Teatrp Fraschini 2023-24
Verdi - Don Carlo ???

 

Teatro Fraschini di Pavia
OperaLombardia
Due recite Venerdì 17 e domenic 19 novembre 2023
Giuseppe Verdi
DON CARLO
Opera in quattro atti


Personaggi e Interpreti
Don Carlo, Infante di Spagna Paride Cataldo
Filippo II, Re di Spagna Carlo Lepore
Rodrigo, Marchese di Posa Angelo Veccia
Elisabetta di Valois Clarissa Costanzo
La Principessa d’Eboli Laura Verrecchia
Il Grande Inquisitore Mattia Denti
Tebaldo, paggio di Elisabetta Sabrina Sanza
Un Frate Graziano Dallavalle
Una voce dal cielo Erika Tanaka
Il conte di Lerma / Un araldo Raffaele Feo
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Direttore Jacopo Brusa
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Luci Marco Alba
Assistente alla Regia Tecla Gucci Ludolf
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Nuovo Allestimento del Teatro Fraschini per i teatri di OperaLombardia


PROGRAMMA e NOTE dai comunicati alla stampa :

Bene bene siamo sopravvissuti, ma non certo tornati a casa felici, anzi tutt'altro dopo avere visto l'ennesimo SCEMPIO che oggi si compie a danno di un genere musical-teatrale immenso come la nostra opera lirica. Non parlo certo da sprovveduto perchè vanto una carriera di spettatore di olte mezzo secolo nel quale ho visto, di giornalista di documentatore, organizzatore e - to! guarda caso - pure di regista. Regista in piazze più che minori e fatto sempre con grande passione e non per magri o assenti compensi. So di cosa stiamo parlando e l'ho sempre affrontato con studio e rispetto, ma oggi che si fa? Oggi i novelli re del palcoscenico e dei cahet producono per la maggior parte delle volte delle grandi GAGHET.
Il bello è che molte volte viene pure da ridere a leggere le loro presentazioni che poi nell'opera non mettono assolutamente in pratica.
Forse perchè scrivono delle cose assolutamente a caso e poi le buttano sul palco con l'accozzaglia di ideucce vecchie e sfruttatissime che credono sia una novità.
Questo Don Carlo è un esempio importante, un ottimo antidoto per chi rischia di innamorarsi dell'opera, dopo averlo visto smetterà di frequentare il teatro e perdere così tempo che potrebbe passare meglio in pizzeria con gli amici.
1) LA VIOLENZA : ma perchè si deve sempre mettere in scena violenza, donne stuprate, uomini percossi, occhi strappati, sangue a iosa su visi e su abiti, ma PERCHE'? 
2) LE TELECAMERE: ma basta, che noia vedere le finte telecamere in scena come per un giornale radio, almeno si usassero veramente per riprendere e proiettare i primi piani
3) LE SEDIE: un elemento che da quando Martone le usò nella Cavalleria alla Scala imperversa in palcoscenico, giuro che se dovessi mai fare una altra regia, se trovo una sedia in scena ci metto sopra dei chiodi o sego le gambe in modo che nessuno possa sederi.
4) LA SEDIA A ROTELLE (la carrozzina): ma anche questa ormai è diventata d'obbligo? Ditemelo, perchè così in Aida ci metto su Radames nella scena del trionfo! In Flauto magico, il povero Sarastro esce in carrozzina, in Macbetto a Salisburgo l'opera finisce con lui in cazzozzina e vivo, e qui abbiamo l'invadente, onnipresente (ma dove?) e possente INQUISITORE che poverino deve pure tirare il fiato con la macchinetta dell'ossigeno mentre lo portano a fare una passeggiatina ... in carrozzina.
5) ADESIONE AL LIBRETTO: più che rispettata, le pistole saranno fatte di FERRO, quindi il Marchese di Posa non sbaglia a dire "Dammi il ferro" ma in quale delle cinque edizioni che cita il maestro Brusa c'è la morte in scena di Elisabetta uccisa da Filippo II? Attendiamo deluciadazioni.
6) CONCLUDENDO
Pur avendo effettuato il fotoservizio MI RIFIUTO DI PUBBLICARE foto che INNEGGIANO SPUDORATAMENTE ALLA VIOLENZA. e quindi mi limito a rendere omaggio alla parte musicale dove direttore, orchestra e cantanti NON POSSONO cambiare nemmeno una nota della partitura mentre un regista si permette di stravolgere completamente testo del libretto e drammaturgia.

E come disse qualcuno BUONANOTTE AL SECCHIO e a quello che c'è dentro.

[mm ovvero Mario Mainino]


NOTE MUSICALI di Jacopo Brusa

Se mi chiedessero quale aggettivo associare al Don Carlo di Giuseppe Verdi risponderei: ambiguo.

Per estensione, il dizionario ne indica quali sinonimi: doppio, enigmatico, falso, infido, misterioso, subdolo. Ebbene, tutte queste accezioni si ritrovano sia nel testo drammaturgico, sia nel testo musicale del Don Carlo.

Verdi, per questo Dramma tratto da Schiller in cui, come scrive in una lettera del 1883 a Giulio Ricordi, "tutto è falso", utilizza vari espedienti compositivi per sottolinearne le ambiguità.

Ad esempio, ci colpisce, fin dalle prime battute cantate dai Frati, l'instabilità data dal corale che passa dalla tonalità minore a quella maggiore più volte in breve tempo (cosa che si ripeterà moltissimo all'interno dell'opera) e l'utilizzo dell'enarmonia, peculiare nella sua "doppiezza" data dal dare diverso nome ad uno stesso suono.

