Associazione Italo Slava "Il volo della gru"
 

 

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  LA VOCE DELLA GRU

 A cura dell’associazione italo-slava di volontariato
IL VOLO DELLA GRU

Redazione: via Berruti 2, 27029 Vigevano (PV)

Telefono: 3284699535; 3403579427

E-mail: lavocedellagru@libero.it


 

Novembre  2005 Vigevano, Italia

 

«Chi ha le ali, non chiede se può volare» (E. I. Rerich)

BENVENUTI!  DOBRO POZHALOVAT*!  GOSTINNO PROSIMO**!

 

RIDERE  FA BENE ALLA SALUTE!

 

 “…Amo i sorrisi, questo è un dato di fatto. Come moltiplicarli, allora? Esiste una gran varietà di sorrisi: alcuni sono sarcastici, altri sono artificiali, di circostanza. Questi sorrisi non sono fonte di soddisfazione, ma piuttosto di timore o sospetto, mentre quelli genuini infondono speranza, freschezza. Se vogliamo davvero un sorriso genuino, dobbiamo prima creare i presupposti perché possa sbocciare”

 Tenzin Gyatso – 16esimo Dalai Lama


Questo numero de “La voce della gru“ inizia (e finisce, come potrete leggere) con una frase del Dalai Lama. Sono frasi semplici ed estremamente positive... proprio quello che troppo spesso manca alle nostre vite: semplicità e positività.

 Gli italiani spesso rimangono colpiti negativamente da un atteggiamento che sembra misteriosamente comune nel popolo slavo: il pessimismo, la sfiducia nelle proprie possibilità e nella realizzazione di una società in grado di rispondere concretamente alle esigenze dei più deboli. Certo, generalizzare può risultare banalizzante, eppure questa è la sensazione di fondo.

 Tanti, tantissimi italiani sono partiti alla volta di un paese straniero per trovare condizioni di vita più dignitose. Furono circa 30 milioni… ma in loro c’era la voglia di riscatto, la voglia di un futuro migliore, seppur tra mille difficoltà. Quegli italiani contribuirono a costruire grandi paesi e di fatto aiutarono considerevolmente la loro stessa patria con le rimesse economiche che spedivano ai parenti rimasti a casa. Oggi, i pronipoti di quegli italiani sono spesso politici, proprietari di imprese, manager, insegnanti universitari, grandi artisti…

 Gli italiani, come del resto altre nazioni, hanno saputo “spiccare il volo” grazie al loro lavoro e alla loro voglia di riscattarsi economicamente, ma anche (soprattutto?) culturalmente e socialmente. Perché gli slavi non dovrebbero essere in grado di fare altrettanto..?

 In questo numero de “La voce della gru” troverete articoli che parlano di filosofia, racconti, frammenti di vita vissuta di immigrati in Italia, riflessioni ed altro ancora. Ricordiamo che la nostra casella e_mail è lavocedellagru@libero.it mentre chi volesse inoltrare lettere “cartacee” può farlo scrivendo all’indirizzo della nuova sede de Il volo della gru: viale Sforza 5; 27029 Vigevano (PV).

 A voi tutti, buona lettura ed appuntamento al prossimo numero.

 La redazione

 


                                     Riflessioni

 

 Nel numero di ottobre de “La voce della gru” abbiamo proposto un estratto dal libro “Piccole ballate – Pensieri in forma poetica di donne ucraine”; in questo numero, vi presentiamo un’opera di una scrittrice ucraina che attualmente abita e lavora a Vigevano: si chiama Natalja A., è laureata in filologia all’università di Cernivzi (Ucraina) e per 15 anni ha lavorato come insegnante di lingua e letteratura ucraina. Scrive i suoi pensieri in lingua russa.

 

Senza via d’uscita

 

Italia cara!

Sei sempre vissuta nel mio cuore.

Sei - eri - un mito.  Sei - eri -  un sogno.

Adesso sto qui… Tra le palme* del sogno…

Ma nell’anima ora mi sento un piombo.

