Il Trovatore ( 1 - 2)

 

CIRCOLO MUSICALE
MAYR-DONIZETTI
Bergamo
con il patrocinio di Assessorato alla Cultura,
Spettacolo, Identità e Tradizioni
Venerdì 19 aprile 2013_04_19 ore 21:00
TEATRO SAN GIOVANNI BOSCO
BERGAMO – VIA SAN SISTO, 9 (QUARTIERE DI COLOGNOLA)


Giuseppe Verdi
IL TROVATORE
Dramma in quattro parti.
Personaggi ed interpreti
Il Conte di Luna DANIELE GIROMETTI
Leonora BARBARA COSTA
Azucena CLAUDIA MARCHI
Manrico DIEGO CAVAZZIN
Ferrando LUCA GALLO
Ines SELENA COLOMBERA
Ruiz FRANCESCO CORTINOVIS
Un vecchio zingaro ANGELO LODETTI
Un messo EMILIO ALDI

Coro lirico di Bergamo
maestro del coro FABIO TARTARI
Pavlova International Ballet Company
coreografie SVETLANA PAVLOVA
Orchestra Johann Simon Mayr
maestro collaboratore GIANFRANCO IUZZOLINO


direttore DAMIANO MARIA CARISSONI


scene e regia VALERIO LOPANE
costumi Casa d’Arte Settima Diminuita
macchinisti FRANCESCO ZINI, ROMUALDO SARGA e GIUSEPPE VITALI
luci GIAMPIETRO NOZZA
elettricista MARCO CARMINATI
assistente di palcoscenico EMANUELE AGLIATI
sartoria ERMINIA CASTELLETTI,
LUIGINA DAMINELLI e ANTONIETTA NAVA
trucco LAURA FORINI
acconciatura PIERA RAO
Associazione Istituto scolastico Sistema
fiori Berbenni Marcello - Fiorista


Contributo ingresso 15 € – Per info e prenotazioni: www.mayrdonizetti.altervista.org
tutti i giorni, dalle ore 13 alle ore 16, tel. 035 315854 – mayr.donizetti@gmail.com

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Programma:


Seguono immagini della serata:

Atto primo e secondo -- Atto terzo e quarto

 

Il Trovatore
Dramma in quattro parti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Salvatore Cammarano

Tratto dalla tragedia El Trovador di Antonio García Gutiérrez
Prima: Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853

Atto I - IL   DUELLO

FERRANDO All'erta, all'erta! Il Conte
n'è d'uopo attender vigilando; ed egli
talor presso i veroni
della sua cara, intere
passa le notti.


LEONORA Ne' tornei! V'apparve
bruno le vesti ed il cimier, lo scudo
bruno e di stemma ignudo
sconosciuto guerrier, che dell'agone
gli onori ottenne: al vincitor sul crine
il serto io posi! Civil guerra intanto
arse: no 'l vidi più, come d'aurato
sogno fuggente imago, ed era volta
lunga stagion... ma poi...

LEONORA
Tacea la notte placida
e bella in ciel sereno
la luna il viso argenteo
mostrava lieto e pieno;
quando suonar per l'aere,
infino allor sì muto...
dolci s'udiro e flebili
gli accordi d'un lïuto,
e versi melanconici
un trovator cantò.


CONTE Tace la notte! immersa
nel sonno, è certo, la regal signora,
ma veglia la sua dama! Oh Leonora!
Tu desta sei; me 'l dice
da quel verone tremolante un raggio
della notturna lampa...
Ah! l'amorosa fiamma
m'arde ogni fibra! Ch'io ti vegga è d'uopo...
che tu m'intenda... Vengo... A noi supremo
è tal momento...

LEONORA Più dell'usato
è tarda l'ora!... io ne contai gl'istanti
co' palpiti del core!... Alfin ti guida
pietoso amor tra queste braccia...

LEONORA
Qual voce!... Ah, dalle tenebre
tratta in errore io fui!
(riconosce entrambi e gettasi ai piè di Manrico; agitatissima)
A te credei rivolgere
l'accento e non a lui...

CONTE Tu!... Come!
Insano temerario!
D'Urgel seguace, a morte
proscritto, ardisci volgerti!

MANRICO Del superbo vana è l'ira;
ei cadrà da me trafitto.
Il mortal che amor t'ispira,
dall'amor fu reso invitto.
(al Conte)
La tua sorte è già compita!
L'ora omai per te suonò!
Il suo core e la tua vita
il destino a me serbò!


Atto II LA GITANA

ZINGARI
Vedi! Le fosche notturne spoglie
de' cieli sveste l'immensa volta;
sembra una vedova che alfin si toglie
i bruni panni ond'era involta!
All'opra! All'opra! Dagli... martella...
ZINGARI Chi del gitano i giorni abbella?
La zingarella!


