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Teatro Rosetum - Milano
VIA PISANELLO n.1
MILANO (MM1 GAMBARA)
Sabato 25 maggio 2013 ore 20:00
Domenica 26 maggio 2013 ore 16:00
Organizzato da Teatro Rosetum
in collaborazione con VoceAllOpera
Giuseppe Verdi
Il trovatore
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Leonora
LORENA CAMPARI e
Manrico
GIOVANNI RIBICHESU (25)
Il Conte di Luna
VALENTINO SALVINI (25)
Azucena
ALESSANDRA NOTARNICOLA*
Ines EULALIA LAI*
Ruiz ALESSANDRO MUNDULA
Un vecchio zingaro GIOVANNI TODARO
Un messo MATTIA ROSSI
Ferrando CESARE LANA
Nella rappresentazione di domenica 26:
Leonora
MARIANNA PRIZZON e
Manrico
DIEGO CAVAZZIN (26)
Il Conte di Luna
EUN YONG PARK* (26)
Ensamble strumentale VoceAllOpera
Coro ROSETUM diretto da
DEBORA MORI
Direttore d’orchesta
GIANLUCA FASANO
Regia
GIANMARIA ALIVERTA
Scena CLAUDIA BRAMBILLA
Costumi ELENA ROSSI
Ingresso previo tesseramento da € 22 a € 18
* idonei alle audizioni tenutesi il 18-19 dicembre 2012
per maggior informazioni
Centro Rosetum tel.02 48707203-3494249181
e-mail vociallopera@libero.i t
facebook voce allopera o
www.voceallopera.com
Associazione di volontariato VoceAllOpera
Telefono: 349 4249181
La collaborazione tra VoceAllOpera e
teatro Rosetum continua
In anteprima i titoli della
Stagione 2013-14
Nabucco di G.Verdi
Il Barbiere di Siviglia di G.Rossini
Don Giovanni di W.A.Mozart
Cavalleria Rusticana di P. Mascagni
Pagliacci di R.Leoncavallo
Boheme di G.Puccini
L’elisir d’amore di G.Donizetti
*la programmazione potrebbe subire variazioni
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alle attività di CONCERTODAUTUNNO
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Anteprima allestimento scenico:
“Il pubblico potrà assistere a uno spettacolo che
andrà dritto nel cuore della tragedia Verdiana, vedendo trasportata
l’ambientazione dalla Spagna del XV secolo alla guerra dei Balcani
degli anni 90 del secolo scorso” dice Gianmaria Aliverta regista e
direttore artistico della stagione operistica “L’intento è quello di
creare uno spettacolo nuovo dove l’opera possa essere ben compresa da
tutti, soprattutto di avvicinare i giovani alla lirica. Puntiamo
tantissimo sulle nuove generazioni per questo motivo giovani sono i
cantanti selezionati per il debutto, gli strumentisti, scenografa e
costumista”
Seguono immagini della serata:
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IL DUELLO
Scena prima
Atrio nel palazzo dell'Aliaferia: porta da un lato che mette agli
appartamenti del Conte di Luna.
Ferrando e molti Familiari del Conte che giacciono presso la porta;
alcuni Uomini d'arme passeggiano in fondo.
[N. 1 Introduzione]
(ai familiari vicini ad assopirsi)
FERRANDO All'erta, all'erta! Il Conte
n'è d'uopo attender vigilando; ed egli
talor presso i veroni
della sua cara, intere
passa le notti.
FAMILIARI Gelosia le fiere
serpi gli avventa in petto!
FERRANDO Nel trovator, che dai giardini move
notturno il canto, d'un rivale a dritto
ei teme.
FAMILIARI Dalle gravi
palpebre il sonno a discacciar, la vera
storia ci narra di Garzia, germano
al nostro Conte.
FERRANDO La dirò: venite
intorno a me.
(i familiari eseguiscono)
ARMIGERI (accostandosi pur essi)
Noi pure...
FAMILIARI Udite, udite.
Racconto
(tutti accerchiano Ferrando)
FERRANDO Di due figli vivea padre beato
il buon Conte di Luna:
fida nutrice del secondo nato
dormia presso la cuna.
Sul romper dell'aurora un bel mattino
ella dischiude i rai;
e chi trova d'accanto a quel bambino?...
CORO Chi? favella. Chi? chi mai?
FERRANDO Abbietta zingara, fosca vegliarda!...