Mi trovo in un’impasse. Per gli altri… non sono gradita… 

Mi piange il cuore, per la terra lasciata.

Declino totale. Non vivo: sopravvivo.

Dolore. Speranze. Sacrificio triste.

Non sento chi mi dice: “Mamma!” Non vedo i miei figli.

Non sono gradita… Sono “straniera”!.. Dovrò stare sola!

O, Dio, aiuto! Dammi la forza

di sopportare il dolore e la sofferenza!

Sei bella Italia. Ma sai, sei spietata.

E io, lavoratrice senza nessun diritto,

Mi sento come una martire qui… Senza alcuna via d’uscita.

 

* Moltissime persone dell’est Europa pensano che l’Italia abbia una flora popolata da palme alte e rigogliose… uno stereotipo ormai radicato nel loro immaginario, che non sempre corrisponde alla realtà…


   
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                 Opere dei nostri lettori

 

Breve storia della filosofia polacca (prima parte)

di Emilia Stopyra, studentessa di filosofia - Lublino, Polonia

 

 E’ abbastanza difficile comprendere lo spirito che caratterizza i polacchi senza conoscere alcuni caratteri principali della nostra filosofia e del nostro pensiero. La nostra filosofia, esattamente come succede in altri paesi, mostra a chiare lettere il nostro spirito nazionale.

 Contrariamente ai numerosissimi filosofi che altre nazioni sono state in grado di sfornare nel corso dei secoli – pensiamo all’Italia, alla Germania, alla Gran Bretagna ed alla Francia, senza dimenticare l’antica Grecia -, la Polonia non ha dato alla luce molti pensatori che abbiano saputo distinguersi. In pratica, contrariamente alle nazioni sopra citate, non siamo mai stati in grado di esprimere un’influenza sul pensiero come altri sono stati capaci di fare. Questo però non significa automaticamente che la filosofia polacca non sia riuscita a rimanere al passo con quello che accadeva nel resto del mondo: anzi, i nostri pensatori sono sempre stati intensamente coinvolti da quanto succedeva nell’evoluzione del pensiero negli altri paesi.

 Mikołaj Kopernik (Nicola Copernico), il grande astronomo polacco, dimostrò scientificamente per primo molte leggi che caratterizzano l’Universo, frantumando per sempre quelle che erano certezze (errate) dell’umanità fino a quel momento.

 Un’altra concausa potrebbe essere individuata nell’attenzione da parte dei nostri filosofi all’aspetto “concreto” più che a quello prettamente teoretico. E’ proprio questa una caratteristica peculiare della  storia del pensiero filosofico polacco, l’indiscindibilità tra il pensiero espresso e gli avvenimenti storici contingenti.

 Passeremo brevemente in rassegna i più importanti filosofi che la Polonia ha saputo esprimere, alcuni dei quali avrebbero meritato di essere maggiormente apprezzati e forse di essere messi allo stesso livello di filosofi ben più conosciuti.

 

 Jakbub Maria Hoene-Wroński (vissuto a cavallo tra 18esimo e 19esimo secolo) forse non è specificamente rappresentativo per il pensiero filosofico ma sicuramente fu rappresentativo per il pensiero polacco in generale – il tipico prototipo del grande orgoglio ed ambizione polacca che sfociano nella metafisica, aldilà quindi della vita di tutti i giorni, in grado di cambiare la sorte ed essere abbastanza forte da far apparire la realtà migliore di quella che è -, creando un’interessante teoria che è tuttora in attesa di ulteriori analisi. Si tratta del messianismo, teoria fondata durante il romanticismo (quando la Polonia di fatto non esisteva come stato) per far comprendere ai compatrioti la necessità di affrontare la difficile situazione politica ed agire. Esattamente come molte altre teorie del romanticismo, caratterizzate da un “forte sentire” (per citare uno scrittore italiano dell’epoca, Alfieri) ed un sentimento di appartenenza nazionale piuttosto marcato, il messianismo fu una teoria esclusivamente polacca, che attribuiva alla Polonia la funzione di salvare il mondo – o, quantomeno, l’Europa…

