, l'abbiamo fatta bella.
LINDORO
Il dissi,
Che negata l'avria.
PANCRAZIO
Negarla è il meno,
Ma i strapazzi, le ingiurie? Ah giuro al cielo,
Sofferirle non vuò.
LINDORO
Che s'ha da fare?
Che pensate di far?
PANCRAZIO
Lascia per ora
D'amoreggiar colei; poscia col tempo
Penseremo la via di vendicarci.
LINDORO
Ah caro padre, eccomi a' vostri piedi.
PANCRAZIO
T'intendo, gran tormento
Ti darebbe il lasciarla un sol momento.
Non è così?
LINDORO
Pur troppo è ver; ma quello
Che mi tormenta più, si è la promessa
Fattagli che verranno
Da Milano le prove in quantità
Della mia simulata nobiltà.
PANCRAZIO
Oh grande amor di padre! Oh bel ripiego
Mi suggerisce a tuo favor la mente!
Vanne, attendimi in casa; anch'io fra poco
Vi giungerò.
LINDORO
Ditemi, a qual partito
D'appigliarvi pensate?
PANCRAZIO
Io nulla ancora
Ti voglio dir. Va via, curioso. Oh quanto,
Oh quanto riderai!
Senti... Non lo vuò dir. Va; lo saprai.
LINDORO
Di voi mi fido; attenderò impaziente,
Padre, del vostro amor sicure prove.
Al tuo favor mi raccomando, o Giove. (parte)
SCENA SECONDA
PANCRAZIO solo.
La voglio far; benché in età avanzata,
Ho lo spirito pronto; e saprò bene
La finzion sostener. Sì, di Lindoro,
Che marchese si finse, anch'io il marchese
Padre mi fingerò. Cangerò vesti,
Cangerò la favella, e nell'aspetto
Trasformarmi saprò. Ah se mi riesce
Di ottenere l'intento,
Se deludo il superbo, io son contento.
Ma se scoperto poi... Eh farò in modo
Che scoprir non potrà... Però può darsi...
La voce... la pronuncia... e che sarà?
Non ho timor... facciasi... eppur io sento
Un certo non so che,
Che se non è timor, qualcosa egli è.
La faccio, o non la faccio?
Che mi consiglia il cor?
Sarei un asinaccio
Mostrando aver timor.
Sì, sì... così farò...
Ma adagio, adagio un po';
Se poi... se mai... se il fato...
Non so; son imbrogliato,
Risolvere non so.
Mi sento aver coraggio;
Desio di vendicarmi;
Ma poi sì poco saggio
Non son di cimentarmi;
Son io fra il sì ed il no. (parte)
SCENA TERZA
Cortile del Conte.
CONTESSINA e GAZZETTA
CONTESSINA
Presto, parla; che vuoi?
GAZZ.
La lassa almanco
Che chiappa un po de fiao!
CONTESSINA
Spicciati; offendo
L'alta mia nobiltà, se lungamente
Mi trattengo a parlar con bassa gente.
GAZZ.
Se non la vuol parlar con zente bassa,
Sotto le scarpe metterò i ponteli,
O la vaga a parlar coi campanieli.
CONTESSINA
(Che temerario!)
GAZZ.
Se la se contenta,
Gh'ho un non so che da darghe.
CONTESSINA
E che?
GAZZ.
Ho paura
Che in collera la vaga.
Vorla, patrona mia, che ghe la daga?
CONTESSINA
(Mi fa rider costui). Ma ch'è mai questo
Che dar mi vuoi?
GAZZ.
Un sior tutto farina
Da portarghe el m'ha dà sta letterina.
CONTESSINA
Una lettera a me? Non la ricuso,
Se un principe l'ha scritta;
Ma se qualche plebeo l'avrà vergata,
Ad esso tu la renderai stracciata.
GAZZ.
Se scritta l'averà qualche plebeo,
La manderemo in Roma al Culiseo.
CONTESSINA
È il duca d'Albanuova. Oh, non ricuso
Dell'illustre soggetto il degno foglio;
L'accetto e mi contento.
SCENA QUARTA
LINDORO e detti.
LINDORO
(Oh femmina bugiarda! Oh ciel, che sento?)
CONTESSINA
Veramente è compito. In miglior forma
Scrivere non si può. Conosce bene
Egli il merito mio.
Così finisce: "Illustre dama, addio".
LINDORO
(Ho scoperto il suo cor).
