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  LA GITANAScena prima
 Un diruto abituro, sulla falda di un monte della Biscaglia; nel fondo,
 quasi tutto aperto, arde un gran fuoco. I primi albori.
  
           Azucena siede presso il fuoco. Manrico le sta disteso accanto sopra 
          una
 coltrice ed avviluppato nel suo mantello; ha l'elmo ai piedi e fra le 
          mani
 la spada, su cui figge immobilmente lo sguardo. Una banda di Zingari è
 sparsa all'interno.
 [N. 4 Coro
          e Canzone]
  
           ZINGARI
 Vedi! Le fosche notturne spoglie
 de' cieli sveste l'immensa volta;
 sembra una vedova che alfin si toglie
 i bruni panni ond'era involta!
  
           All'opra! All'opra! Dagli... martella...
 Danno di piglio ai ferri del mestiere. Al misurato tempestar dei 
          martelli
 cadenti sulle incudini, or uomini, or donne, e tutti in un tempo 
          infine
 intonano la cantilena seguente:
  
           ZINGARI Chi del gitano i giorni abbella?
 La zingarella!
 UOMINI
 (alle donne)
 (si fermano un poco dal lavoro)
 Versami un tratto; lena e coraggio
 il corpo e l'anima traggon dal bere.
 (le donne mescono ad essi in rozze coppe)
 Insieme
 UOMINI Oh! guarda, guarda! del sole un raggio
 brilla più vivido nel mio bicchiere!
 DONNE Oh! guarda, guarda! del sole un raggio
 brilla più vivido nel tuo bicchiere!
 TUTTI All'opra, all'opra... Dagli, martella...
 Chi del gitano i giorni abbella?
 La zingarella!
 
  (canta: gli zingari le si fanno da lato)
 AZUCENA
  
           Stride la vampa! ~ la folla indomita
 corre a quel fuoco ~ lieta in sembianza!
  
           Urli di gioia ~ intorno echeggiano;
 cinta di sgherri ~ donna s'avanza!
  
           Sinistra splende ~ sui volti orribili
 la tetra fiamma ~ che s'alza al ciel!
 Stride la vampa! ~ giunge la vittima
 nerovestita, ~ discinta e scalza!
 Grido feroce ~ di morte levasi;
 l'eco il ripete ~ di balza in balza!...
  
           Sinistra splende ~ sui volti orribili
 la tetra fiamma ~ che s'alza al ciel!
  
           ZINGARI Mesta è la tua canzon!
 AZUCENA Del pari mesta
 che la storia funesta
 da cui tragge argomento!
 (rivolge il capo dalla parte di Manrico e mormora sommessamente:)
 Mi vendica... mi vendica!
 MANRICO (L'arcana
 parola ognor!)
  
           VECCHIO ZINGARO Compagni, avanza il giorno:
 a procacciarci un pan, su, su, scendiam
 per le propinque ville.
 ZINGARI Andiamo.
 Ripongono sollecitamente ne' sacchi i loro arnesi e discendono alla
 rinfusa per la china; tratto tratto, e sempre a maggior distanza, 
          odesi il
 loro canto.
 ZINGARI Chi del gitano i giorni abbella?
 La zingarella!
 [N. 5 Racconto]
  
           MANRICO (sorgendo)
 Soli or siamo; deh, narra
 questa storia funesta.
 
  AZUCENA E tu la ignori,
 tu pur! Ma, giovinetto, i passi tuoi
 d'ambizion lo sprone
 lungi traea!... Dell'ava il fine acerbo
 è quell'istoria: la incolpò superbo
 Conte di malefizio, onde asseria
 côlto un bambin suo figlio... Essa bruciata
 venne ov'arde quel foco!
 MANRICO (rifuggendo con raccapriccio dalla fiamma)
 Ahi! Sciagurata!
  
           AZUCENA Condotta ell'era in ceppi al suo destin tremendo,
 col figlio sulle braccia, io la seguia piangendo:
  
           infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi,
 invan tentò la misera fermarsi e benedirmi,
  
           ché, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri,
 al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri!
 Allor con tronco accento «Mi vendica!» sclamò.
 Quel detto un'eco eterno in questo cor lasciò.
 MANRICO La vendicasti?
 AZUCENA Il figlio giunsi a rapir del Conte:
 lo trascinai qui meco... le fiamme ardean già pronte.
 MANRICO
 (con raccapriccio)
 Le fiamme!... oh ciel!... tu forse?...
  