 Hoene-Wroński fu forse il più grande metafisico polacco di tutta quella corrente filosofia caratterizzata dal pensiero espresso da Immanuel Kant. Oltre alla filosofia, fu attivo nel campo della matematica, della fisica, della legge e dell’economia. Era convinto di aver costruito un sistema in grado di curare completamente la situazione sociale e politica in Europa, ma al momento di richiamare l’attenzione delle altre nazioni rimase inascoltato…

 Passò la maggior parte della sua vita a Parigi. Scriveva in francese per avere più lettori, ma scriveva soprattutto pensando alla propria patria (esattamente come altri scrittori, poeti, artisti ed attivisti di altre nazioni ed altre epoche). Diceva che lavorava “per la Polonia attraverso la Francia”.

 

 Wincenty Lutosławski (1863-1954) fu l’altro filosofo polacco (lavorò per la maggior parte della sua vita all’università Jagielloniana di Cracovia) le cui idee erano riconducibili al messianismo. Fu tra quei pochi filosofi che cercarono di ritagliarsi una corrente riconducibile alla filosofia minimalista (cioè un tipo di filosofia che non disquisisce di problematiche esistenziali né sull’esistenza di Dio) collegata all’aspirazione di restituire la nazione polacca nelle mani dei polacchi.

 Questa filosofia minimalistica fu molto di aiuto per la causa dell’indipendenza e della riunificazione nazionale ma alla fine i pensatori  polacchi optarono per il sistema metafisico.

 

 Lo spirito del messianismo era ancora molto presente nella testa della gente. Il modello di Lutosławski era incentrato sullo spirito nazionale ma l’elemento che lo rendeva originale era la teoria secondo cui la “più alta” realtà non è quella rappresentata dagli spiriti delle singole persone, ma da un unico spirito dell’intera nazione, e solo attraverso una profonda coscienza nazionale si sarebbe potuto raggiungere la verità (intesa in un’accezione mistica, non razionale). Gli uomini sarebbero in grado di costruire il Regno di Dio ma solo se coscienti di essere parte di una Nazione.

 Dal punto di vista di Lutosławski, il romanticismo era l’unica fonte per le conoscenze metafisiche sull’Universo (non casualmente considerava grandi poeti romantici polacchi come Adam Mickiewicz o Juliusz Słowacki alla stregua di grandi metafisici).

 Lutosławski descrisse gli Slavi come persone caratterizzate da inclinazioni mistiche, senso di libertà, attitudine alla religiosità e, in relazione alle altre nazioni, un maggior amore. Ma tra gli Slavi, sempre secondo Lutosławski, solo i polacchi avevano conservato la purezza senza mischiarsi agli influssi di altre nazioni. Ecco spiegato il motivo per cui i polacchi avrebbero dovuto compiere la missione di unire socialmente e politicamente le nazioni e guidarle per creare un armonioso stato nazionale di tutti i popoli slavi. Questo “ideale” stato Slavo sarebbe poi dovuto divenire un modello per il resto dell’umanità. (continua e si conclude sul prossimo numero)

 


                 Opere dei nostri lettori

 

Gli occhi verdi di una gatta… dal pelo color tartaruga

di Andrej  Cuzènco, programmista e bancario - Regione di Poltàva, Ucraina

 

“…State attenti: non disprezzate

In nessun caso né questo né quello

Tra le cose piccole e insignificanti…”

(Vangelo di Matteo; 18, 10)

 

In un cortile viveva una gatta. Aveva il pelo variopinto e, per una strana combinazione, i colori delle macchie chiare e marroni che portava ricordavano quelli di una tartaruga.

 Il corpo di questa gatta randagia era flessibile e bello, e l’andatura era simile a quella di un piccolo puma… Inoltre, aveva occhi verdi, insolitamente grandi ed intelligenti.