GAZZ.
Sala l'usanza
Che corre per el mondo?
CONTESSINA
Io non la so.
GAZZ.
Se la permette, ghe la insegnerò.
A un omo che s'incomoda
A far el battifuogo o sia el mezzan,
Per usanza ghe va la bonaman.
CONTESSINA
Sì, Sì, ricompensarti
A suo tempo saprò; per or ti basti
L'onor del mio benigno aggradimento.
Via, baciami la mano; io mi contento.
GAZZ.
Non ricuso el favor.
Donca la man ghe baso, ma de cuor.
CONTESSINA
Vanne, e se vedi il duca,
Digli che le sue grazie a me son care;
Che poi risponderò; che la mia fede
Ad altri ho già impegnata,
Ma che per cicisbeo non lo ricuso,
Poiché già tal di mia famiglia è l'uso.
Codesto consiglio
La madre mi dà:
Lo sposo di qua,
L'amico di là.
Ma poi, se pretende,
L'amico sen va,
Ma nulla s'offende
La bella onestà.
Il viver del mondo
Sì facil non è.
Conoscer il fondo
Del core si de'.
Talor dalla gente
Sparlando si va;
E pur innocente
La tale sarà. (parte)
SCENA QUINTA
GAZZETTA e LINDORO
GAZZ.
La parla ben, la parla ben da seno.
LINDORO
L'ira più non raffreno.
Tu, mezzano briccone,
Tu le lettere porti alla contessa?
GAZZ.
Cossa voleu saver, sior canapiolo,
Sior scartozzo de pevere muschià?
Via, cavève de qua, se no ve zuro,
Che ve batto la panza a mo tamburo.
LINDORO
Ah temerario, a me? (mette mano)
GAZZ.
Se catteremo.
Vôi su la schena scavezzarte un remo. (parte)
SCENA SESTA
LINDORO solo.
Sempre non fuggirai. Ma l'ira mia
Non è contro costui. L'empia, l'infida,
Mi sta sul cor. Come del cicisbeo
Si provvede così pria del marito?
Soffra chi vuol; soffrirlo non vogl'io.
No, non la voglio più. Col padre unito
(Di cui mi piacque l'invenzion bizzarra)
Vendicarmi vogl'io de' torti miei.
Oh sesso femminil, quant'empio sei!
Stolto chi crede
Di donna al core:
Non serba fede,
Non sente amore.
Ditelo, amanti,
Non è così?
Finge d'amare,
Ma cangia poi
Gli affetti suoi,
Come si cangia
La notte e il dì. (parte)
SCENA SETTIMA
La CONTESSA MADRE, poi GAZZETTA
CONTESSA MADRE
Camerieri, staffieri, cuochi, sguatteri,
Tutto in ordin sia posto;
S'attende in questo giorno da Milano
Il celebre marchese Cavromano.
Or sì ch'io son contento
Di dar la contessina al marchesino,
Ora che vien dal proprio suo paese
A dimandarla il genitor marchese.
GAZZ.
Lustrissimo patron, allegramente.
CONTESSA MADRE
Che c'è di nuovo?
GAZZ.
Forestieri.
CONTESSA MADRE
È forse
Del marchese Lindoro il genitore?
GAZZ.
Credo de sì.
CONTESSA MADRE
È in gondola?
GAZZ.
In burchiello
Cargo da poppe a prova
Con tanti intrighi e tanti,
Che una barca la par de comedianti.
CONTESSA MADRE
È lui senz'altro. Vanne tu, Gazzetta,
Apri tosto la riva.
Fa che introdotto sia.
GAZZ.
Ghe mancava de più st'altra caìa. (parte)
SCENA OTTAVA
La CONTESSA MADRE e Servi; poi PANCRAZIO, finto marchese, con seguito.
CONTESSA MADRE
Olà, servi, venite;
Ite incontro al marchese,
Fategli riverenza, ed a lui dite
Che, essendo titolato,
Io lo faccio introdur senz'anticamera.
Ora in questo paese
Si vedrà chi son io,
E qual si tratti un cavalier par mio.
PANCRAZIO
Al conte Baccellon Parabolano
Or s'inchina il marchese Cavromano.
CONTESSA MADRE
Oh degno sol cui d'umiliarsi or degni
La CONTESSA MADRE Baccellon Parabolano;
A voi m'inchino, e datemi la mano.
PANCRAZIO
Mano degna di stringere uno scettro.