           AZUCENA Ei distruggeasi in pianto...
 io mi sentiva il core dilaniato, infranto!
 Quand'ecco agli egri spirti, come in un sogno, apparve
 la vision ferale di spaventose larve!
 Gli sgherri!... ed il supplizio!... la madre smorta in volto,
 scalza... discinta!... il grido, il noto grido ascolto...
  
           «Mi vendica!» La mano convulsa tendo... stringo
 la vittima... nel foco la traggo, la sospingo...
 Cessa il fatal delirio... l'orrida scena fugge...
 la fiamma sol divampa, e la sua preda strugge!...
  
           Pur volgo intorno il guardo e innanzi a me vegg'io...
 dell'empio Conte il figlio!
 MANRICO Ah! come?
  
           AZUCENA Il figlio mio,
 mio figlio avea bruciato!
 MANRICO Che dici! quale orror!
 AZUCENA Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor!
 (Azucena ricade trambasciata sul proprio seggio,
 Manrico ammutolisce 
          colpito d'orrore e di sorpresa. Momenti
          di silenzio)
 
 [N. 6 Scena e Duetto]
 MANRICO Non son tuo figlio?... E chi son io? chi dunque?
  
           AZUCENA (con la sollecitudine di chi cerca emendare involontario 
          fallo)
 Tu sei mio figlio!
 MANRICO Eppur dicesti...
 AZUCENA Ah!... forse...
 Che vuoi! quando al pensier s'affaccia il truce
 caso, lo spirto intenebrato pone
 stolte parole sul mio labbro... Madre,
 tenera madre non m'avesti ognora?
 MANRICO Potrei negarlo?
  
           AZUCENA A me, se vivi ancora,
 no 'l déi? Notturna, sii pugnati campi
 di Pelilla, ove spento
 fama ti disse, a darti
 sepoltura non mossi? La fuggente
 aura vital non iscovrì, nel seno
  
           non t'arrestò materno affetto? E quante
 cure non spesi a risanar le tante
 ferite!...
 MANRICO
 (con nobile orgoglio)
 Che portai nel dì fatale...
 ma tutte qui nel petto! Io sol, fra mille
 già sbandati, al nemico
 volgendo ancor la faccia!... Il rio De Luna
 su me piombò col suo drappello; io caddi,
 però da forte io caddi!
 AZUCENA Ecco mercede
 a' giorni che l'infame,
 nel singolar certame
 ebbe salvi da te! Qual t'acciecava
 strana pietà per esso?
 MANRICO Oh madre! non saprei dirlo a me stesso!
 AZUCENA Strana pietà!...
  
           MANRICO Mal reggendo all'aspro assalto,
 ei già tocco il suolo avea:
 balenava il colpo in alto
 che trafiggerlo dovea...
  
           Quando arresta un moto arcano,
 nel discender, questa mano,
 le mie fibre acuto gelo
 fa repente abbrividir!
  
           Mentre un grido vien dal cielo,
 che mi dice: «non ferir»!
  
           
 AZUCENA Ma nell'alma dell'ingrato
 non parlò del cielo un detto!
 Oh! se ancor ti spinge il fato
 a pugnar col maledetto,
  
           compi, o figlio, qual d'un dio,
 compi allora il cenno mio!
  
           Insieme
  
           AZUCENA Sino all'elsa questa lama
 vibra, immergi all'empio in cor.
  
           MANRICO Sì, lo giuro, questa lama
  
           scenderà dell'empio in cor.
 (odesi un prolungato suono di corno)
 MANRICO L'usato Messo Ruiz invia...
 forse...
 (dà fiato anch'esso al corno che tien sospeso ad armacollo)
 AZUCENA Mi vendica!
 (resta concentrata quasi inconsapevole di ciò che succede)
 Scena seconda
 Messo e detti.
 MANRICO
 (al Messo)
 Inoltra il piè.
 Guerresco evento, dimmi, seguia?
 MESSO (porgendo il foglio che Manrico legge)
 Risponda il foglio che reco a te.
  
