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      Teatro Rosetum - MilanoVIA PISANELLO n.1
      MILANO (MM1 GAMBARA)
 Sabato 25 maggio 2013 ore 20:00
 Domenica 26 maggio 2013 ore 16:00
 Organizzato da Teatro Rosetum
 in collaborazione con VoceAllOpera
 
       Giuseppe Verdi
 Il trovatore
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       Leonora
      
      LORENA CAMPARI  e
      Manrico
      
      GIOVANNI RIBICHESU (25) 
       Il Conte di Luna
      
      VALENTINO SALVINI (25)  
       Azucena
      
      ALESSANDRA NOTARNICOLA*
 Ines EULALIA LAI*
 Ruiz ALESSANDRO MUNDULA
 Un vecchio zingaro GIOVANNI TODARO
 Un messo MATTIA ROSSI
 
  Ferrando CESARE LANA
 
  
      Nella rappresentazione di domenica 26: Leonora
      
      MARIANNA PRIZZON  e
      Manrico 
      
      DIEGO CAVAZZIN (26) Il Conte di Luna
      
      EUN YONG PARK* (26) 
  
      Ensamble strumentale VoceAllOperaCoro ROSETUM diretto da
      
      DEBORA MORI
  
       Direttore d’orchesta
      
      GIANLUCA FASANO
 Regia
      
      GIANMARIA ALIVERTA
 Scena CLAUDIA BRAMBILLA
 Costumi ELENA ROSSI
 Ingresso previo tesseramento da € 22 a € 18
 * idonei alle audizioni tenutesi il 18-19 dicembre 2012
 per maggior informazioni Centro Rosetum tel.02 48707203-3494249181
 e-mail vociallopera@libero.i t
 facebook voce allopera o 
      www.voceallopera.com
 Associazione di volontariato VoceAllOpera
 Telefono: 349 4249181
 La collaborazione tra VoceAllOpera e 
      teatro Rosetum continuaIn anteprima i titoli della
 Stagione 2013-14
 Nabucco di G.Verdi
 Il Barbiere di Siviglia di G.Rossini
 Don Giovanni di W.A.Mozart
 Cavalleria Rusticana di P. Mascagni
 Pagliacci di R.Leoncavallo
 Boheme di G.Puccini
 L’elisir d’amore di G.Donizetti
 *la programmazione potrebbe subire variazioni
 
       
        
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          | Anteprima allestimento scenico: 
           
           
           
           
           
         
         
          “Il pubblico potrà assistere a uno spettacolo che 
          andrà dritto nel cuore della tragedia Verdiana, vedendo trasportata 
          l’ambientazione dalla Spagna del XV secolo alla guerra dei Balcani 
          degli anni 90 del secolo scorso” dice Gianmaria Aliverta regista e 
          direttore artistico della stagione operistica “L’intento è quello di 
          creare uno spettacolo nuovo dove l’opera possa essere ben compresa da 
          tutti, soprattutto di avvicinare i giovani alla lirica. Puntiamo 
          tantissimo sulle nuove generazioni per questo motivo giovani sono i 
          cantanti selezionati per il debutto, gli strumentisti, scenografa e 
          costumista” 
 Seguono immagini della serata:   |  
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          | IL DUELLO 
          Scena primaAtrio nel palazzo dell'Aliaferia: porta da un lato che mette agli
 appartamenti del Conte di Luna.
 Ferrando e molti Familiari del Conte che giacciono presso la porta;
 alcuni Uomini d'arme passeggiano in fondo.
 [N. 1 Introduzione]
 (ai familiari vicini ad assopirsi)
 FERRANDO All'erta, all'erta! Il Conte
 n'è d'uopo attender vigilando; ed egli
 talor presso i veroni
 della sua cara, intere
 passa le notti.
 FAMILIARI Gelosia le fiere
 serpi gli avventa in petto!
 FERRANDO Nel trovator, che dai giardini move
 notturno il canto, d'un rivale a dritto
 ei teme.
 FAMILIARI Dalle gravi
 palpebre il sonno a discacciar, la vera
 storia ci narra di Garzia, germano
 al nostro Conte.
 FERRANDO La dirò: venite
 intorno a me.
 (i familiari eseguiscono)
 ARMIGERI (accostandosi pur essi)
 Noi pure...
 FAMILIARI Udite, udite.
 Racconto
 (tutti accerchiano Ferrando)
 FERRANDO Di due figli vivea padre beato
 il buon Conte di Luna:
 fida nutrice del secondo nato
 dormia presso la cuna.
 Sul romper dell'aurora un bel mattino
 ella dischiude i rai;
 e chi trova d'accanto a quel bambino?...
 CORO Chi? favella. Chi? chi mai?
 