Cingeva i simboli di una maliarda!
E sul fanciullo, con viso arcigno,
l'occhio affiggeva torvo, sanguigno!
D'orror compresa è la nutrice...
Acuto un grido all'aura scioglie;
ed ecco, in meno che il labbro il dice,
i servi accorrono in quelle soglie;
e fra minacce, urli e percosse
la rea discacciano ch'entrarvi osò.
CORO Giusto quei petti sdegno commosse;
l'insana vecchia lo provocò.
FERRANDO (raccontando)
Asserì che tirar del fanciullino
l'oroscopo volea...
Bugiarda! Lenta febbre del meschino
la salute struggea!
Coverto di pallor, languido, affranto
ei tremava la sera.
Il dì traeva in lamentevol pianto...
ammaliato egli era!
(familiari ed armigeri inorridiscono)
FERRANDO La fattucchiera perseguitata
fu presa, e al rogo fu condannata;
ma rimaneva la maledetta
figlia, ministra di ria vendetta!
Compì quest'empia nefando eccesso...
Sparve il fanciullo e si rinvenne
mal spenta brace nel sito istesso
ov'arsa un giorno la strega venne,
e d'un bambino... ahimè!... l'ossame
bruciato a mezzo, fumante ancor!
CORO Oh scellerata! oh donna infame!
Del par m'investe odio ed orror!
ALCUNI E il padre?
FERRANDO Brevi e tristi giorni visse!
Pure ignoto del cor presentimento
gli diceva che spento
non era il figlio; ed a morir vicino
bramò che il signor nostro a lui giurasse
di non cessar le indagini... ah! fur vane!...
ARMIGERI E di colei non s'ebbe
contezza mai?
FERRANDO Nulla contezza... Oh! Dato
mi fosse rintracciarla
un dì!...
FAMILIARI Ma ravvisarla
potresti?
FERRANDO Calcolando
gli anni trascorsi... lo potrei.
ARMIGERI Sarebbe
tempo presso la madre
all'inferno spedirla.
FERRANDO All'inferno? È credenza che dimori
ancor nel mondo l'anima perduta
dell'empia strega, e quando il cielo è nero
in varie forme altrui si mostri.
CORO
(con terrore)
È vero! È ver!...
ARMIGERI Su l'orlo dei tetti alcun l'ha veduta!...
In upupa o strige talora si muta!
FAMILIARI In corvo tal'altra; più spesso in civetta,
sull'alba fuggente al par di saetta!
FERRANDO Morì di paura un servo del conte,
che avea della zingara percossa la fronte!
(tutti si pingono di superstizioso terrore)
FERRANDO Apparve a costui d'un gufo in sembianza,
nell'alta quïete di tacita stanza!
Con l'occhio lucente guardava... guardava!
Il cielo attristando d'un urlo feral!
Allor mezzanotte appunto suonava...
(una campana suona improvvisamente a distesa mezzanotte)
TUTTI Ah! sia maledetta la strega infernal!
Odonsi alcuni tocchi di tamburo. I Familiari vanno verso la porta, Gli
Uomini d'arme accorrono in fondo
Scena seconda
Giardini del palazzo: sulla destra marmorea scalinata che mette agli
appartamenti; la notte è inoltrata, dense nubi coprono la luna.
Leonora ed Ines.
[N. 2 Cavatina]
INES Che più t'arresti?... l'ora è tarda; vieni:
di te la regal donna
chiese, l'udisti.
LEONORA Un'altra notte ancora
senza vederlo...
INES Perigliosa fiamma
tu nutri! Oh! come, dove
la primiera favilla
in te s'apprese?
LEONORA Ne' tornei! V'apparve
bruno le vesti ed il cimier, lo scudo
bruno e di stemma ignudo
sconosciuto guerrier, che dell'agone
gli onori ottenne: al vincitor sul crine
il serto io posi!
Civil guerra intanto
arse: no 'l vidi più, come d'aurato
sogno fuggente imago, ed era volta
lunga stagion... ma poi...
INES Che avvenne?
LEONORA Ascolta.
LEONORA
Tacea la notte placida
e bella in ciel sereno
la luna il viso argenteo
mostrava lieto e pieno;
quando suonar per l'aere,
infino allor sì muto...
dolci s'udiro e flebili
gli accordi d'un lïuto,
e versi melanconici
un trovator cantò.
