Sinossi
dalle note dell'Ufficio Stampa
Una Cicogna stufa dell’ordine stantio di un mondo famigliare pieno di regole conformi e a suo dire moriture apre la nostra storia con un inno di ribellione. Apparentemente solo per divertirsi a “sconzare le carte” ma col suo fare da maschera napoletana e un linguaggio rimato e popolare, ci addentra pian piano in quello che è il suo obiettivo: portare il Kaos, il disordine, per rimettere in discussione, stravolgere, Ri-Generare e perché no, migliorare il mondo. Essa stessa ci e si rivela colpevole di antichi scherzi, scambi di figli che hanno sì portato il caos ma che hanno creato storie necessarie, arte, vita. Dopo secoli non è mai stanca e ancora si infiamma davanti al suo pubblico per l’idea che ci rivela in diretta: portare in una famiglia dalle altissime aspirazioni musicali, assieme a tre figli con il dono eccelso del canto, un figlio muto. Muto è appunto il nome del protagonista di questa storia che da subito si vedrà assediato e che senza un attimo di tregua verrà messo continuamente alla prova con il mondo e con sé stesso.
La madre è un’insegnante di musica in visibilio per le doti canore dei suoi tre figli ma che si strugge di dolore per la disgrazia che rappresenta il quarto. I fratelli che lo escludono e lo maltrattano la conducono rassegnata all’unica soluzione possibile: mandarlo via da casa. Da questo abbandono prende il via la serie di incontri che lo porteranno gradualmente alla consapevolezza di sé, obiettivo comune di quasi tutte le fiabe.
Per questo la nostra storia di iniziazione ha come coprotagonisti personaggi di fiabe e romanzi che hanno di per sé un loro vissuto e dei connotati riconoscibili. La piccola fiammiferaia è la bambina che dal buio in cui Muto è sprofondato gli offre luce e che gli chiede amore ma che alla fine lo rifiuta per la sua incapacità di esprimere i suoi sentimenti.
Il Gatto e la Volpe cercano di circuirlo e lo ingannano promettendogli un miracolo che gli farà acquistare la voce. I tre moschettieri prima lo coinvolgono e subito dopo lo tagliano fuori dal gruppo a dispetto del loro motto Uno per tutti e tutti per uno. Monadi, coppie, trii, cori, tutti esempi di possibili “famiglie” in cui star bene e realizzarsi, tutte situazioni che lo mettono di fronte a delle possibilità di riconoscimento di sé e che pur non offrendogli la soluzione adatta a quel momento lo aiuteranno a comprendere quella definitiva in futuro.
Dopo il gelo paralizzante dell’inverno in cui unico appiglio per non cadere e lasciarsi andare nel vuoto è stato un albero apparentemente secco, al primo sciogliersi del ghiaccio una rondine si posa su un ramo e le dita di Muto cominciano a muoversi. La rondine canta seguendo i suoi piccoli gesti che lo riscaldano e lo sciolgono sempre di più. È lui a farla cantare, è lui stesso coi suoi movimenti a generare suono in corrispondenza coi suoni della natura che lo circonda.
Più si muove e più il mondo attorno a sé sembra dargli ascolto e accordarsi ai suoi impulsi creativi di cui diventa sempre più cosciente.
Altri, che siano i personaggi del suo passato, di questo nuovo presente o del suo futuro, voci illusorie o reali, si fanno attorno a questo artista appena ri-nato, compositore di una musica autentica, una musica che pur ispirata da lui non lo isola, che anzi, frutto di talenti condivisi, coinvolge tutto attorno a sé, libera canti altrui e suoni di strumenti che trovano l’Armonia nello stare assieme.
Da un punto di vista registico spiega il concept Davide Garattini “Il brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen è sicuramente una delle favole più famose al mondo. Purtroppo però oggi sono ancora tantissimi i ragazzi che vivono la stessa storia, forse più che mai il brutto anatroccolo è una favola moderna, drammaticamente attuale che è andata sempre di più a caricarsi con l’evoluzione della società di problemi esistenziali tipici della adolescenza. Chiunque di noi conosce un brutto anatroccolo, forse noi stessi lo siamo stati in un periodo della nostra vita, sicuramente sono molti quelli che giornalmente vivono una situazione da brutto anatroccolo; “l’emarginato perché è diverso” è una situazione che può essere vissuta quotidianamente in ogni ambito e in ogni momento della nostra vita.
Comunque prima o dopo ci si ritrova dentro alla storia del brutto anatroccolo, chiunque di noi, inesorabilmente.