 FERRANDO Abbietta zingara, fosca vegliarda!...
 Cingeva i simboli di una maliarda!
 E sul fanciullo, con viso arcigno,
 l'occhio affiggeva torvo, sanguigno!
 D'orror compresa è la nutrice...
 Acuto un grido all'aura scioglie;
 ed ecco, in meno che il labbro il dice,
 i servi accorrono in quelle soglie;
 e fra minacce, urli e percosse
 la rea discacciano ch'entrarvi osò.
 CORO Giusto quei petti sdegno commosse;
 l'insana vecchia lo provocò.
 FERRANDO (raccontando)
 Asserì che tirar del fanciullino
 l'oroscopo volea...
 Bugiarda! Lenta febbre del meschino
 la salute struggea!
 Coverto di pallor, languido, affranto
 ei tremava la sera.
 Il dì traeva in lamentevol pianto...
 ammaliato egli era!
 (familiari ed armigeri inorridiscono)
 FERRANDO La fattucchiera perseguitata
 fu presa, e al rogo fu condannata;
 ma rimaneva la maledetta
 figlia, ministra di ria vendetta!
 Compì quest'empia nefando eccesso...
 Sparve il fanciullo e si rinvenne
 mal spenta brace nel sito istesso
 ov'arsa un giorno la strega venne,
 e d'un bambino... ahimè!... l'ossame
 bruciato a mezzo, fumante ancor!
 CORO Oh scellerata! oh donna infame!
 Del par m'investe odio ed orror!
 ALCUNI E il padre?
 FERRANDO Brevi e tristi giorni visse!
 Pure ignoto del cor presentimento
 gli diceva che spento
 non era il figlio; ed a morir vicino
 bramò che il signor nostro a lui giurasse
 di non cessar le indagini... ah! fur vane!...
 ARMIGERI E di colei non s'ebbe
 contezza mai?
 
 FERRANDO Nulla contezza... Oh! Dato
 mi fosse rintracciarla
 un dì!...
 FAMILIARI Ma ravvisarla
 potresti?
 FERRANDO Calcolando
 gli anni trascorsi... lo potrei.
 ARMIGERI Sarebbe
 tempo presso la madre
 all'inferno spedirla.
 FERRANDO All'inferno? È credenza che dimori
 ancor nel mondo l'anima perduta
 dell'empia strega, e quando il cielo è nero
 in varie forme altrui si mostri.
 CORO
 (con terrore)
 È vero! È ver!...
 ARMIGERI Su l'orlo dei tetti alcun l'ha veduta!...
 In upupa o strige talora si muta!
 FAMILIARI In corvo tal'altra; più spesso in civetta,
 sull'alba fuggente al par di saetta!
 FERRANDO Morì di paura un servo del conte,
 che avea della zingara percossa la fronte!
 (tutti si pingono di superstizioso terrore)
 FERRANDO Apparve a costui d'un gufo in sembianza,
 nell'alta quïete di tacita stanza!
 Con l'occhio lucente guardava... guardava!
 Il cielo attristando d'un urlo feral!
 Allor mezzanotte appunto suonava...
 (una campana suona improvvisamente a distesa mezzanotte)
 TUTTI Ah! sia maledetta la strega infernal!
 Odonsi alcuni tocchi di tamburo. I Familiari vanno verso la porta, Gli
 Uomini d'arme accorrono in fondo
 
  
  
  
  
  
    
  
  
  
 
 Scena secondaGiardini del palazzo: sulla destra marmorea scalinata che mette agli
 appartamenti; la notte è inoltrata, dense nubi coprono la luna.
 Leonora ed Ines.
 [N. 2 Cavatina]
 INES Che più t'arresti?... l'ora è tarda; vieni:
 di te la regal donna
 chiese, l'udisti.
 LEONORA Un'altra notte ancora
 senza vederlo...
 INES Perigliosa fiamma
 tu nutri! Oh! come, dove
 la primiera favilla
 in te s'apprese?
  
