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Teatro Dal Verme - Milano
Sabato 25 febbraio 2012 ore 17:00
Organizzato da I POMERIGGI MUSICALI
Haydn, Mozart e
Beethoven
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Pianoforti: Alessandro Marangoni - Costanza Principe
Direttore: Aldo Ceccato
Prima serata GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2012 ORE 21:00
Programma
Franz Joseph Haydn
L’anima del filosofo, ouverture
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per due pianoforti orchestra k 365, in Mib Maggiore
I. Allegro
II. Andante
III. Rondò: Allegro
Ludvig van Beethoven
Sinfonia N°3 op.55 in Mib Maggiore, “Eroica”
I. Allegro con brio
II. Marcia funebre: Adagio assai
III. Scherzo: Allegro vivace
IV. Finale: Allegro molto
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
Fondazione I Pomeriggi Musicali: Tel 02 87905
www.ipomeriggi.it
Con il concerto di giovedì e sabato il maestro Aldo
Ceccato è tornato a dirigere la "sua" orchestra come egli stesso l'ha
chiamata. Una orchestra che ha dimostrato ancora una volta, nella
differenza che caratterizza i tre brani in programma, la qualità
raggiunta. Così "bravi" che posso tranquillamente "suonare da soli" ed
infatti il M°Ceccato ha dato l'attacco al primo brano, una simpatica
ouverture da una delle tante belle opere di Haydn tristemente cadute
nell'oblio, e poi si è seduto al piano per "ascoltarli" eseguire la
composizione. "Nell'epoca di Haydn e Mozart le orchestre non avevano
direttore".
Dopo Haydn due giovani pianisti, giovani ma già
protagonisti sulla scena internazionale, hanno affrontato un concerto
mozartiano piuttosto particolare, un gioco di squadra ben riuscito nel
quale l'orchestra ha incorniciato la trama di passaggi continui, echi,
frasi iniziate da uno e compiute dall'altro pianoforte con Costanza
Principe e Alessandro Marangoni che si sono espressi ognuno con grande
autorevolezza pur conservando la propria individualità di suono e di
tocco.
Grandi consensi alla fine ed un rammarico per il
mancato bis, visto che avrebbe richiesto una scelta di un brano che li
avrebbe coinvolti entrambi e che la letteratura per due pianoforti non
è molto vasta.
Nella seconda parte seguiva una mirabile esecuzione
della "Eroica" di Beethoven dove l'orchestra ha sfoggiato un suono
terso mai sfibrato, nemmeno nei pieni orchestrali che molti confondono
con il fare fracasso. Ma il secondo tempo è stato l'apice, un lavoro
di raffinato cesello con una marcia funebre che sembra evocare il
nostalgico rimpianto dell'addio alla vita terrena per accompagnare
l'eroe nei campi dell'Eliso.
Seguono immagini della serata:
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Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
67ª Stagione Sinfonica dell’Orchestra
I Pomeriggi Musicali
2011/2012
http://www.vigevano.net/mariomainino/pom-20112012.htm
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Guida all'ascolto di Andrea Dicht
Compositore prolifico, sereno, sempre originale ed arguto, uomo di
successo e punto di riferimento per la sua generazione e le
successive, di Haydn è stata data ogni possibile definizione e tra
di esse culmina quella di “padre della sinfonia”, di certo azzeccata
ma forse da non prendere proprio alla lettera. Non sarebbe
esagerato, però, considerarlo anche uno tra i migliori compositori
per teatro d'opera della sua epoca, visto che il suo catalogo
contiene 9 opere in tedesco (Singspiel) e ben 13 opere italiane
(anche se la maggior parte di esse oggi non conosce più la fortuna
di una messinscena).
Tanta dovizia è legata alla disponibilità di compagnia d'opera che
lavorava in pianta stabile presso la residenza dei principi
Eszterhazy, presso cui Haydn operò in esclusiva per circa trent'anni.
L'ouverture stasera in programma è tratta, però, dall'unico suo
lavoro per teatro scritto alla fine della sua lunghissima residenza
principesca, ovvero in occasione di una delle prime permanenze di
Haydn a Londra. Già osannato come sinfonista, Haydn riceve nel 1791
una sostanziosa commissione per un'opera seria in stile e lingua
italiani, basata su un libretto di Badini che ricalca senza troppa
cura il mito di Orfeo ed Euridice, già ampiamente frequentato nei
teatri grazie all'omonima opera di Gluck.