           MANRICO «In nostra possa è Castellor; ne déi
 tu per cenno del prence
 vigilar le difese; ove ti è dato,
 affrettati a venir... Giunta la sera,
 tratta in inganno di tua morte al grido,
 nel vicin claustro della croce il velo
 cingerà Leonora.»
 (con dolorosa esclamazione)
 Oh giusto cielo!
 AZUCENA (scuotendosi)
 (Che fia!)
 MANRICO
 (al Messo)
 Veloce scendi la balza,
 ed un cavallo a me provvedi...
 MESSO Corro...
  
           AZUCENA (frapponendosi)
 Manrico!
 MANRICO Il tempo incalza...
 Vola, m'aspetta del colle a' piedi.
 
 (il Messo parte frettolosamente)
  
           AZUCENA E speri, e vuoi?...
 MANRICO (Perderla?... Oh ambascia!...
 Perder quell'angelo?...)
 AZUCENA (È fuor di sé!)
 MANRICO (postosi l'elmo sul capo ed afferrando il mantello)
 Addio...
 AZUCENA No... ferma... odi...
 MANRICO Mi lascia...
 AZUCENA
 (autorevole)
 Ferma... Son io che parlo a te!
 AZUCENA Perigliarti ancor languente
 per cammin selvaggio ed ermo!
 Le ferite vuoi, demente,
 rïaprir del petto infermo?
 No, soffrirlo non poss'io...
 il tuo sangue è sangue mio!...
 Ogni stilla che ne versi
 tu la spremi dal mio cor!
  
           MANRICO Un momento può involarmi
 il mio ben, la mia speranza!...
 No, che basti ad arrestarmi
 terra e ciel non han possanza...
 Ah!... mi sgombra, o madre, i passi...
 Guai per te s'io qui restassi!...
 Tu vedresti ai piedi tuoi
 spento il figlio dal dolor!
 (Manrico s'allontana, indarno trattenuto da Azucena)
 
 LA GITANA Scena terza
 Atrio interno di un luogo di ritiro in vicinanza di Castellor. Alberi 
          nel
 fondo. È notte.
 Il Conte, Ferrando ed alcuni Seguaci inoltrandosi cautamente
 avviluppati nei loro mantelli.
 [N. 7 Aria]
  
           CONTE Tutto è deserto! né per l'aura ancora
 suona l'usato carme...
 In tempo io giungo.
 
 FERRANDO Ardita opra, o signore,
 imprendi.
  
           CONTE Ardita, e qual furente amore
 ed irritato orgoglio
 chiesero a me. Spento il rival, caduto
 ogni ostacol sembrava a' miei desiri:
 novello e più possente ella ne appresta!
 L'altare! Ah no, non fia
 d'altri Leonora mai... Leonora è mia!
  
           CONTE
 Il balen del suo sorriso
 d'una stella vince il raggio!...
 il fulgor del suo bel viso
 novo infonde in me coraggio!...
  
           Ah! l'amor, l'amore ond'ardo
 le favelli in mio favor!...
  
           Sperda il sole d'un suo sguardo
 la tempesta del mio cor.
 (odesi il rintocco de' sacri bronzi)
 CONTE Qual suono!... oh ciel!
 FERRANDO La squilla
 vicino il rito annunzia!
 CONTE Ah! pria che giunga
 all'altar... si rapisca!...
 FERRANDO Oh bada!...
 CONTE Taci!...
 non odo... andate!... di quei faggi all'ombra
 celatevi!...
 (Ferrando e gli altri seguaci si allontanano)
 CONTE Ah! fra poco
 mia diverrà... Tutto m'investe un foco!
 (ansioso, guardingo osserva dalla parte donde deve giungere Leonora,
 mentre Ferrando ed i seguaci dicono
          sottovoce:)
  
           FERRANDO E SEGUACI Ardire! andiam! celiamoci
 fra l'ombre... nel mister!
 Ardire! andiam! silenzio!
 si compia il suo voler!
 
 CONTE
 (nell'eccesso del
          furore)
  
           Per me, ora fatale,
 i tuoi momenti affretta...
 La gioia che m'aspetta
 gioia mortal non è!...
 Invano un dio rivale
 opponi all'amor mio,
 non può nemmeno un dio,
 donna, rapirti a me!
 