CONTESSA MADRE
Dite, marchese mio, come si parla
In Milano di noi?
PANCRAZIO
Non passa giorno
Che per quella città
Non si esalti la vostra nobiltà.
Ciascun parla di voi; tutto il paese
Conoscervi sospira,
Ed ogni dama ad obbedirvi aspira.
CONTESSA MADRE
Converrà poi ch'io dia piacere al mondo,
Ch'io mi faccia veder.
PANCRAZIO
Son io venuto
Già sapete perché. Grazie vi rendo
Dell'onor che voi fate al figlio mio.
Se sapeste quant'io
Ho faticato a superar gl'impegni
Che tenevo in Milano! oh se sapeste,
Conte, ve lo so dir che stupireste!
Ognun voleva apparentarsi meco.
Il marchese Busecca,
Il duca Cervellato,
Il principe Strachino,
Il cavalier Tortione,
Sino il governator di Mezzo-miglio,
Per genero volean tutti mio figlio.
CONTESSA MADRE
E voi sceglieste me? Si vede bene,
Nel vostro rubicondo almo sembiante,
Che della nobiltà voi siete amante.
PANCRAZIO
Amo li pari miei. So che voi siete
Di più titoli adorno.
Io per un anno intero
Un titolo mostrar posso ogni giorno.
CONTESSA MADRE
Poffar bacco baccon, quest'è ben molto!
PANCRAZIO
Vi dico il ver, non son mendace o stolto.
Olà, prendi, Salame,
Aprimi quel baullo, e qua mi reca
Li privilegi miei.
CONTESSA MADRE
Non s'incomodi, no; lo credo a lei.
PANCRAZIO
Non sono un impostor. Mirate qua:
L'arbore è questo di mia nobiltà.
Ecco l'autor del ceppo mio:
Dindione, Re de' galli e galline,
Da cui per linea retta anch'io discendo;
Sovra il regno degli ovi anch'io pretendo.
CONTESSA MADRE
E con ragion.
PANCRAZIO
Ecco il mio marchesato
Fra cavoli e verzotti situato.
Questa qui è una contea
Ereditata da una dama ebrea.
E questo è un prencipato
Il di cui feudatario fu appiccato.
Mirate quattro titoli in un foglio:
Conte, duca, marchese e cavaliero.
Ecco li quattro stemmi:
Un cane, un mulo, un gatto ed un braghiero.
CONTESSA MADRE
Anche un braghiero?
PANCRAZIO
Sì, vi pare strano?
Mirate qui quest'altro marchesato
Ch'ha per arma le corna d'un castrato.
E poi volete in corto
Veder ciò ch'io possiedo? Ecco raccolto
In questa breve carta il poco e il molto:
Trecento mila campi
Che rendon cadaun anno
Trenta e più mila scudi sol di paglia,
Settecento villaggi all'Ombelico,
Quattro provincie intere
In luogo che si chiama il Precipizio,
ventisei contadi all'Orifizio.
CONTESSA MADRE
Non voglio sentir altro. Son contento,
Vado a chiamar la contessina: io voglio
Recare ancora a voi
L'onor di rimirar i lumi suoi.
PANCRAZIO
S'è bella come voi, sarà bellissima,
E se serena in volto
Come voi siete, sarà serenissima.
CONTESSA MADRE
Bella, bella non è, ma può passare.
È vezzosa, è galante, e sa ben fare.
Ha un certo brio.
Che so ben io...
La vederete,
Vi piacerà.
Ma quando poi
Non piaccia a voi,
Al figlio vostro
Piacer dovrà. (parte)
SCENA NONA
PANCRAZIO, poi la CONTESSINA
PANCRAZIO
Se l'ha bevuta La CONTESSA MADRE; oh bene, oh bene.
Pancrazio, a noi: la contessina or viene.
CONTESSINA
Riverente m'inchino
All'illustre marchese Cavromano.
PANCRAZIO
Oh, oh! bacio la mano
Alla mia contessina,
A quella che in briev'ora
La sorte avrà di divenir mia nuora.
CONTESSINA
Sì, mia sorte sarà. Ma vostro figlio,
Sendo meco accoppiato,
Potrà anch'egli chiamarsi fortunato.
PANCRAZIO
Da questo matrimonio,
In cui felicità non manca alcuna,
Vedrem ripartorita la fortuna.
CONTESSINA
Nobilissimo mio suocero amato,
Ditemi in cortesia,
Come ben vi trattò sì lungo viaggio?