AZUCENA
Stride la vampa! ~ la folla indomita
corre a quel fuoco ~ lieta in sembianza!
Urli di gioia ~ intorno echeggiano;
cinta di sgherri ~ donna s'avanza!
Sinistra splende ~ sui volti orribili
la tetra fiamma ~ che s'alza al ciel!

VECCHIO ZINGARO
Compagni, avanza il giorno:
a procacciarci un pan, su, su, scendiam
per le propinque ville.


MANRICO (sorgendo)
Soli or siamo; deh, narra
questa storia funesta.

AZUCENA Condotta ell'era in ceppi al suo destin tremendo,
col figlio sulle braccia, io la seguia piangendo:
infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi,
invan tentò la misera fermarsi e benedirmi,
ché, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri,
al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri!
Allor con tronco accento «Mi vendica!» sclamò.
Quel detto un'eco eterno in questo cor lasciò.

AZUCENA Il figlio mio,
mio figlio avea bruciato!


MANRICO Mal reggendo all'aspro assalto,
ei già tocco il suolo avea:
balenava il colpo in alto
che trafiggerlo dovea...

Quando arresta un moto arcano,
nel discender, questa mano,
le mie fibre acuto gelo
fa repente abbrividir!

AZUCENA Sino all'elsa questa lama
vibra, immergi all'empio in cor.
MANRICO Sì, lo giuro, questa lama
scenderà dell'empio in cor.

MESSO (porgendo il foglio che Manrico legge)
Risponda il foglio che reco a te.

AZUCENA
(autorevole)
Ferma... Son io che parlo a te!

AZUCENA Perigliarti ancor languente
per cammin selvaggio ed ermo!
Le ferite vuoi, demente,
rïaprir del petto infermo?
No, soffrirlo non poss'io...
il tuo sangue è sangue mio!...
Ogni stilla che ne versi
tu la spremi dal mio cor!
MANRICO Un momento può involarmi
il mio ben, la mia speranza!...
No, che basti ad arrestarmi
terra e ciel non han possanza...
Ah!... mi sgombra, o madre, i passi...
Guai per te s'io qui restassi!...
Tu vedresti ai piedi tuoi
spento il figlio dal dolor!


Atrio interno di un luogo di ritiro in vicinanza di Castellor.

CONTE
Il balen del suo sorriso
d'una stella vince il raggio!...
il fulgor del suo bel viso
novo infonde in me coraggio!...
Ah! l'amor, l'amore ond'ardo
le favelli in mio favor!...
Sperda il sole d'un suo sguardo
la tempesta del mio cor.

Per me, ora fatale,
i tuoi momenti affretta...
La gioia che m'aspetta
gioia mortal non è!...
Invano un dio rivale
opponi all'amor mio,
non può nemmeno un dio,
donna, rapirti a me!


CORO DI RELIGIOSE
Ah! se l'error t'ingombra,
o figlia d'Eva, i rai,
presso a morir, vedrai
che un'ombra, un sogno fu,
anzi del sogno un'ombra
la speme di quaggiù!

LEONORA O dolci amiche,
un riso, una speranza, un fior, la terra
non ha per me! Degg'io
volgermi a quei, che degli afflitti è solo
sostegno, e dopo i penitenti giorni
può fra gli eletti al mio perduto bene
ricongiungermi un dì!

CONTE Per te non avvi
che l'ara d'imeneo.
DONNE Cotanto ardia!...
LEONORA Insano!... E qui venisti?...
CONTE A farti mia.

MANRICO Né m'ebbe il ciel, né l'orrido
varco infernal sentiero.
Infami sgherri vibrano
mortali colpi, è vero!...
Potenza irresistibile
hanno de' fiumi l'onde!
Ma gli empi un dio confonde!
Quel dio soccorse a me.

Sei tu dal ciel disceso,
o in ciel son io con te?