            
  
  
  
 LEONORA Ne' tornei! V'apparvebruno le vesti ed il cimier, lo scudo
 bruno e di stemma ignudo
 sconosciuto guerrier, che dell'agone
 gli onori ottenne: al vincitor sul crine
 il serto io posi!
  
           Civil guerra intantoarse: no 'l vidi più, come d'aurato
 sogno fuggente imago, ed era volta
 lunga stagion... ma poi...
 INES Che avvenne?
 LEONORA Ascolta.
 
  LEONORA
 Tacea la notte placida
 e bella in ciel sereno
 la luna il viso argenteo
 mostrava lieto e pieno;
 quando suonar per l'aere,
 infino allor sì muto...
 dolci s'udiro e flebili
 gli accordi d'un lïuto,
 e versi melanconici
 un trovator cantò.
  
           Versi di prece, ed umile
 qual d'uom che prega iddio;
 in quella ripeteasi
 un nome... il nome mio...
 Corsi al veron sollecita...
 egli era, egli era desso!...
  
           Gioia provai che agli angeli
 solo è provar concesso!
 Al core, al guardo estatico
 la terra un ciel sembrò.
 INES Quanto narrasti di turbamento
 m'ha piena l'alma!... Io temo!
 LEONORA Invano!
 INES Dubbio, ma tristo presentimento
 in me risveglia quest'uomo arcano!
 Tenta obliarlo...
 LEONORA Che dici? oh basti!
 INES Cedi al consiglio dell'amistà...
 Cedi...
  
           LEONORA Obliarlo! Ah! tu parlasti
 detto, che intendere l'alma non sa.
 LEONORA Di tale amor che dirsi
 mal può dalla parola,
 d'amor che intendo io sola,
  
           il cor s'inebriò!
 Il mio destino compiersi
 non può che a lui dappresso...
  
           S'io non vivrò per esso,
 per esso io morirò!
 INES (Non debba mai pentirsi
 chi tanto un giomo amò!)
 (ascendono agli appartamenti)
 
 Scena terzaConte.
 [N. 3 Scena, romanza e terzetto]
  
           CONTE Tace la notte! immersa
 nel sonno, è certo, la regal signora,
 ma veglia la sua dama! Oh Leonora!
 Tu desta sei; me 'l dice
 da quel verone tremolante un raggio
 della notturna lampa...
 Ah! l'amorosa fiamma
 m'arde ogni fibra! Ch'io ti vegga è d'uopo...
 che tu m'intenda... Vengo... A noi supremo
 è tal momento...
 (cieco d'amore avviasi verso la gradinata: odonsi gli accordi d'un 
          liuto: egli si
 arresta)
 Il trovator! Io fremo!
 MANRICO
 (fra le piante)
 Deserto sulla terra,
 col rio destino in guerra
 è sola speme un cor
 al trovator!
 Ma s'ei quel cor possiede,
 bello di casta fede,
 è d'ogni re maggior
 il trovator!
 CONTE Oh detti!... Oh gelosia!...
  
           Non m'inganno... Ella scende!
 (si avvolge nel suo mantello)
 Scena quarta
 Leonora e il Conte.
  
           LEONORA (correndo verso il Conte)
 Anima mia!
 CONTE (Che far?)
 LEONORA Più dell'usato
 è tarda l'ora!... io ne contai gl'istanti
 co' palpiti del core!... Alfin ti guida
 pietoso amor tra queste braccia...
 