 Insomma: nonostante le origini ben poco nobili, la gatta era un autentico splendore! E durante la primavera, i gatti del vicinato si lanciavano in appassionanti tornei per conquistarsi i favori della “gatta color tartaruga”. Così, tra un intervallo e l’altro di questi tornei, la gatta diede alla luce tre gattini: il primo aveva il pelo striato, il secondo macchiato, il terzo semplicemente marrone.

 La gatta veloce procacciava cibo per tutti: saltava di qua e di là nei bidoni della spazzatura e cercava qualsiasi cosa fosse adatta ad essere mangiata. Più difficile era nei giorni di pioggia, quando la gente riempiva meno i bidoni: in quei giorni tutta la famigliola si nascondeva in prossimità delle case degli umani, in un cespuglio di lilla. Aspettavano a lungo che qualcuno uscisse dal condominio, nella speranza che gettasse qualcosa di commestibile. E, quando le gocce erano più fitte del solito ed inclinavano senza fatica le foglie del lillà andando a bagnare il pelo della nidiata, i piccini chiudevano gli occhi e si stringevano contro il corpo caldo della madre. La quale a sua volta non aveva niente sotto cui potersi riparare… doveva quindi sopportare la situazione.

 Capitava anche che qualche inquilino portasse per i gattini un piattino di latte oppure un pezzettino di salame.. ed allora, quelle piccole lanuginose pallottole rotolavano gioiose incontro alla mano che offriva loro il cibo. La gatta madre in questi casi si metteva di guardia al loro fianco e non toccava il cibo, finché i suoi piccolo erano sazi.

 Quando c’era il sole, i gattini giocavano e si rincorrevano. La “gatta color tartaruga” sonnecchiava non lontano, riservando loro uno sguardo tra le fessure sonnolente delle palpebre. Il gattino macchiato rincorreva con frenesia una farfalla bianca, allontanandosi in fretta dalla madre. Correva e ballonzolava sulle sue piccole zampine con sollazzo e divertimento! E quanto era ridicola la sua tremante piccola coda triangolare! Da lontano il gattino sembrava un giocattolo animato nella cornice di un assolato giorno estivo.

 In quel momento arrivò una giovane donna con la pancia di chi aspetta un bambino, che portava con sé un grosso terrier. Poco dopo, si annoiò di tenere il cane al guinzaglio, e lo lasciò correre libero. Peccato che ai terrier, come a ogni altro cane d’altronde, piaccia terribilmente inseguire i gatti…

 Appena trovata la libertà, il cane come una freccia si precipitò verso il gattino macchiato. In tre salti lo raggiunge. La gatta color tartaruga scatta come un fulmine e si lancia contro il cane nel disperato tentativo di salvare il proprio figlio.

 La bocca del cane ha però già ucciso e lasciato cadere a terra il corpicino esanime del piccolo gatto marrone. La sua frenesia di cacciare è immediatamente sparita, il gattino morto non ha ormai più nessun interesse per lui.

 La padrona del cane trova tutto ciò… “divertente”: prima il piccolo giocattolo-gattino in corsa, poi il disperato tentativo di salvataggio di quella gatta magra… La donna si è messa a ridere. Forte e allegra.

 La gatta color tartaruga si è seduta ed ha guardato fisso negli occhi la donna, che rideva. Quest’ultima ha sentito insopportabile il suo sguardo, e dopo aver richiamato a sé il cane se ne è andata.

 Un pensionato, che aveva visto tutta la scena da una finestra, uscì dal portone con una paletta. Con sospiri pietosi scavò una fossa e seppellì il povero gattino.

- Sei triste? – chiese con amarezza alla gatta. – Non piangere, ne hai altri due… tieni, dà loro qualcosa da mangiare – le disse, spiegando un cartoccio e gettandole davanti un pezzetto di salame.

 La gatta rimase immobile.

 - E... come voi… - il pensionato fece ancora un sospiro e poi scomparì nell’ombra dell’ingresso del portone.