Versi di prece, ed umile
qual d'uom che prega iddio;
in quella ripeteasi
un nome... il nome mio...
Corsi al veron sollecita...
egli era, egli era desso!...
Gioia provai che agli angeli
solo è provar concesso!
Al core, al guardo estatico
la terra un ciel sembrò.
INES Quanto narrasti di turbamento
m'ha piena l'alma!... Io temo!
LEONORA Invano!
INES Dubbio, ma tristo presentimento
in me risveglia quest'uomo arcano!
Tenta obliarlo...
LEONORA Che dici? oh basti!
INES Cedi al consiglio dell'amistà...
Cedi...
LEONORA Obliarlo! Ah! tu parlasti
detto, che intendere l'alma non sa.
LEONORA Di tale amor che dirsi
mal può dalla parola,
d'amor che intendo io sola,
il cor s'inebriò!
Il mio destino compiersi
non può che a lui dappresso...
S'io non vivrò per esso,
per esso io morirò!
INES (Non debba mai pentirsi
chi tanto un giomo amò!)
(ascendono agli appartamenti)
Scena terza
Conte.
[N. 3 Scena, romanza e terzetto]
CONTE Tace la notte! immersa
nel sonno, è certo, la regal signora,
ma veglia la sua dama! Oh Leonora!
Tu desta sei; me 'l dice
da quel verone tremolante un raggio
della notturna lampa...
Ah! l'amorosa fiamma
m'arde ogni fibra! Ch'io ti vegga è d'uopo...
che tu m'intenda... Vengo... A noi supremo
è tal momento...
(cieco d'amore avviasi verso la gradinata: odonsi gli accordi d'un
liuto: egli si
arresta)
Il trovator! Io fremo!
MANRICO
(fra le piante)
Deserto sulla terra,
col rio destino in guerra
è sola speme un cor
al trovator!
Ma s'ei quel cor possiede,
bello di casta fede,
è d'ogni re maggior
il trovator!
CONTE Oh detti!... Oh gelosia!...
Non m'inganno... Ella scende!
(si avvolge nel suo mantello)
Scena quarta
Leonora e il Conte.
LEONORA (correndo verso il Conte)
Anima mia!
CONTE (Che far?)
LEONORA Più dell'usato
è tarda l'ora!... io ne contai gl'istanti
co' palpiti del core!... Alfin ti guida
pietoso amor tra queste braccia...
MANRICO
(voce fra le piante)
Infida!...
(nel tempo stesso la luna mostrasi dai nugoli, e lascia
scorgere una
persona di cui la visiera nasconde il volto)
Scena quinta
Manrico e detti.
LEONORA
Qual voce!... Ah, dalle tenebre
tratta in errore io fui!
(riconosce entrambi e gettasi ai piè di Manrico; agitatissima)
A te credei rivolgere
l'accento e non a lui...
A te, che l'alma mia
sol chiede, sol desia...
Io t'amo, il giuro, io t'amo
d'immenso, eterno amor!
CONTE Ed osi?
MANRICO (sollevando Leonora)
(Ah, più non bramo!)
CONTE Avvampo di furor!
Se un vil non sei discovriti.
LEONORA (Ohimè!)
CONTE Palesa il nome...
LEONORA
(sommessamente a
Manrico)
Deh, per pietà!...
MANRICO (sollevando la visiera dell'elmo)
Ravvisami:
Manrico io son.
CONTE Tu!... Come!
Insano temerario!
D'Urgel seguace, a morte
proscritto, ardisci volgerti
a queste regie porte?
MANRICO Che tardi? Or via, le guardie
appella, ed il rivale
al ferro del carnefice
consegna.
CONTE Il tuo fatale istante
assai più prossimo
è, dissennato! Vieni!
LEONORA Conte!
CONTE Al mio sdegno vittima
è d'uopo ch'io ti sveni!
LEONORA Oh ciel! t'arresta...
CONTE Seguimi...
MANRICO Andiam...
LEONORA (Che mai farò?
Un sol mio grido perdere
lo puote.) M'odi...
CONTE No!
CONTE
Di geloso amor sprezzato
arde in me tremendo il foco!
Il tuo sangue, o sciagurato,
ad estinguerlo fia poco!
(a Leonora)
Dirgli, o folle!... «io t'amo» ardisti!...
Ei più vivere non può.