 MANRICO
 (voce fra le piante)
 Infida!...
 (nel tempo stesso la luna mostrasi dai nugoli, e lascia
 scorgere una 
          persona di cui la visiera nasconde il volto)
 Scena quinta
 Manrico e detti.
  
           LEONORA
 Qual voce!... Ah, dalle tenebre
 tratta in errore io fui!
 (riconosce entrambi e gettasi ai piè di Manrico; agitatissima)
 A te credei rivolgere
 l'accento e non a lui...
  
           A te, che l'alma mia
 sol chiede, sol desia...
 Io t'amo, il giuro, io t'amo
 d'immenso, eterno amor!
  
           CONTE Ed osi?
 MANRICO (sollevando Leonora)
 (Ah, più non bramo!)
 CONTE Avvampo di furor!
 Se un vil non sei discovriti.
 LEONORA (Ohimè!)
 CONTE Palesa il nome...
 LEONORA
 (sommessamente a
 Manrico)
 Deh, per pietà!...
 MANRICO (sollevando la visiera dell'elmo)
 Ravvisami:
  
           Manrico io son.
 CONTE Tu!... Come!
 Insano temerario!
 D'Urgel seguace, a morte
 proscritto, ardisci volgerti
 a queste regie porte?
 MANRICO Che tardi? Or via, le guardie
 appella, ed il rivale
 al ferro del carnefice
 consegna.
 CONTE Il tuo fatale istante
 assai più prossimo
 è, dissennato! Vieni!
 
 LEONORA Conte!
 CONTE Al mio sdegno vittima
 è d'uopo ch'io ti sveni!
 LEONORA Oh ciel! t'arresta...
 CONTE Seguimi...
 MANRICO Andiam...
  
           LEONORA (Che mai farò?
 Un sol mio grido perdere
 lo puote.) M'odi...
  
           CONTE No!
 CONTE
 Di geloso amor sprezzato
 arde in me tremendo il foco!
 Il tuo sangue, o sciagurato,
 ad estinguerlo fia poco!
 (a Leonora)
 Dirgli, o folle!... «io t'amo» ardisti!...
 Ei più vivere non può.
 Un accento proferisti
 che a morir lo condannò!
 Insieme
  
           LEONORA Un istante almen dia loco
 il tuo sdegno alla ragione,
 io, sol io, di tanto foco
 son, pur troppo, la cagione...
  
           Piombi, ah! piombi il tuo furore
 sulla rea che t'oltraggiò...
 Vibra il ferro in questo core,
 che te amar non vuol, né può.
 MANRICO Del superbo vana è l'ira;
 ei cadrà da me trafitto.
 Il mortal che amor t'ispira,
 dall'amor fu reso invitto.
  
           (al Conte)
 La tua sorte è già compita!
 L'ora omai per te suonò!
 Il suo core e la tua vita
 il destino a me serbò!
  
           I due rivali si allontanano con le spade sguainate;
 Leonora cade, 
          priva di
          sentimento.
 
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 |  Note: 
        Il trovatore, un Verdi allo stato purodi Simone Milesi
 