 I due gattini superstiti si misero a correre verso la madre, ma lei rimaneva rigida con lo sguardo fisso dei suoi occhi verdi davanti a se stessa,  guardasse qualcosa che gli occhi umani non possono vedere.

 

 Un anno dopo, in un giorno di sole una giovane madre passeggiava nel cortile con la sua piccola figliola. La bambina aveva appena iniziato a camminare e tutto attorno a lei sembrava così nuovo ed interessante! Con i suoi passettini la piccolina cercava goffamente di raggiungere un colombo che passava con alterigia sulla strada asfaltata. Il colombo allungò il passo, e poi spiccò il volo tubando lontano da lei…

 La bambina continuava a tendere le sue manine verso l’alto, in direzione dell’uccello che stava volando via. In quel momento passarono davanti a lei due uomini ubriachi.

 - Cosa c’è piccina? Non ci riesci? …dai, ti aiuto! – Uno di loro l’alzò con le braccia e le fece fare un salto nell’aria..

 - Lasciate la bambina in pace!!! Chiaro?? – Gridò con asprezza la madre.

 L’uomo fece una risatina e fece fare alla bambina un salto ancora più in alto. All’improvviso barcollò, senti mancare le sue gambe e cadde a terra insieme alla bambina mentre stava per riprenderla. La testa della piccolina sbatté contro l’asfalto.

 La madre emise un urlo terribile. Gli uomini si misero immediatamente in fuga.

 Il corpo della bambina rimase coricato supino, con lo sguardo proteso verso il cielo. Inginocchiata a fianco della figlioletta, la donna sentiva come un’onda di ghiaccio che le copriva il cuore gelandole il sangue.

 In quel momento, lei ricordò. Lei ricordò…

 Ricordò lo sguardo fisso degli occhi verdi di una “gatta color tartaruga”…

 

 


                                       Interventi

Un  bouquet… di emozioni!

Autori vari – raccolto e tradotto dalla redazione de LA VOCE DELLA GRU

 

 La vita quotidiana in ogni momento offre emozioni diverse. Anche in questi giorni in cui ci avviciniamo al Natale c’è qualcuno che prega e spera, c’è qualcuno che ride o piange, c’è qualcuno che lotta senza risparmiarsi, c’è qualcuno che vede attorno a sé tutto nero e privo di significato e sta imputando agli altri tutti in propri insuccessi.

Ma, come dicono i Saggi:

- Meglio andare a dormire pregando, che maledicendo.

- Meglio mangiare con un sorriso, che con il broncio.

- Meglio mettersi al lavoro con la gioia, che con lo sconforto.


 

 Vi proponiamo oggi, cari lettori, un “bouquet di emozioni”, una serie di articoli che ci auguriamo stimolino in voi sentimenti e riflessioni.


Una lettera

 

 Sono già trascorsi più di 7 mesi da un giorno triste:  l’undici aprile 2005, il giorno del funerale di Papa Giovanni Paolo II. Per tutto questo tempo ho fatto a meno di parlare di una cosa che ora sento il bisogno insopprimibile di esprimere…

 Ho seguito la diretta della messa funebre del Santo Padre, ed alle 11.40 dopo lo stretta di mani come segno di pace ho visto sullo schermo una bellissima immagine: una “macchia di luce” volava da dove era la delegazione dei politici e dei membri delle altre confessioni religiose verso l’altare innalzato per l’occasione.

 Questa macchia, dal mio punto di vista, somigliava molto alla foglia dorata di un albero o ad una piuma leggerissima. Ed il suo volo era come un’onda, su e giù, su e giù…

 Chi ha registrato le messa funebre di Giovanni Paolo II potrà controllare questa curiosa manifestazione visiva (un segno della Sua potenza sacra e meravigliosa..?)… e non credo si sia trattato di un difetto della televisione o dei miei occhi…

 Nonostante io sia nata e cresciuta in un paese ateista, continuo a pregare sempre con tutto il mio cuore per papa Wojtyla e per il Bene di tutti.