Animatore dell'iniziativa è Sir John Gallini, manager del King's
Theater. Haydn è ormai un compositore free-lance, Londra lo ha già
accolto con entusiasmo ed il compositore decide di accettare la
sfida con l'intento di porre solide basi ed un futuro alla sua
attività. Confeziona in fretta 110 pagine di partitura per
un'orchestra ampia, con tanti interventi corali e concertati delle
voci. Una serie di peripezie basate su una sostanziale gelosia del
Pantheon (un altro teatro londinese specializzato in opera italiana)
fanno sì che l'Anima del filosofo non vada mai in scena,
interrompendone la preparazione attraverso lo spiacevole invio di un
gruppo di ufficiali del re in occasione della prima prova d'insieme.
Dopo appena quaranta battute gli artisti dovettero chiudere bottega
e l'opera rimase nel dimenticatoio fino alla riscoperta degli
studiosi che permisero finalmente una prima esecuzione nel 1951,
presso il Teatro della Pergola di Firenze (Erich Kleiber alla
bacchetta, e Maria Callas nel ruolo di Euridice). Gallini pagò
comunque la somma stabilita ad Haydn, ben 300 sterline, ma non fu
per lui di certo un tracollo finanziario visto che alla sua morte
fece seguito un lascito di più di 150.000 sterline, accumulate
attraverso un'attività manageriale non sempre limpida e altrettanto
rispettosa nei confronti degli artisti.
L'ouverture è di tipo tradizionale, con una breve introduzione lenta
ed un più esteso movimento di carattere allegro. Il Largo si apre
con incedere maestoso, attraverso l'adozione di un ritmo puntato
marziale e severo, inframezzato da piccoli interventi melodici. Una
nota lunga a piena orchestra raccoglie ogni tensione per aprire il
Presto con una snella e gaia melodia dell'oboe su un semplice
accompagnamento degli archi. Il respiro è sinfonico e teatrale allo
stesso tempo, e l'estetica che guida la composizione è degna del
miglior Haydn. Il discorso musicale è improntato su un passo rapido,
tipico della sinfonia, ma è caratterizzato da improvvisi cambi
d'umore, secondo una drammaturgia più teatrale che meramente
musicale. Una nota lunga dell'oboe separa un episodio di sviluppo
del tema principale e ne annuncia la ripresa, successivamente
affidata a violini e flauto, Una veloce Coda conclude la
composizione in un clima sereno e festoso.
Tutto un altro carattere è quello di Mozart rispetto a Haydn, si sa,
e sempre più spesso viene voglia di collegare l'umore di una
composizione alla personalità del compositore. Non sempre, però, vi
è una corrispondenza lineare, né sul piano psicologico, né su quello
della biografia. Mozart compone il Concerto K.365 nel 1779, al
ritorno da una permanenza lontano da Salisburgo durata più di 18
mesi. Non è stato un viaggio pieno di trionfi come quelli che aveva
intrapreso in giovane età con il padre Leopold. Wolfgang non è un
così abile venditore di se stesso, a Parigi sua madre che lo
accompagna si è ammalata dopo tre mesi ed è morta. Monaco, Mannheim,
Strasburgo ed altre città meno note lo hanno apprezzato ma da ciò
non sono nati incarichi così interessanti da fargli lasciare
l'odiosissimo impegno con l'arcivescovo di Salisburgo. A Mannheim si
è innamorato della bella, sensibile e dotata soprano Aloysia Weber,
l'amore è corrisposto ma sulla via del ritorno Wolfgang scopre che
l'amata gli è stata infedele e ciò lo getta nella più cupa
disperazione.
Mozart torna a Salisburgo con un bagaglio di esperienze negative e
la prospettiva di dover continuare a sprecare il suo talento presso
una corte arcivescovile gretta e insensibile. Unico scoglio presso
cui ripararsi è sua sorella, l'adorata Nannerl, e grazie a questo
sodalizio così intimo nasce l'ottimista ed assertivo Concerto per
due pianoforti K.365, con ogni probabilità composto per le loro
stesse mani, tanto abituate a suonare insieme sin dalla più tenera
età.
Mozart ama questo Concerto, e lo suona almeno altre due volte
durante la sua residenza viennese (anche se non più con Nannerl).
Per l'occasione ne amplia addirittura l'orchestrazione aggiungendo
due clarinetti, due trombe ed i timpani, che vanno così ad
affiancare gli oboi, i fagotti ed i corni della prima stesura.