 «Io vorrei due donne, la principale è la Gitana, carattere singolare e 
        di cui farei il titolo dell’opera. L’altra ne farei una comprimaria».
 Giuseppe Verdi aveva individuato il soggetto de Il trovatore nell’opera 
        El trovador di Antonio García Gutiérrez e lo aveva proposto a Salvatore 
        Cammarano, il quale aveva saputo creare un libretto essenziale e 
        stringato concentrando l’interesse sugli aspetti che stavano più a cuore 
        al compositore: eliminando lo sfondo storico del dramma, aveva dato 
        risalto alle contrapposizioni fra personaggi veementi e alle passioni 
        più accese. Tutto ciò servì a dar vita ad un perfetto melodramma 
        romantico, quale può essere definito Il trovatore.
 La popolarità dell’opera, con la quale si ha una sorta di ritorno al 
        formalismo melodrammatico italiano ben evidente nella contrapposizione 
        di caratteri più schematici e inamovibili rispetto alla complessità 
        psicologica dei personaggi di Rigoletto e La traviata, fu subito 
        grandissima tanto che già alla prima rappresentazione, che ebbe luogo al 
        Teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853, il finale del quarto atto 
        suscitò un entusiasmo tale che dovette essere ripetuto per intero.
 Verdi e Cammarano (quest’ultimo morto a lavoro quasi ultimato il 17 
        luglio del 1852: per terminare il libretto fu necessario ricorrere 
        all’intervento di Leone Emanuele Bardare) crearono un’opera dai grandi 
        tratti espansivi richiamandosi così alle opere serie di Rossini, dalle 
        quali tuttavia di discosta per l’utilizzo di recitativi ridotti al 
        minimo.
 Le parole di Giuseppe Verdi riportate in apertura rivelano quanto il 
        maestro avesse ben chiaro il progetto sulla delineazione dei personaggi 
        e dei loro caratteri (anche se poi riservò al personaggio di Leonora un 
        trattamento tutt’altro che da comprimaria, scrivendo pagine fra le più 
        ispirate della sua carriera di operista) e soprattutto quanto fosse 
        attratto dal personaggio di Azucena, che possiamo definire il 
        personaggio chiave dell’intricata vicenda.
 Come ci ricorda Massimo Mila, nelle opere della trilogia popolare 
        l’ispirazione verdiana è scaturita da una vicenda morale in cui l’eroe, 
        snaturato dalle sue passioni, riacquista la sua umanità attraverso 
        l’amore e il dolore. In questo caso è proprio Azucena, mossa dalla 
        volontà di vendetta, che si scioglie al contatto del dolore, 
        dell’affetto materno. In seguito alla fortuna delle opere di Wagner si 
        accesero non poche polemiche intorno a quest’opera, qualcuno la faceva 
        oggetto di disprezzo e qualcun altro la idolatrava.
 Quello che appare oggi, tanto agli studiosi quanto agli appassionati, è 
        un’opera magistralmente costruita su una struttura fatta di forze in 
        opposizione fra loro e mantenute, altrettanto magistralmente, in 
        equilibrio perfettamente dinamico: Il trovatore è, per dirla ancora una 
        volta con Massimo Mila, un Verdi non corrotto dall’influenza 
        intellettualistica di Arrigo Boito, un Verdi allo stato puro.
 
 Trovatore
 regia di Gianmaria Aliverta
 note di regia a cura di Vittorio Dante Ceragioli
 
 Proporre una visione nuova di Trovatore, senza tradire lo spirito 
        dell’opera è stata un’impresa più che ardua. Nessuna opera di 
        repertorio, infatti, è legata, come lo è Trovatore, ad un cliché di 
        rappresentazioni classiche, con fondali dipinti e soldati in 
        calzamaglia.
 La lettura che abbiamo dato all’opera parte dal presupposto di avere 
        sullo fondo una guerra etnica e razziale, una guerra fra occidentali e 
        zingari, fra cristiani e ortodossi, senza vincitori né vinti, senza 
        buoni né cattivi e dove a farla da padrone sono solo l’odio e il 
        pregiudizio.
 Il conflitto nell’ex-Jugoslavia, dopo la caduta di Tito, fa da sfondo al 
        nostro Trovatore, un’opera senza un vero e proprio evolversi drammatico 
        ma impregnata di racconti, che i vari protagonisti fanno nel corso delle 
        varie “parti”  (e non atti, come di solito sono suddivise le opere 
        teatrali).
 Il Conte di Luna diventa il primo ministro croato dopo la morte di Tito 
        e Ferrando capo del suo esercito. Leonora, invece, spinta da un forte 
        misticismo, mantiene la levatura di una nobile, probabilmente la figlia 
        di un personaggio importante all’interno del governo croato, ma non 
        impegnato politicamente.
 Manrico guida invece la fazione dei serbi che vivono in Croazia e si 
        ribellano all’odio razziale e religioso incitato dal Conte di Luna. Il 
        conflitto fra le parti coinvolge tutti gli aspetti dei due popoli, 
        compreso l’aspetto religioso (i Croati sono cattolici mentre i Serbi 
        sono cristiani ortodossi)
 Manrico inoltre è sstato allevato come figlio della zingara Azucena, anche se alla fine dell’opera scopriremo che altri non è che il 
        fratello del Conte, scambiato nela sua follia da Azucena stessa.
 Azucena, la zingara, diventa una donna tormentata dal passato a tal 
        punto da rasentare la follia; i conflitti interni e i turbamenti che ha 
        subìto fin da ragazza l’hanno segnata per sempre: ha visto sua madre 
        ardere sul rogo, ha gettato il suo stesso figlio neonato nel rogo nel quale 
        voleva uccidere il figlio del suo nemico, che ha poi cresciuto come se 
        fosse il suo vero figlio. Tutti gli zingari della sua comunità la guardano come una 
        squilibrata, con un misto di paura e di compassione.
 Il passato la fa 
        quindi diventare una madre morbosamente legata a Manrico.
 La vicenda amorosa di Leonora e Manrico si consuma così su questo 
        scenario, dove in fondo sarebbe bastato ai due contendenti (il Conte e 
        Manrico), mossi solo dai loro pregiudizi culturali, religiosi e 
        razziali, alzare la testa,  guardare l’altro negli occhi per 
        riconoscersi fratelli.
 