PANCRAZIO
Io venni a mio bell'agio.
Stavo in una carrozza
In cui v'era il mio letto,
La poltrona, la tavola, il scrittorio,
La credenza, il cammin, la tavoletta,
E, con rispetto, ancora la seggetta.
CONTESSINA
Era un bel carrozzone!
PANCRAZIO
Era tirato,
Sappia, signora mia,
Da sessanta cavalli d'Ungheria.
CONTESSINA
Come fece a passar per tante strade
Anguste e disastrose?
PANCRAZIO
Ho fatto delle cose prodigiose.
A forza d'acquavite ho rotto i monti,
Ho fatto far dei ponti;
E gli alberi tagliati, io non v'inganno,
Potrian scaldar cento famiglie un anno.
CONTESSINA
Gran cose in verità!
PANCRAZIO
Tutto s'ottiene
A forza di denaro.
Io non son uomo avaro:
Per farmi voler ben dalle persone
Ogn'anno getterò più d'un milione.
CONTESSINA
(Egli è ricco sfondato). Ecco, mirate
Il marchesin che arriva.
PANCRAZIO
Egli d'Europa
È il cavalier più ricco, e non lo passa,
Nei tesori serbati alle sue mani,
Altro che il gran signor degli Ottomani.
CONTESSINA
(Oh miei felici amori,
Mentre a parte sarò de' suoi tesori!)
SCENA DECIMA
LINDORO e detti
LINDORO
Marchese padre.
PANCRAZIO
Marchesino figlio.
LINDORO
Che siate ben venuto.
PANCRAZIO
Più bello sei da che non ti ho veduto.
CONTESSINA
Non degnate mirarmi?
LINDORO
Eh mia signora,
Se lo sposo vi reca affanno o tedio,
Il duca cicisbeo porga il rimedio.
PANCRAZIO
Oh questa è bella!
CONTESSINA
Come? Vi sdegnate
Perché di cicisbeo m'ho proveduto?
LINDORO
Di cicisbeo non so, né d'altra cosa:
So ch'io voglio esser sol, signora sposa.
PANCRAZIO
(Fingi, pazienta un poco,
Fin che finisca il gioco).
CONTESSINA
E che parlate,
Signori, fra di voi?
PANCRAZIO
Consolo il figlio negli affanni suoi.
Ah, marchesino, osserva
Nella tua contessina
A te quale bellezza il ciel destina:
Che volto, che maestà, che ciglio altero!
È degna d'un impero.
Dal suo fastoso aspetto
L'alta sua nobiltà si scorge e vede.
(Dico per minchionarla, e non s'avvede).
CONTESSINA
Marchese, mi onora
Con troppa bontà.
PANCRAZIO
Perdoni, signora,
Già il vero si sa.
LINDORO
Scopersi a buon'ora
La sua infedeltà.
CONTESSINA
Guardate, non parla,
Sdegnato è con me.
PANCRAZIO
Ingrato, sdegnarla,
Mio figlio, perché?
CONTESSINA
Mio caro tu sei.
LINDORO
Non vuò cicisbei.
a tre
Un uomo geloso
Riposo - non ha.
PANCRAZIO
Codesto è un intrico.
LINDORO
Lo spiego, lo dico,
Che solo esser voglio.
PANCRAZIO
Codesto è un imbroglio.
CONTESSINA
Un'alma ben nata
Sospetto non dà.
LINDORO
Signora garbata,
Nol so in verità. (partono)
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
La CONTESSINA e LINDORO
CONTESSINA
Eh via, siate più umano;
Troppa selvatichezza
A poco a poco a imbestialire avvezza.
LINDORO
S'io non vi amassi, non sarei geloso.
CONTESSINA
Gelosia non è degna
Né di voi, né di me. Mi fate torto
Del mio amor dubitando:
So distinguere il tempo, il come e il quando.
Ma che vorreste mai
Di me giungesse a giudicar la gente
S'io non avessi un cavalier servente?
LINDORO
Dirà che un uso tale
Abborrire è virtù...
CONTESSINA
Pensate male.
Dirà che, nol facendo,
Voi siete un incivile, io un'ignorante.
LINDORO
Dica ognun ciò che vuole, a voi sol basti
Piacere a me.