 
Atto primo e secondo -- Atto terzo e quarto

Seguono note a cura della organizzazione dell'evento:

In una lettera del 2 gennaio 1851, Verdi suggerì per la prima volta il dramma El trovador di Antonio García Gutiérrez, come possibile soggetto per la sua nuova opera: “A me sembra bellissimo, immaginoso e con situazioni potenti”. Una volta deciso il soggetto, il compositore iniziò la ricerca del teatro in cui allestire l’opera e, dopo varie trattative, decise di rappresentare Il trovatore a Roma. La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro Apollo il 19 gennaio 1853: fu un enorme successo e l’entusiasmo per la nuova opera crebbe di replica in replica: alla fine della terza recita, l’ultima alla quale Verdi era tenuto per contratto ad assistere, il pubblico gli rese omaggio con due corone d’alloro. Il resoconto di Verdi nelle lettere all’amica Clarina Maffei è eloquente: “Dicono che quest’opera sia troppo triste e che vi siano troppe morti. Ma infine nella vita tutto è morte! Cosa esiste?…”. Nonostante il pessimismo di Verdi, Il trovatore circolò rapidamente in altri teatri. In effetti nessun’altra sua opera tranne Ernani godette di un successo così vasto e immediato. Parte I. Ferrando, anziano armigero del Conte di Luna, racconta ai Familiari la strana vicenda accaduta al vecchio Conte, padre di due figli, vent’anni prima: una mattina, vicino alla culla del secondogenito, la nutrice coglie una zingara fare un sortilegio all’infante. Alle grida la zingara fugge, ma il bambino cade in preda a una febbre che lo consuma. La zingara viene condannata al rogo ma sua figlia compie una terribile vendetta: rapisce il fanciullo ammalato e, dopo pochi giorni, vengono ritrovate le ossa semicarbonizzate di un bambino nel luogo del rogo della strega. Il vecchio Conte di Luna non crede alla morte del figlio e incarica il suo primogenito di cercare il fratello. Intanto, nei giardini del palazzo dell’Aliaferia, Leonora racconta a Ines, l’ancella, di aver incontrato un misterioso cavaliere in un torneo, di averne perso le tracce e di essersene innamorata dopo averlo sentito cantare sotto il suo balcone nelle vesti di trovatore. Sopraggiunge il Conte di Luna che, innamorato di Leonora, sta per dirigersi verso di lei quando ode il canto del rivale: Leonora accorre, il Conte li scopre e riconosce, nel trovatore Manrico, un seguace di Urgel, pretendente al trono d’Aragona. I due si sfidano a duello. Parte II. All’alba, in un luogo deserto sui monti di Biscaglia, la zingara Azucena, contornata da altri zingari, canta una canzone ispirata alla tragica morte della madre sul rogo. Rimasta sola con il figlio Manrico, ancora sofferente per le ferite riportate in uno scontro con gli uomini del Conte di Luna, Azucena ricorda la scena del rogo alla quale ha assistito con il figlio tra le braccia, e rievoca il grido della madre che chiede vendetta. Di tale vendetta riemergono, nel racconto della delirante Azucena, le immagini: il rapimento del figlio del Conte, il convulso sospingere il bambino nel fuoco e poi, l’atroce consapevolezza di aver gettato nel fuoco il proprio figlio anziché quello del Conte. Manrico chiede allora stupefatto se lui non è il figlio di Azucena e si interroga sulla propria identità; la zingara lo rassicura: è il dolore di quel ricordo a farla favellare senza senso. Sopraggiunge un messo che dice che Leonora, accolta la falsa notizia della morte di Manrico, sta per entrare in convento. Manrico parte per raggiungere la sua amata ma anche il Conte si prepara a rapire Leonora mentre si avvia verso il convento. Manrico ha la meglio sul Conte e si allontana con Leonora. Parte III. Nell’accampamento del Conte di Luna i guerrieri si apprestano all’attacco di Castellor, dove si sono rifugiati Manrico e Leonora. Improvvisamente un gruppo di soldati trascina Azucena imprigionata: Ferrando riconosce in lei la zingara assassina. Azucena si lascia sfuggire di essere la madre di Manrico: il Conte esulta e la condanna al rogo. Intanto, a Castellor, Manrico e Leonora stanno per sposarsi quando giunge la notizia della cattura di Azucena e della sua condanna al rogo. Manrico svela a Leonora di essere il figlio della zingara e, con i suoi uomini, si lancia in battaglia per liberare Azucena. Parte IV. Manrico è sconfitto e imprigionato, con Azucena, in una torre del palazzo dell’Aliaferia. Leonora, disperata, sente le sue dolenti parole, mentre si odono gli accenti di un Miserere: all’alba Azucena sarà gettata al rogo e Manrico decapitato. Leonora si getta ai piedi del Conte dicendosi disposta a sposarlo in cambio della libertà per Manrico, mentre segretamente beve un veleno. Giunge al carcere comunicando a Manrico che è libero ma questi, compreso a quale prezzo, maledice la donna. Giunge il Conte che, compreso l’inganno di Leonora, consegna Manrico ai suoi carnefici, mostrando poi ad Azucena il corpo senza vita di Manrico. A tale vista Azucena rivela al Conte che Manrico era suo fratello: la vendetta è compiuta.

 
 


 
 

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