 Il Trovatore
 Di G.Verdi su libretto di Salvatore Cammarano
 
        Parte I - Il duello  La scena si apre nel palazzo dell'Aliaferia di Saragozza dove Ferrando, 
        capitano delle guardie, racconta agli armigeri la vicenda del figlio 
        minore dell'allora Conte, fratello dell'attuale Conte di Luna, rapito 
        anni prima dalla figlia di una zingara per vendicare la madre 
        giustiziata dal Conte con l'accusa di maleficio; la zingara (Abbietta 
        zingara) aveva poi bruciato il bambino e per questo omicidio i soldati 
        ora chiedono la sua morte. Nel frattempo Leonora, giovane nobile amata 
        dal Conte di Luna, confida a Ines, sua ancella, di essere innamorata di 
        Manrico (Tacea la notte placida), il Trovatore appunto. Il conte, 
        intento a vegliare sul castello, ode la voce di Manrico che intona un 
        canto (Deserto sulla terra). Leonora esce, e confusa dall'oscurità, 
        scambia il conte per Manrico e l'abbraccia. Ciò scatena l'ira del conte, 
        che sfida a duello il rivale.
 Parte II - La gitana  Ai piedi di un monte, in un accampamento di zingari (coro degli zingari: 
        Vedi le fosche notturne spoglie), Azucena, madre di Manrico, racconta 
        che molti anni prima vide morire sul rogo la madre accusata di 
        stregoneria dal vecchio Conte di Luna (Stride la vampa). Per vendicarsi, 
        rapì il figlio del Conte ancora in fasce e, accecata dalla disperazione, 
        decise di gettarlo nel fuoco; per una tragica fatalità, tuttavia, 
        confuse il proprio figlio col bambino che aveva rapito. Manrico capisce 
        così di non essere il vero figlio di Azucena e le chiede di conoscere la 
        propria identità, ma per Azucena l'unica cosa importante è che lei 
        l'abbia sempre amato come un figlio, protetto e curato proprio come 
        quando tornò all'accampamento ferito dopo il duello col Conte. Manrico 
        confida alla madre di esser stato sul punto di uccidere il Conte, 
        durante quel duello, ma di esser stato frenato da una voce proveniente 
        dal cielo (Mal reggendo all'aspro assalto).
 Nella scena successiva il Conte tenta di rapire Leonora che sta per 
        ritirarsi al convento, ma Manrico sventa il rapimento e porta in salvo 
        l'amata.
 Parte III - Il figlio della zingara  Azucena è catturata da Ferrando e condotta dal Conte di Luna. Costretta 
        dalla tortura e dalle minacce, confessa di essere la madre di Manrico. 
        Il Conte di Luna esulta doppiamente per la cattura. Uccidendo la zingara 
        otterrà doppia vendetta: per il fratello ucciso e su Manrico che gli ha 
        rubato l'amore di Leonora.
 Manrico e Leonora intanto stanno per sposarsi in segreto e si giurano 
        eterno amore. Ruiz sopraggiunge ad annunciare che Azucena è stata 
        catturata e di lì a poco sarà arsa viva come strega. Manrico si 
        precipita in soccorso della madre cantando la celebre cabaletta Di 
        quella pira.
 