CONTESSINA
In quanto a questo, poi,
Chiaro vi parlerò. V'amo, vi adoro,
Ma quando il mio decoro
Oscurar voglia il vostro strano umore,
Alla mia nobiltà ceda l'amore.
LINDORO
Bell'amor daddovero!
CONTESSINA
Inver gran fede
Mostrate aver di me!
LINDORO
Dunque Lindoro,
Se non soffre il servente, è abbandonato?
CONTESSINA
Dunque è il mio cor macchiato,
Se onesta servitude altrui concede?
LINDORO
Che sviscerato amor!
CONTESSINA
Che bella fede!
LINDORO
Ma possibile, o cara...
CONTESSINA
Andate via,
Non vi voglio ascoltar.
LINDORO
Crudele!...
CONTESSINA
Ingrato!...
LINDORO
Se vedeste il mio cor quanto v'adora!
CONTESSINA
Siete meco indiscreto, e v'amo ancora.
LINDORO
Possibile che poi...
CONTESSINA
Sarà poi vero...
LINDORO
Ch'io v'abbia da lasciar?
CONTESSINA
Ch'io v'abbandoni?...
LINDORO
Smanio sol nel pensarlo.
CONTESSINA
Ahimè, ch'io moro.
LINDORO
Vieni, bell'idol mio.
CONTESSINA
Vien, mio tesoro:
Dubiterai di me?
LINDORO
No.
CONTESSINA
Ti contenti
Ch'io segua onestamente
Il mio tratto civil?
LINDORO
Sì, mi contento.
CONTESSINA
Lungi, lungi il penar.
LINDORO
Bando al tormento.
Dammi la mano, o cara.
CONTESSINA
Prendi la man, ben mio.
a due
Che bel contento, oh dio!
Che fortunato amor!
LINDORO
Non esser meco avara.
CONTESSINA
Lo sai che tua son io.
a due
Destin perverso e rio
Non ci tormenti il cor. (partono)
SCENA SECONDA
Sala del Conte.
La CONTESSA MADRE e GAZZETTA
CONTESSA MADRE
Da' ordine, Gazzetta,
Ai miei guardaportoni,
Che non lascino entrar gente ordinaria.
Oggi che le sublimi
Nozze si devon far della mia figlia,
Tutto il paese inarcherà le ciglia.
Venga la nobiltà; ma non s'ammetta
Al grande onor della veduta nostra
Chi almeno dieci titoli non mostra.
GAZZ.
Lustrissimo, ho paura
Che poca zente vegnirà.
CONTESSA MADRE
Perché?
GAZZ.
Perché ghe ne xe tanti
Che fa da gran signori,
Ma quando po le prove
Della so nobiltà se ghe domanda,
I mua descorso, e i va da un'altra banda.
Mi ghe n'ho servio tanti
Che pareva marchesi e prenciponi,
E i ho scoverti alfin birbi e drettoni. (parte)
SCENA TERZA
La CONTESSA MADRE, poi la CONTESSINA e LINDORO
CONTESSA MADRE
Costui non dice male; anch'io son nato
In bassissimo stato, e pur veggendo
Che ognun mi riverisce e mi fa onore,
Parmi talor ch'io sia nato un signore.
Venite, o nobil germe
Delle viscere mie.
CONTESSINA
Gran genitore,
A voi s'umilia lo rispetto mio.
LINDORO
Suocero illustre, a voi m'inchino anch'io.
CONTESSA MADRE
Porgetevi la destra, indi attendete
Da nobiltà infinita
Le congratulazioni.
LINDORO
(Ah ch'io pavento
Da tal finzion qualche sinistro evento!)
SCENA ULTIMA
PANCRAZIO ne' suoi abiti; poi GAZZETTA e detti.
PANCRAZIO
Padroni, vi son schiavo.
CONTESSA MADRE
Olà, che vuoi?
Che fai qui? Come entrasti? Olà, Gazzetta.
GAZZ.
Lustrissimo.
CONTESSA MADRE
Intendesti
Gli ordini miei? Pancrazio come entrò?
GAZZ.
Come ch'el sia vegnuo mi no lo so.
CONTESSA MADRE
Su, cacciatelo via.
PANCRAZIO
Come! Non puote
Il padre esser presente
Ai sponsali del figlio?
Non si tratta così. Mi meraviglio.
LINDORO
(Ora sì viene il buono!)
CONTESSA MADRE
Il poveruomo
Ha perduto il cervello.
PANCRAZIO
Pazzo non son.