Il primo movimento, Allegro, esordisce con grandeur: un'ampia
introduzione orchestrale prende le mosse da un tutti orchestrale
molto incisivo grazie ad un singolare unisono tra gli strumenti. Ad
esso risponde una morbida e cantabile frase dei primi violini che
finalmente conduce al vero inizio del discorso musicale sinfonico.
Dopo un'ampia introduzione dell'orchestra entrano i solisti,
anch'essi all'unisono, e ricalcano il percorso proposto in
precedenza, arricchito però da figurazioni ed abbellimenti di
carattere virtuosistico. Orchestra e pianoforti non cercano un
terreno comune. Piuttosto assistiamo ad un gioco delle parti, nel
quale ogni risorsa strumentale prende la parola ed aggiunge qualche
particolare al discorso complessivo. Esso, a sua volta, è
particolarmente ricco, al punto che (come è stato rilevato spesso
dai critici) in questo Concerto c'è così tanto materiale musicale
che da questa partitura Mozart avrebbe potuto scrivere altri dieci
concerti per pianoforte. Una tradizionale Cadenza dei due solisti
precede una breve Coda che conclude felicemente il brano.
L'Andante, a differenza del movimento precedente, sfrutta assai poco
le possibilità sinfoniche dell'orchestra e si concentra di più sul
breve tema iniziale e le sue possibilità di elaborazione. Siamo a
metà strada tra l'aria-duetto con il da capo dell'opera e l'ambito
della musica da camera. L'abbellimento dello stile galante è il
protagonista del brano. Il tema passa dalle voci dell'orchestra ai
pianoforti, passando per oboi che suonano sugli arpeggi e le
volatine dei solisti. L'atmosfera è sospesa e Mozart sa regalarci
più di qualche momento magico.
Il Rondò Allegro che conclude il Concerto è invece il momento del
divertimento e del virtuosismo, e qui troviamo davvero fratello e
sorella che si scambiano i temi, li modificano, li rendono quasi
irriconoscibili sotto cascate di note approfittando di un'orchestra
che, con un solido impianto armonico e formale, sa ricondurre sempre
il discorso musicale entro gli schemi del Rondò. Ancora una Cadenza
per i solisti, fino ad un'uscita dei pianoforti innocente e basata
sul tema iniziale, alla quale fa seguito e conclude un deciso
intervento orchestrale.
E’ noto il fervore con cui Beethoven compose la Sinfonia “Eroica”,
un’ispirazione dovuta ai successi napoleonici e destinata a svanire
con l’autoproclamazione ad imperatore del rivoluzionario corso.
Questo brano si configura, quindi, come un omaggio all’eroismo
inteso come sfida delle convenzioni, ed in senso romantico, come
attesa messianica dell’uomo predestinato ad illuminare il mondo con
la sua scienza. E questa tendenza beethoveniana si esprime
completamente in questa sinfonia, musica che proviene dal profondo
dell’essere e parla un linguaggio senza curarsi delle capacità
cognitive del destinatario, una musica che parla alle sensibilità
degli ascoltatori, sicura del proprio effetto e del valore dei suoi
contenuti.
Non preceduto da alcuna introduzione lenta, l’Allegro con brio si
apre con due accordi secchi, spietati, di certo con l’intenzione di
catturare l’uditorio, ma anche con funzione strutturale poiché
riappariranno in vari luoghi di questo movimento. Senza troppi
preamboli nasce il celebre tema, ai violoncelli, caratterizzato da
una cellula melodica di sconcertante semplicità ma in breve “messo
in crisi” da armonie inusuali. Senza prendere fiato lo stesso tema
passa al corno, strumento-chiave dell’intera sinfonia, e
l’orchestrazione si amplia per una perorazione supplementare dello
stesso tema ad orchestra completa. Ancora senza pause o cesure viene
presentato il secondo tema (o meglio, la prima delle quattro cellule
che, aggregate, daranno vita a questa seconda persona), stavolta
diviso tra strumentini e primi violini secondo quella melodia di
timbri tipicamente beethoveniana (Klangfarbenmelodie). Tutto
l’Allegro procederà quindi senza soste, e anche quando la densità
sonora sembrerà rarefatta la tensione raggiungerà i suoi apici, una
sorta di atto di forte volontà, l’espressione dell’essere volitivo
che non ha bisogno dell’approvazione altrui per seguire il proprio
cammino. Tutto questo inserito in una struttura, ancora la
forma-sonata, dalle dimensioni inedite e dalla coesione fortemente
minata da forze disgreganti e centrifughe. Noterà l’ascoltatore la
complessità del tessuto compositivo di questa sinfonia, l’intervento
di brevi cellule motiviche meno che accessorie, estranee diremmo
rispetto al discorso principale. Questa è una delle grandi novità:
la musica diventa rappresentazione sonora di un mondo, di un
universo che non è tranquillizzante, vario nella complessità delle
emozioni che vi sono comprese e difficile da controllare quando
dalla superficie ci si addentra in profondità. Lo sviluppo è
tecnicamente assai complesso: tutti i temi esposti vengono ripresi e
messi ad interagire l’uno contro l’altro; a rendere ancora più
intricato il discorso interviene addirittura un terzo tema (di
sicuro uno scandalo per l’epoca) agli oboi che prelude ad una falsa
ripresa fino a quando, con un effetto indiscutibilmente teatrale, fa
capolino il tema iniziale ed il movimento segue il suo ordine
tradizionale sino alla coda.