Un accento proferisti
che a morir lo condannò!
Insieme
LEONORA Un istante almen dia loco
il tuo sdegno alla ragione,
io, sol io, di tanto foco
son, pur troppo, la cagione...
Piombi, ah! piombi il tuo furore
sulla rea che t'oltraggiò...
Vibra il ferro in questo core,
che te amar non vuol, né può.
MANRICO Del superbo vana è l'ira;
ei cadrà da me trafitto.
Il mortal che amor t'ispira,
dall'amor fu reso invitto.
(al Conte)
La tua sorte è già compita!
L'ora omai per te suonò!
Il suo core e la tua vita
il destino a me serbò!
I due rivali si allontanano con le spade sguainate;
Leonora cade,
priva di
sentimento.
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Note:
Il trovatore, un Verdi allo stato puro
di Simone Milesi
«Io vorrei due donne, la principale è la Gitana, carattere singolare e
di cui farei il titolo dell’opera. L’altra ne farei una comprimaria».
Giuseppe Verdi aveva individuato il soggetto de Il trovatore nell’opera
El trovador di Antonio García Gutiérrez e lo aveva proposto a Salvatore
Cammarano, il quale aveva saputo creare un libretto essenziale e
stringato concentrando l’interesse sugli aspetti che stavano più a cuore
al compositore: eliminando lo sfondo storico del dramma, aveva dato
risalto alle contrapposizioni fra personaggi veementi e alle passioni
più accese. Tutto ciò servì a dar vita ad un perfetto melodramma
romantico, quale può essere definito Il trovatore.
La popolarità dell’opera, con la quale si ha una sorta di ritorno al
formalismo melodrammatico italiano ben evidente nella contrapposizione
di caratteri più schematici e inamovibili rispetto alla complessità
psicologica dei personaggi di Rigoletto e La traviata, fu subito
grandissima tanto che già alla prima rappresentazione, che ebbe luogo al
Teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853, il finale del quarto atto
suscitò un entusiasmo tale che dovette essere ripetuto per intero.
Verdi e Cammarano (quest’ultimo morto a lavoro quasi ultimato il 17
luglio del 1852: per terminare il libretto fu necessario ricorrere
all’intervento di Leone Emanuele Bardare) crearono un’opera dai grandi
tratti espansivi richiamandosi così alle opere serie di Rossini, dalle
quali tuttavia di discosta per l’utilizzo di recitativi ridotti al
minimo.
Le parole di Giuseppe Verdi riportate in apertura rivelano quanto il
maestro avesse ben chiaro il progetto sulla delineazione dei personaggi
e dei loro caratteri (anche se poi riservò al personaggio di Leonora un
trattamento tutt’altro che da comprimaria, scrivendo pagine fra le più
ispirate della sua carriera di operista) e soprattutto quanto fosse
attratto dal personaggio di Azucena, che possiamo definire il
personaggio chiave dell’intricata vicenda.
Come ci ricorda Massimo Mila, nelle opere della trilogia popolare
l’ispirazione verdiana è scaturita da una vicenda morale in cui l’eroe,
snaturato dalle sue passioni, riacquista la sua umanità attraverso
l’amore e il dolore. In questo caso è proprio Azucena, mossa dalla
volontà di vendetta, che si scioglie al contatto del dolore,
dell’affetto materno. In seguito alla fortuna delle opere di Wagner si
accesero non poche polemiche intorno a quest’opera, qualcuno la faceva
oggetto di disprezzo e qualcun altro la idolatrava.
Quello che appare oggi, tanto agli studiosi quanto agli appassionati, è
un’opera magistralmente costruita su una struttura fatta di forze in
opposizione fra loro e mantenute, altrettanto magistralmente, in
equilibrio perfettamente dinamico: Il trovatore è, per dirla ancora una
volta con Massimo Mila, un Verdi non corrotto dall’influenza
intellettualistica di Arrigo Boito, un Verdi allo stato puro.
Trovatore
regia di Gianmaria Aliverta
note di regia a cura di Vittorio Dante Ceragioli
Proporre una visione nuova di Trovatore, senza tradire lo spirito
dell’opera è stata un’impresa più che ardua. Nessuna opera di
repertorio, infatti, è legata, come lo è Trovatore, ad un cliché di
rappresentazioni classiche, con fondali dipinti e soldati in
calzamaglia.