 Parte IV - Il supplizio
 Il tentativo di liberare Azucena fallisce e Manrico viene imprigionato 
        nel palazzo dell'Aliaferia: madre e figlio saranno giustiziati all'alba. 
        Nell'oscurità, Ruiz conduce Leonora alla torre dove Manrico è 
        prigioniero (Timor di me?... D'amor sull'ali rosee). Leonora implora il 
        Conte di lasciare libero Manrico: in cambio è disposta a diventare sua 
        sposa (Mira, d'acerbe lagrime). In realtà non ha alcuna intenzione di 
        farlo: ha già deciso che si avvelenerà prima di concedersi. Il Conte 
        accetta e Leonora chiede di poter dare lei stessa a Manrico la notizia 
        della liberazione. Ma prima di entrare nella torre, beve, di nascosto, 
        il veleno da un anello. Intanto, Manrico e Azucena sono in attesa della 
        loro esecuzione. Manrico cerca di calmare la madre, terrorizzata (Ai 
        nostri monti ritorneremo). Alla fine, la donna si addormenta sfinita. 
        Giunge Leonora ad annunciare la libertà a Manrico e ad implorarlo di 
        scappare. Ma quando egli scopre che lei, la donna che ama, non lo 
        seguirà, si rifiuta di fuggire. È convinto che per ottenere la sua 
        libertà Leonora l'abbia tradito, ma lei, nell'agonia della morte, gli 
        confessa di essersi avvelenata per restargli fedele (Prima che d'altri 
        vivere). Il Conte, entrato a sua volta nella prigione, ascolta di 
        nascosto la conversazione e capisce d'esser stato ingannato da Leonora, 
        che muore fra le braccia di Manrico. Il Conte ordina di giustiziare il 
        trovatore. Quando Azucena rinviene, egli le indica Manrico morente, ma 
        pur nella disperazione la donna trova la forza di rivelare al Conte la 
        tragica verità: «Egli era tuo fratello» e mentre viene tratta a morte 
        può finalmente gridare: «Sei vendicata, o madre!».
 
 
        Claudia Brambilla, scenografaNasce a Monza, classe '86, dopo gli studi artistici si diploma nel 2010 
        all'Accademia di belle arti di Brera. Collabora da diverso tempo con 
        StudioCromo, azienda che realizza scenografie per diversi settori. Nel 
        2011 è assistente scenografa per Rigoletto al Regio di Torino e firma le 
        scenografie di diversi shooting fotografici per alcune testate fra cui 
        Vogue. Attualmente, è scenografa progettista e realizzatrice per la 
        trilogia verdiana al teatro Rosetum di Milano. Parallelamente, svolge 
        attività come insegnante di arte e immagine in una scuola primaria 
        milanese.
 
 Elena Rossi, costumista
 Nata a Milano nel 1987, si diploma in scenografia all'Accademia di Brera 
        e successivamente in sartoria teatrale all'Accademia del Teatro alla 
        Scala. Matura diverse esperienze in campo teatrale e cinematografico, 
        sia nella progettazione che nella realizzazione di scenografie e 
        costumi. Collabora da anni con la compagnia di teatro per ragazzi 'La 
        casa delle Storie'. Nel 2011 è assistente costumista per Rigoletto al 
        Regio di Torino e nel 2012 svolge un tirocinio di sartoria, elaborazione 
        e dresser presso il teatro Real di Madrid. Attualmente, è costumista 
        progettista e realizzatrice per la trilogia verdiana al teatro Rosetum 
        di Milano.
 
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