Con la Marcia funebre (originariamente “Marcia trionfale”)
l’introspezione raggiunge il suo culmine. Si tratta formalmente di
un brano in una solida forma ternaria ma in realtà la struttura si
rende spesso disponibile ad espandersi in episodi accessori (un
fugato e varie altre oasi liriche) creando così una struttura
complicata ma sempre fluida e compatta. Il tema principale di questa
marcia appare subito all’inizio del movimento, ai violini su un
accompagnamento dei soli archi. Ripreso dall’oboe esso sfocia in un
“tentativo” di nuovo tema, stavolta positivo, ma destinato a sparire
nel nulla, ingoiato dall’incisività dei ritmi puntati. A questa
sezione segue una parte, in do maggiore, dal tono più solare ed in
netto contrasto con le lugubri atmosfere di apertura. Si tratta,
però, solo di una parentesi poiché la marcia è dietro l’angolo e non
lascia scampo ad un ascoltatore in cerca di punti fermi: torna il
corteo e la meditazione conduce ad un episodio fugato molto teso e
dai toni disperati. Siamo ancora nell’ambito del ripiegamento dello
spirito, di una ricerca interiore ed al tempo stesso un invito alla
ricerca secondo un’intenzione quasi istruttiva da parte di Beethoven
(non dimentichiamo che egli sempre fu un attento osservatore e
critico della società e della vita politica contemporanea).
Lo Scherzo si apre con una figurazione puntata degli archi in
pianissimo, una specie di magma ribollente sul quale si delinea il
tema dell’oboe. La lava si condensa, cresce il suono ed i movimenti
sotterranei si trasformano in una vera e propria forza tellurica,
ciclopica e vittoriosa. Alla malinconia e alle atmosfere della
Marcia si sostituisce quindi qualcosa di concreto e materiale, una
sorta di passaggio all’azione, un incitamento alla lotta contro
l’inerzia in nome della vittoria finale. Splendido il Trio inserito
nello Scherzo: qui sono i corni a farla da padroni con un richiamo
di caccia, un piccolo omaggio alla tradizione naturalista della
sinfonia settecentesca; senza soluzione di continuità torna lo
Scherzo per avviarsi verso una conclusione positiva.
Il Finale: Allegro molto è anch’esso un movimento assai articolato.
Basato sulla tecnica della variazione, esso è annunciato da una
rapida discesa degli archi che conduce ad un accordo tenuto di tutta
l’orchestra. Dagli stessi archi, stavolta in piano e pizzicato,
viene disegnato il tema delle variazioni, dapprima nel suo
“scheletro” e poi via via arricchito dei suoi dettagli. La prima
variazione è affidata ancora agli archi e sarà tutto un succedersi
di rivisitazioni dello stesso materiale melodico sotto diverse
angolazioni: cambi di strumentazione e di tonalità, addirittura un
travestimento all’ungherese, mutamenti metrici dal binario al
ternario, o ancora riedizioni letterali del tema ma con
accompagnamenti diversi, fino anche ad un piccolo episodio fugato.
Un rincorrersi del tema, mai ossessivo, che sfocia in un passaggio,
Poco Andante, che costituisce un vero gioiello incastonato in questo
Finale. Il tema già ascoltato diventa ora cantabile ed espressivo e
le armonie che lo sostengono sono più complesse, un esempio di
virtuosismo compositivo. Il gioco dei chiaroscuri tonali è ora alla
guida del discorso musicale; i suoni diventano rarefatti e la
sinfonia, così eroica, sembra spegnersi nel silenzio. Un irruento
Presto trascina come una ventata il brano verso la sua conclusione
sotto forma di accordi campali e decisi, senza possibilità di
confusioni o ripensamenti.
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