L’opera che portiamo in scena non ha una visione tradizionale come Andersen l’ha scritta, siamo partiti dall’originale per portarla più possibile ai giorni nostri, con un linguaggio che possa arrivare diretto allo spettatore seduto in platea. Noi dall’immagine dell’anatroccolo entrata nell’iconografia collettiva abbiamo voluto sviluppare una raffigurazione che la rendesse meno datata, creando un nuovo mondo simbolico, dove il cucciolo è sempre di più un nuovo Charlot e di conseguenza tutti gli altri personaggi che lo circondano si trasformano, così il nostro anatroccolo vivrà una storia di crescita anche attraverso personaggi nuovi o trasversali e in una visione più onirica e surreale affidata a scene e costumi. Siamo in un luogo di immaginazione, un contenitore magnifico dove tutto accade e tutto si trasforma, passando da interno ad esterno con il semplice gioco della creatività e della fantasia sia per chi lo ha pensato sia per quelli che vedranno lo spettacolo.
Un caleidoscopio di immagini sì proporrà freneticamente in una metamorfosi continua, esattamente come la vicenda che vive l’anatroccolo.
Drammaturgia e immagine danzano insieme per accompagnare a rivivere una storia che tutti noi crediamo di conoscere ma forse dobbiamo rispolverare”.
Come dalla favola si passi alla stesura del libretto lo spiegano i librettisti Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi
“Sentirsi brutto anatroccolo può essere una sensazione dovuta a una fase fisica quanto emozionale della vita di ciascun essere umano. Ecco perché per la nostra storia abbiamo voluto prendere come riferimento l’allegorico mondo delle fiabe che ci connettono da sempre alle nostre emozioni più profonde. La Musica in genere e l’opera in particolare rimangono però la prima fonte di ispirazione e la formula coro, aria, duetto, terzetto, sinfonia ci conduce per mano attraverso i codici espressivi del melodramma, così come le citazioni interne ad ogni scena (Il flauto magico, lo Stabat Mater, l’Elisir d’amore, Bohème ecc..) ci offrono spunti riconoscibili che avvicinano il giovane pubblico al mondo dell’opera senza per questo diventarne parodie. La Musica come veicolo metafisico pertanto guida il nostro piccolo protagonista attraverso le sue crisi nella ricerca di una sua personale necessità interiore. Mentre gli incontri che il destino gli offre lo mettono di fronte al fatto che ognuno cerca di arrivare alla libera espressione di sé utilizzando mezzi individuali e perdendo il senso di condivisione e collettività, l’incontro finale con sé stesso lo farà approdare alla soluzione opposta. Ogni momento della vita sarà al tempo stesso una morte e una rinascita e alla fine del suo viaggio metafisico Muto capirà che gli enigmi dell’uomo e del mondo, inspiegabili e intrisi di contraddizioni, possono portare invece alla conoscenza di sé.
Quali possono essere allora gli elementi della sua poetica musicale se non le stesse esperienze anche dolorose che lo hanno portato fino a lì? La sua musica diventa una formula magica per calmare la sofferenza, per penetrare le anime, per ispirare l’amore, per la guarigione di un passato doloroso, per attirare la gioia di vivere. In una ricerca del punto estremo in cui la musica si trasforma nella stessa voce del silenzio e in cui il silenzio si identifica con la musica. Si arriva così al superamento del concetto di spazio e tempo, in quanto il vicino e il lontano, il presente e il futuro perdono ogni reale valenza, sono suoni che incantano senza virtuosismi. Il nostro Artista non può cancellare la menzogna insita nella vita, la cattiveria dell’essere umano, gli ostacoli e le sue contraddizioni feroci ma proprio per questo aspira alla semplicità e alla purezza. Si ha allora bisogno di incontrare la “Magia”, una “tecnica” che permette o illude l’essere umano di arrivare dove i suoi mezzi fisici e razionali non sono in grado di portarlo. Il Suono diventa così l’ineffabile strumento privilegiato in grado di proteggerci da tutto ciò che minaccia la nostra vita e il nostro benessere. Nel bosco sacro di Apollo gli alberi cantano la melodia degli dei; i rami alti e i rami bassi cantano all’ottava e quelli del centro in una quinta e in una quarta. Così il nostro Albero diventa sintesi di quel bosco di Apollo che avvolge la creazione in un’incantatio divina”.
“La storia di Muto è la storia di tutti noi che, in un modo o nell'altro, ci sentiamo diversi e a volte inadeguati – spiega il compositore Salvatore Passantino - Attraverso le sue sfide, i suoi insuccessi e successi, impareremo ad accettare la nostra unicità e a trovare la nostra vera voce. Il Brutto Anatroccolo è un'opera che si rivolge a un pubblico di tutte le età. La musica coinvolgente, i personaggi memorabili e il messaggio di speranza la rendono un'opera che vi emozionerà e vi farà riflettere.