Nelle prime cinque battute cantate dell'opera (nella versione del 1884), quindi, abbiamo una sintesi di alcuni elementi che contribuiscono a mutuare l'ambiguità tonale del Don Carlo e che porterà Verdi ad esplorare modulazioni ardite e non usuali.

Le tinte scure dell'orchestrazione, incentrata molto spesso sugli strumenti dal registro grave, contribuiscono a sottolineare il clima subdolo e "malato" della corte di Filippo II, mentre la dilatazione della "forma" ne acuisce i repentini cambiamenti di stati d'animo inevitabili in un testo che mette al centro la figura di Don Carlos d'Asburgo, storicamente noto come "soggetto a brutali sbalzi d'umore" e discendente di Giovanna di Castiglia, detta "Giovanna la Pazza"!

Credo che la "sfida" più grande nell'affrontare questo titolo verdiano, di cui conosciamo almeno cinque versioni differenti, sia quella di dare un senso di "unità", nonostante l'ambiguità e la complessità del testo e, in questo, la versione del 1884 in quattro atti che eseguiremo ci aiuta, nell'indicarci quale Alfa e Omega, Carlo V "il sommo imperatore".



NOTE DI REGIA di Andrea Bernard

DON CARLO E IL PESO DELLA LIBERTÀ

Pensieri di regia

"Tu vuoi andare nel mondo, e ci vai a mani vuote, promettendo agli uomini una libertà che nella loro semplicità e innata sregolatezza non possono neanche comprendere, che incute loro paura e terrore, giacché per l'uomo e per la società umana nulla è mai stato più intollerabile della libertà!" F.Dostoevskij

Nel capitolo "Il Grande Inquisitore" de I fratelli Karamazov di Dostoevskij l'Inquisitore critica Gesù per aver dato all'umanità il dono della libertà, sostenendo che la maggior parte delle persone non è in grado di gestirla. Afferma piuttosto che l'umanità desidera la sicurezza e la guida autoritaria, giustificando così il controllo e la necessità di avere qualcuno su cui riversare la propria venerazione.
È in questa considerazione di Dostoevskij che ho trovato ispirazione per la messa in scena dell'opera di Verdi.

Anche il Grande Inquisitore nel Don Carlo si presenta come l'autorità che tutto sa e tutto controlla e ne è pienamente legittimato.
Verdi ci mostra la società dei pochi eletti e di come questa sia pienamente in crisi – lei stessa soggiogata dal potere totalitario di uno - costantemente sospesa tra i sentimenti più romantici e istintivi e il dovere razionale.

Lo stesso Filippo II è un re fantoccio, reso debole da colui a cui spetta l'ultima parola, il Grande Inquisitore.

Carlo è cresciuto in questo ambiente oppresso e corrotto. Lui più di tutti gli altri personaggi è schiacciato dall'incapacità di essere libero di pensare ed agire. Il suo cuore gli dice una cosa, la legge e il dovere un'altra. Carlo rappresenta il prodotto ideale del potere: quell'essere umano incompleto che non è in grado di diventare adulto. Costretto a rimanere un eterno bambino, ha bisogno di qualcuno che lo rassicuri ma che sappia anche punirlo se sbaglia.

Con il padre non riesce ad avere un dialogo e l'amata Elisabetta non può più fare parte della sua vita. L'unica salvezza sono le Fiandre ma non come vero credo politico – appartenente a Rodrigo, parte viva della resistenza – ma come via di fuga. Carlo non è libero di agire e di essere padrone di se stesso, in quanto parte della famiglia reale ha un ruolo da interpretare che gli sta molto stretto.

In quest'opera però Carlo non è l'unico personaggio a sentirsi fuori luogo.

Anche gli altri sono perennemente sotto controllo e succubi del ruolo che ricoprono. Nessuno – nemmeno il Re – può fuggire all'occhio dell'Inquisitore, potere invisibile che non lascia via di fuga.


 Proprio l'occhio dell'Inquisizione sarà il filo conduttore della mia interpretazione.

Ho voluto ambientare la vicenda in una società totalitaria d'ispirazione orwelliana, dove la libertà è severamente limitata e controllata e una violenta propaganda costituisce l'unico mezzo di espressione del potere.

Il Grande Inquisitore è il vero detentore di questo potere che sfrutta il mistero e l'autorità divina per sottomettere la società – un'ombra sempre presente che tutto ascolta, tutto sa e tutto vede.

Proprio la vista è il senso che più facilmente può essere messo alla prova e gli occhi rappresentano il punto debole da colpire per chi troppo ha visto o troppo ha mostrato. In scena si dipanano le storie di personaggi oppressi dalla dominanza del controllo, rivelando così la loro incapacità nel gestire i veri sentimenti che sono in netto contrasto con le aspettative imposte dalla situazione esterna.

La scena rappresenta quindi l'aula del tribunale dell'Inquisizione dove tutti sono sotto continuo giudizio e dove solo alcune fenditure lasciano intravedere il popolo, una "massa" giudicante prodotto dei giochi di potere.


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Note:

 

Le foto sono scattate con:
Panasonic LUMIX FZ300
12 Megapixel, Zoom 0X, 1600 ISO, LCD ad Angolazione Variabile e rigorosamente non hanno subito nessuna post elaborazione.

Le foto e le riprese sono state effettuate con macchina fotografica e cellulare a mano, senza mai passare davanti ad un solo spettatore.


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