CONTESSA MADRE
Dov'è tuo figlio?
PANCRAZIO
È quello.
CONTESSA MADRE
Lindoro?
PANCRAZIO
Sì.
CONTESSA MADRE
Va via. Come facesti,
Misero, ad impazzir? Codesto è figlio
Del nobile marchese Cavromano
Che venne in casa mia sin da Milano.
Fa che venga, Gazzetta, e sia presente
Al sublime imeneo.
Tu sarai testimonio. (a Pancrazio)
CONTESSINA
Un vil plebeo?
Conte padre, non voglio.
Cacciatelo di qua.
LINDORO
(Cresce l'imbroglio).
GAZZ.
Ho cercà e recercà per tutti i busi:
No se trova el marchese.
E solo s'ha trovà sul taolin
L'abito ch'el portava e el perucchin.
CONTESSA MADRE
Che imbroglio è questo mai?
PANCRAZIO
Tutto saprete.
Son io quel gran marchese
Che, con enormi spese,
Venendo da Milan per valli e monti,
Spianò campagne e fabbricò dei ponti.
CONTESSINA
Stelle!
CONTESSA MADRE
Come! Lindoro...
LINDORO
A' vostri piedi,
Signor, eccovi un reo.
PANCRAZIO
Levati su di là, vile, plebeo.
Non conosci, non vedi
Che non sei degno di baciargli i piedi?
Troppo la nobiltà del conte offende
Un uomo mercenario,
Che d'aver la sua figlia e spera e prega.
Vanne, figlio plebeo, vanne a bottega.
CONTESSA MADRE
Son confuso.
CONTESSINA
Son morta.
PANCRAZIO
(Oh che baggian!)
GAZZ.
(El ghe l'ha fatta ben da cortesan).
PANCRAZIO
Su, via, Lindoro, andiamo.
LINDORO
Oh Dei! Contessa,
Fu amor colpa del fallo.
CONTESSINA
Oh che m'avete,
Crudele, assassinata!
CONTESSA MADRE
Di me che si dirà? Figlia sgraziata!
Tutto il mondo è informato
Di questo matrimonio.
Si sa ch'è stato in casa
Lo sposo con la sposa;
Quest'è una brutta cosa.
Figlia, per l'onor tuo questo è il partito:
Lindoro, qual si sia, sia tuo marito.
CONTESSINA
Amor fa de' gran colpi. Io non dissento
D'abbassarmi per lui.
PANCRAZIO
Piano di grazia,
V'ho da essere anch'io.
CONTESSA MADRE
Sei fortunato.
Sarai con il mio sangue apparentato.
PANCRAZIO
Eh prendete, signor, miglior consiglio.
Non è per un mio figlio
L'illustrissima vostra contessina.
Mandereste in rovina
La vostra nobiltà.
CONTESSA MADRE
Fatto è l'imbroglio.
Vuò che sposi Lindoro.
PANCRAZIO
Ed io non voglio.
Tua figlia, ah ah!
Pretende, uh uh!
Mio figlio, oh oh!
Oh questo poi no.
CONTESSA MADRE
(Ah perfido! m'insulta, ed ha ragione).
LINDORO
Deh padre, per pietà, deh permettete
Ch'io sposi la contessa. Io senza lei
Di dolor morirei.
PANCRAZIO
Ma la contessa,
Il di cui cor fastoso
Di accrescer nobiltà non è mai sazio,
Il figlio sdegnerà d'un vil Pancrazio.
CONTESSINA
Amor codesta volta
Supera nel mio seno ogni riguardo.
PANCRAZIO
Quando dunque è così, via, mi contento.
Porgetegli la man.
CONTESSA MADRE
No, no, fermate.
Ho trovato un rimedio
Che opportuno sarà.
Perché di nobiltà
Privo non sia lo sposo di mia figlia,
A cui tutto perdono,
Quattro titoli miei gli cedo e dono.
PANCRAZIO
Oh quante belle rane!
I titoli, signor, non danno pane.
LINDORO
Deh, contessina mia, deh perdonate
Un inganno amoroso.
CONTESSINA
Non lo rammento più, siete mio sposo.
CORO
Sia eterno il giubilo
De' nostri petti,
Mai non si spengano
Gli accesi affetti,
Discenda Venere,
Trionfi amor.
De' vani titoli,
D'onor sognato
Non senta stimoli
Fuor dell'usato,
Non si rammarichi
Il nostro cor.
Fine. |