La lettura che abbiamo dato all’opera parte dal presupposto di avere
sullo fondo una guerra etnica e razziale, una guerra fra occidentali e
zingari, fra cristiani e ortodossi, senza vincitori né vinti, senza
buoni né cattivi e dove a farla da padrone sono solo l’odio e il
pregiudizio.
Il conflitto nell’ex-Jugoslavia, dopo la caduta di Tito, fa da sfondo al
nostro Trovatore, un’opera senza un vero e proprio evolversi drammatico
ma impregnata di racconti, che i vari protagonisti fanno nel corso delle
varie “parti” (e non atti, come di solito sono suddivise le opere
teatrali).
Il Conte di Luna diventa il primo ministro croato dopo la morte di Tito
e Ferrando capo del suo esercito. Leonora, invece, spinta da un forte
misticismo, mantiene la levatura di una nobile, probabilmente la figlia
di un personaggio importante all’interno del governo croato, ma non
impegnato politicamente.
Manrico guida invece la fazione dei serbi che vivono in Croazia e si
ribellano all’odio razziale e religioso incitato dal Conte di Luna. Il
conflitto fra le parti coinvolge tutti gli aspetti dei due popoli,
compreso l’aspetto religioso (i Croati sono cattolici mentre i Serbi
sono cristiani ortodossi)
Manrico inoltre è sstato allevato come figlio della zingara Azucena, anche se alla fine dell’opera scopriremo che altri non è che il
fratello del Conte, scambiato nela sua follia da Azucena stessa.
Azucena, la zingara, diventa una donna tormentata dal passato a tal
punto da rasentare la follia; i conflitti interni e i turbamenti che ha
subìto fin da ragazza l’hanno segnata per sempre: ha visto sua madre
ardere sul rogo, ha gettato il suo stesso figlio neonato nel rogo nel quale
voleva uccidere il figlio del suo nemico, che ha poi cresciuto come se
fosse il suo vero figlio. Tutti gli zingari della sua comunità la guardano come una
squilibrata, con un misto di paura e di compassione.
Il passato la fa
quindi diventare una madre morbosamente legata a Manrico.
La vicenda amorosa di Leonora e Manrico si consuma così su questo
scenario, dove in fondo sarebbe bastato ai due contendenti (il Conte e
Manrico), mossi solo dai loro pregiudizi culturali, religiosi e
razziali, alzare la testa, guardare l’altro negli occhi per
riconoscersi fratelli.
Il Trovatore
Di G.Verdi su libretto di Salvatore Cammarano
Parte I - Il duello
La scena si apre nel palazzo dell'Aliaferia di Saragozza dove Ferrando,
capitano delle guardie, racconta agli armigeri la vicenda del figlio
minore dell'allora Conte, fratello dell'attuale Conte di Luna, rapito
anni prima dalla figlia di una zingara per vendicare la madre
giustiziata dal Conte con l'accusa di maleficio; la zingara (Abbietta
zingara) aveva poi bruciato il bambino e per questo omicidio i soldati
ora chiedono la sua morte. Nel frattempo Leonora, giovane nobile amata
dal Conte di Luna, confida a Ines, sua ancella, di essere innamorata di
Manrico (Tacea la notte placida), il Trovatore appunto. Il conte,
intento a vegliare sul castello, ode la voce di Manrico che intona un
canto (Deserto sulla terra). Leonora esce, e confusa dall'oscurità,
scambia il conte per Manrico e l'abbraccia. Ciò scatena l'ira del conte,
che sfida a duello il rivale.
Parte II - La gitana
Ai piedi di un monte, in un accampamento di zingari (coro degli zingari:
Vedi le fosche notturne spoglie), Azucena, madre di Manrico, racconta
che molti anni prima vide morire sul rogo la madre accusata di
stregoneria dal vecchio Conte di Luna (Stride la vampa). Per vendicarsi,
rapì il figlio del Conte ancora in fasce e, accecata dalla disperazione,
decise di gettarlo nel fuoco; per una tragica fatalità, tuttavia,
confuse il proprio figlio col bambino che aveva rapito. Manrico capisce
così di non essere il vero figlio di Azucena e le chiede di conoscere la
propria identità, ma per Azucena l'unica cosa importante è che lei
l'abbia sempre amato come un figlio, protetto e curato proprio come
quando tornò all'accampamento ferito dopo il duello col Conte. Manrico
confida alla madre di esser stato sul punto di uccidere il Conte,
durante quel duello, ma di esser stato frenato da una voce proveniente
dal cielo (Mal reggendo all'aspro assalto).