Lo stile musicale è eclettico, combinando elementi di musica classica contemporanea, dell'opera di tradizione e della musica popolare. L'ensemble strumentale (formato da flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello, contrabbasso e percussioni) svolge un ruolo fondamentale, creando atmosfere evocative e sottolineando le personalità e le emozioni dei personaggi. Non mancano citazioni dal grande repertorio operistico, come il Barbiere di Siviglia, La Traviata, il Don Giovanni e la Cavalleria Rusticana. La vocalità dei quattro solisti (soprano, mezzosoprano, tenore e basso) è messa a dura prova dalla varietà di stili utilizzati. I cantanti, dovendo interpretare ognuno più di un personaggio, si trovano a spaziare dallo stile lirico al recitativo, dallo stile fiorito allo stile corale fino allo Sprechgesang e al recitato. Una prova davvero difficile che richiede grande duttilità interpretativa. Sei scene, sei mondi sonori L'opera si articola in sei scene, ognuna caratterizzata da una specifica atmosfera musicale: Prima Scena: Un'esplosione di vivacità ritmica caratterizza la scena iniziale, con i fratelli di Muto che cantano mostrando le loro doti canore fuori dal comune. La musica, brillante e giocosa, sottolinea la bravura, disinvoltura e il virtuosismo della madre e dei fratelli canterini, contrapposti al silenzio imbarazzante di Muto. Seconda Scena: L'atmosfera si fa intima e malinconica nell'incontro tra Muto e Fiammetta. Il canto del soprano si tinge di delicatezza e struggimento, mentre Muto tenta invano di esprimere i suoi sentimenti con gorgheggi e vocalizzi afoni. Fiammetta, pur ammirando la sua bellezza interiore, non riesce a comprendere il suo linguaggio e lo respinge.
Un finale, con melodie intrecciate e armonie dissonanti, sottolinea la frustrazione e l'incomunicabilità tra i due personaggi. Terza Scena: Un'ironia pungente e grottesca pervade la terza scena, con Gatto e Volpe che ingannano Muto vendendogli un falso elisir miracoloso per la sua voce. Il tenore e il basso si esibiscono in un gran duetto buffo, con melodie saltellanti e ritmi serrati, che sottolineano la furbizia e l'inganno dei due personaggi. Quarta Scena: La drammaticità e l'angoscia si impossessano della scena con Muto che affronta la sua solitudine e il dolore del rifiuto. La musica si fa cupa e tormentata, con l'orchestra che esegue un adagio straziante. Le voci dei cantanti fuori scena, che rappresentano le voci della coscienza di Muto, si intrecciano in un madrigale a quattro voci, creando un contrappunto di dolore e sofferenza. Quinta Scena: Un'atmosfera gelida e cupa pervade l'inizio della quinta scena, con Muto che vive un gelido inverno interiore ed esteriore. L'orchestra esegue una musica, con tremoli degli archi che evocano il freddo e la solitudine. Nella sesta scena avviene la metamorfosi: la scoperta della propria voce si traduce in una sinfonia di speranza e rinascita. I suoni della natura si integrano con l'orchestra in un crescendo di gioia e trionfo. La vocalità si espande, l'orchestra si avvale di tutta la sua ricchezza timbrica. I cantanti in coro intonano un inno alla gioia e alla diversità. Il Brutto Anatroccolo è un'opera dal forte impatto emotivo, dove la musica sottolinea le emozioni e veicola un messaggio di speranza e rinascita.
Un viaggio musicale che celebra la bellezza della diversità e il potere della musica di unire e commuovere”.
Come tutto questo divenga realtà in scena è nelle mani della scenografa e costumista Josephin Capozzi “Nella scena, un maestoso libro si staglia, custode dell'anima delle storie, da cui sgorga un incanto senza fine. Le sue pagine respirano vita, dando voce alle vicende del nostro Brutto Anatroccolo e oltre: la delicata storia della Piccola Fiammiferaia, il dramma di Violetta, i travolgenti avvenimenti di Don Giovanni, la magia dei personaggi di Pinocchio e molte altre ancora. In questa rilettura del Brutto Anatroccolo, la semplicità si sposa con la suggestione, creando un mondo di pura fantasia che celebra il potere dei libri come sorgente inesauribile di ispirazione e meraviglia. Come un caleidoscopio incantato, queste pagine si dipanano in un fluire di immagini e poesia, evocando l'incanto dei libri illustrati per i più piccoli. Ad impreziosire ulteriormente la scena contribuiscono i costumi, ideati non secondo canoni tradizionali, ma con un tocco di modernità che li rende ancor più affascinanti. Cicogna Partendo dall'analisi della cicogna, il costume richiama quello di un aviatore, incorporando tutti gli elementi presenti nel prologo. Ad esempio, l'essere partenopeo è stato reso visivamente attraverso una maschera che evoca sia Pulcinella che una cicogna.