 [N. 8 Finale atto II]
  
            
           CORO INTERNO DI RELIGIOSE
 Ah! se l'error t'ingombra,
 o figlia d'Eva, i rai,
 presso a morir, vedrai
 che un'ombra, un sogno fu,
 anzi del sogno un'ombra
 la speme di quaggiù!
  
           Vieni e t'asconda il velo
 ad ogni sguardo umano:
 cura o pensier mondano
 qui vivo più non è.
  
           Al ciel ti volgi e il cielo
 si schiuderà per te.
  
           Scena quarta
 Leonora con Ines e Séguito muliebre, poi il Conte, Ferrando e Seguaci,
 indi Manrico.
  
           LEONORA Perché piangete?
 DONNE Ah! dunque
 tu per sempre ne lasci!
  
           LEONORA O dolci amiche,
 un riso, una speranza, un fior, la terra
 non ha per me! Degg'io
  
           volgermi a quei, che degli afflitti è solo
 sostegno, e dopo i penitenti giorni
 può fra gli eletti al mio perduto bene
 ricongiungermi un dì!
 (incamminandosi)
 Tergete i rai
          e guidatemi all'ara...
  
           CONTE (irrompendo ad un tratto)
 No, giammai!...
 
  DONNE Il Conte!
 LEONORA Giusto ciel!
 CONTE Per te non avvi
 che l'ara d'imeneo.
 DONNE Cotanto ardia!...
 LEONORA Insano!... E qui venisti?...
 CONTE A farti mia.
 (e sì dicendo scagliasi verso Leonora, onde impadronirsi di lei; ma 
          fra esso e la preda trovasi, qual fantasma
 sorto di sotterra, Manrico. Un grido universale)
 Insieme
  
           LEONORA E deggio e posso crederlo?
 Ti veggo a me d'accanto!
 È questo un sogno, un'estasi,
 un sovrumano incanto?
 Non regge a tanto giubilo
 rapito, il cor sospeso!...
  
           Sei tu dal ciel disceso,
 o in ciel son io con te?
 CONTE Dunque gli estinti lascianodi morte il regno eterno!
 A danno mio rinunzia
 le prede sue l'inferno!
 Ma se non mai si fransero
 de' giorni tuoi gli stami,
 se vivi e viver brami,
 fuggi da lei, da me.
  
           MANRICO Né m'ebbe il ciel, né l'orrido
 varco infernal sentiero.
 Infami sgherri vibrano
 mortali colpi, è vero!...
 Potenza irresistibile
 hanno de' fiumi l'onde!
 Ma gli empi un dio confonde!
 Quel dio soccorse a me.
  
           DONNE
 (a Leonora)
  
           Il cielo in cui fidasti
 pietade avea di te.
 FERRANDO E SEGUACI
 (al Conte)
 Tu col destin contrasti:
 suo difensore egli è.
 
  Scena quinta
 Ruiz seguìto da una lunga tratta di Armati, e detti.
 RUIZ Urgel viva!
 MANRICO Miei prodi guerrieri!
 RUIZ Vieni...
 MANRICO
 (a Leonora)
 Donna, mi segui.
 CONTE (opponendosi)
 E tu speri?
 LEONORA Ah!
 MANRICO
 (al Conte)
 T'arretra!...
 CONTE (sguainando la spada)
 Involarmi costei?
 No!
 RUIZ E ARMATI (accerchiando il Conte)
 Vaneggi!
 FERRANDO E SEGUACI Che tenti, signor?
 (il Conte è disarmato da quei di Ruiz)
 CONTE (con gesti ed accenti di maniaco furore)
 Di ragione ogni lume perdei!
  
           LEONORA (M'atterrisce...)
 CONTE Ho le furie nel cor!
 Insieme
 INES E DONNE Ah sì! il ciel pietade avea di te!
 RUIZ E ARMATI
 (a Manrico)
 Vieni: la sorte sorride per te!
 FERRANDO E SEGUACI
 (al Conte)
 Cedi; or ceder viltade non è!
 (Manrico tragge Leonora seco, il Conte è respinto, le donne rifuggono 
          al cenobio, scende subito la tela
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