Nella scena successiva il Conte tenta di rapire Leonora che sta per
ritirarsi al convento, ma Manrico sventa il rapimento e porta in salvo
l'amata.
Parte III - Il figlio della zingara
Azucena è catturata da Ferrando e condotta dal Conte di Luna. Costretta
dalla tortura e dalle minacce, confessa di essere la madre di Manrico.
Il Conte di Luna esulta doppiamente per la cattura. Uccidendo la zingara
otterrà doppia vendetta: per il fratello ucciso e su Manrico che gli ha
rubato l'amore di Leonora.
Manrico e Leonora intanto stanno per sposarsi in segreto e si giurano
eterno amore. Ruiz sopraggiunge ad annunciare che Azucena è stata
catturata e di lì a poco sarà arsa viva come strega. Manrico si
precipita in soccorso della madre cantando la celebre cabaletta Di
quella pira.
Parte IV - Il supplizio
Il tentativo di liberare Azucena fallisce e Manrico viene imprigionato
nel palazzo dell'Aliaferia: madre e figlio saranno giustiziati all'alba.
Nell'oscurità, Ruiz conduce Leonora alla torre dove Manrico è
prigioniero (Timor di me?... D'amor sull'ali rosee). Leonora implora il
Conte di lasciare libero Manrico: in cambio è disposta a diventare sua
sposa (Mira, d'acerbe lagrime). In realtà non ha alcuna intenzione di
farlo: ha già deciso che si avvelenerà prima di concedersi. Il Conte
accetta e Leonora chiede di poter dare lei stessa a Manrico la notizia
della liberazione. Ma prima di entrare nella torre, beve, di nascosto,
il veleno da un anello. Intanto, Manrico e Azucena sono in attesa della
loro esecuzione. Manrico cerca di calmare la madre, terrorizzata (Ai
nostri monti ritorneremo). Alla fine, la donna si addormenta sfinita.
Giunge Leonora ad annunciare la libertà a Manrico e ad implorarlo di
scappare. Ma quando egli scopre che lei, la donna che ama, non lo
seguirà, si rifiuta di fuggire. È convinto che per ottenere la sua
libertà Leonora l'abbia tradito, ma lei, nell'agonia della morte, gli
confessa di essersi avvelenata per restargli fedele (Prima che d'altri
vivere). Il Conte, entrato a sua volta nella prigione, ascolta di
nascosto la conversazione e capisce d'esser stato ingannato da Leonora,
che muore fra le braccia di Manrico. Il Conte ordina di giustiziare il
trovatore. Quando Azucena rinviene, egli le indica Manrico morente, ma
pur nella disperazione la donna trova la forza di rivelare al Conte la
tragica verità: «Egli era tuo fratello» e mentre viene tratta a morte
può finalmente gridare: «Sei vendicata, o madre!».
Claudia Brambilla, scenografa
Nasce a Monza, classe '86, dopo gli studi artistici si diploma nel 2010
all'Accademia di belle arti di Brera. Collabora da diverso tempo con
StudioCromo, azienda che realizza scenografie per diversi settori. Nel
2011 è assistente scenografa per Rigoletto al Regio di Torino e firma le
scenografie di diversi shooting fotografici per alcune testate fra cui
Vogue. Attualmente, è scenografa progettista e realizzatrice per la
trilogia verdiana al teatro Rosetum di Milano. Parallelamente, svolge
attività come insegnante di arte e immagine in una scuola primaria
milanese.
Elena Rossi, costumista
Nata a Milano nel 1987, si diploma in scenografia all'Accademia di Brera
e successivamente in sartoria teatrale all'Accademia del Teatro alla
Scala. Matura diverse esperienze in campo teatrale e cinematografico,
sia nella progettazione che nella realizzazione di scenografie e
costumi. Collabora da anni con la compagnia di teatro per ragazzi 'La
casa delle Storie'. Nel 2011 è assistente costumista per Rigoletto al
Regio di Torino e nel 2012 svolge un tirocinio di sartoria, elaborazione
e dresser presso il teatro Real di Madrid. Attualmente, è costumista
progettista e realizzatrice per la trilogia verdiana al teatro Rosetum
di Milano.
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