Il costume della cicogna è principalmente ispirato al mondo dell'aeronautica e dell'aviazione, con delle ali che richiamano vagamente lo stile di Leonardo Da Vinci, ma con un evidente omaggio alla cultura napoletana. La nostra cicogna non trasporta un sacco pieno di uova, bensì un carrello colmo di esse, che al contempo ricorda una carrozzina e un veicolo, con lo scopo di stimolare l'immaginazione del giovane pubblico. Muto Il personaggio di Muto trae ispirazione dalla figura di Charlot, poiché l'obiettivo era quello di creare un chiaro omaggio al cinema muto, mentre al contempo rappresentare un individuo malinconico, il cui abbigliamento non si adatta visivamente alla sua vera natura, considerando che Muto non è un'anatra, bensì un cigno. Nell'ultima scena, Muto si trasformerà in un cigno, assumendo il ruolo di direttore d'orchestra e indossando un meraviglioso frac bianco. Anatroccoli I costumi della madre, dei fratelli e della sorella di Muto sono stati ideati con l'intento di evocare l'immagine dell'anatra attraverso l'uso dei colori. Ad esempio, i cappelli richiamano ture di colore arancione ricordano le zampe dell'anatra. L'unico elemento esplicitamente riconducibile è la coda di anatra, presente su tutti i costumi. La Piccola Fiammiferaia Fiammi è stata concepita con l'intento di comunicare immediatamente l'immagine di una bambina povera che vive per le strade, ma con un'anima poetica. Indossa un lunghissimo cappotto e un grandissimo cappello, entrambi donati, che contribuiscono a definire il suo carattere e la sua storia. Gatto e Volpe Il Gatto e la Volpe si presentano chiaramente come due personaggi sgangherati che fanno parte del mondo circense. Seguendo l'idea di Carlo Collodi, Volpe è rappresentato come zoppo, mentre Gatto è cieco. A differenza di Volpe, Gatto ha un'aria più felina, quasi elegante, ma nello stesso tempo trasandata. Indossa un cappello "tam o' shanter" e un kilt.
Volpe, essendo un canide, appare meno "raffinato" rispetto a Gatto, e ciò è evidente nei loro costumi. Pagliacci Pagliaccio 1 e Pagliaccio 2 sono costumi pensati per facilitare il cambio di scena. Nel nostro caso saranno indossati da Mamma e Sorella che prepareranno la scena di Gatto e Volpe. Direttore d’orchestra e Cantanti Nell'epilogo, Muto si trasformerà in un cigno e assumerà il ruolo di direttore d'orchestra, indossando un impeccabile frac bianco.
Nel frattempo, i fratelli, ormai affermati cantanti, sfoggeranno eleganti abiti da sera, completando così la loro trasformazione e il loro successo”.
sito del teatro www.fondazioneteatrococcia.it
L’opera sarà preceduta da un appuntamento nuovo inserito nel progetto AlfaBeto Culturale del Teatro Coccia D come Dipingiamo un’Opera d’Arte, Chagall e il Sogno – laboratorio di pittura a cura di Associazione “ArteLab” aperto a tutta la famiglia a ingresso libero e gratuito, Sabato 9 Marzo alle 16.30 nell’Istituto Musicale della Canonica del Duomo di Novara, si entra nel mondo di Chagall per scoprire l’importanza di tanti animali, protagonisti delle sue opere. Capre rosse, animali che volano senza avere le ali, uccelletti dallo strano piumaggio, bovini principi della scena… a loro l’artista consegna un ruolo da protagonisti. Grazie ad acquerelli e pastelli a cera si ricostruisce un mondo colorato e originale, seguendo l’insegnamento di Chagall.
Il laboratorio segue l’Opera a Merenda realizzata Sabato 2 Marzo con i giovanissimi Alessandro Lo Re e Emma Pilota e il Reading a cura di Alessandro Barbaglia del 24 Febbraio. AlfaBeto Culturale è sostenuto da Fondazione Cariplo.
La Stagione 2024 è realizzata con il contributo di Ministero della Cultura, Regione Piemonte, Città di Novara, Fondazione Banca Popolare di Novara, Fondazione DeAgostini, Fondazione Cariplo, Fondazione CRT, Fondazione Compagnia di San Paolo, Mirato. In collaborazione con Atl - Agenzia di Accoglienza e Promozione Turistica Locale Provincia di Novara, Novara Dance Experience e la partnership di Conservatorio Guido Cantelli, RossiniLab-Cantelli, STM- Scuola del Teatro Musicale,
Le foto sono scattate con:
Panasonic LUMIX FZ300 12 Megapixel, Zoom 0X, 1600 ISO, LCD ad Angolazione Variabile e rigorosamente non hanno subito nessuna post elaborazione.
Le foto e le riprese sono state effettuate con macchina fotografica e cellulare a mano, senza mai passare davanti ad un solo spettatore.