 Una proveniente dall’ex Unione Sovietica

 

 La redazione risponde…

 Cara “proveniente dall’ex Unione Sovietica”… “La voce della gru” non vuole essere un giornale religioso, ma non possiamo fare a meno di notare come una percentuale significativa di immigrati provenienti da paesi in cui la religione era stata bandita abbia un profondo e autentico senso di Fede. La tua testimonianza dimostra una volta di più come le leggi degli uomini non possano cancellare il bisogno insopprimibile di mettersi in relazione con Dio.

 Per quello che riguarda Giovanni Paolo II… stiamo parlando di un uomo che ha “abbagliato” con la sua luce molte, moltissime persone, ma che purtroppo è rimasto troppo spesso inascoltato. Non dimentichiamolo: anzi, mettiamo le parole e l’insegnamento che hanno saputo dare persone come lui ed altri importanti uomini di Pace (pensiamo a Gandhi, a Martin Luther King) al primo posto nella nostra vita. Le rivoluzioni più vere, autentiche e “buone” sono quelle che accadono nei nostri cuori…

 


C’è ben poco da ridere...

 

 La maggior parte delle feste nella Russia di oggi – esattamente come nel passato – si svolge con il canto corale delle canzoni popolari ed il ballo accompagnato dal suono della fisarmonica, in particolare nelle piccole città e nei villaggi della Russia centrale.

 I musicisti sono solitamente personaggi dotati di gran senso dell’umorismo e con un ricco repertorio di barzellette, proverbi e scherzi vari a cui attingere. Insomma: la figura del fisarmonicista e le buffonate sono inseparabili…

 Tuttavia, ogni tanto qualcuno di loro esagera nello scherzare…

 Nella piccola città di Pàvlosk un musicista, durante una festa, aveva deciso di fare uno scherzo ad una ragazza molto bella ma completamente sorda. Mentre lei danzava appassionatamente, lui tutto d’un tratto smise di suonare e la ragazza continuò a ballare senza la musica, in piena solitudine, sotto gli sguardi perplessi degli astanti.

 Nessuno rise, tranne il musicista.

 Lo scherzo in un qualche modo ebbe conseguenze sulla vita del musicista... un anno dopo nacque sua figlia. Sorda...

 A suo modo, questa storia insegna come non esista piccola cattiveria che non sia ripagata con una punizione.

L. Nechaj

 


Gli immigrati e la lingua italiana

 

 Napoli, stazione centrale. Una lunga coda davanti al bagno femminile. Quello gratuito. In fila ci sono prevalentemente ucraine nonostante tutte conversino vivacemente in almeno tre o quattro lingue: ucraino naturalmente, e poi russo, moldavo, romeno ed italiano. Tutte discutono dei loro problemi, vale a dire di lavoro e di permessi di soggiorno. Sembra che vada male a tutte: vivono in ristrettezza economica, patiscono la fame, soffrono a causa delle umiliazioni. Ma, per le famiglie lontane, subiscono qualsiasi cosa.

 Una donna, abbastanza anziana, risponde così ad un racconto di una sua più giovane amica:

 “Sì, sì…” e subito dopo, nella sua lingua, impreca: “Ma guarda che roba! Non capisco quasi niente di italiano, ma poi dico “sì, sì”, invece di dire “da, da” come si dice in russo… che strano!”

Intorno a lei tutte scoppiano in una risata e la donna, lusingata dall’improvvisa attenzione generale, alza la voce per raccontare la sua storia.

 “Una volta lavoravo da una signora. “Signora” per così dire! Era maleducata, aggressiva, mamma mia! Non ho mai visto in vita mia nessuno di simile. Inoltre, era racchia come un mostro! Anch’io sono brutta a causa della vecchiaia, ho già compiuto 65 anni, ma quella..! Non le serviva comprare la maschera per il Carnevale, le bastava la sua faccia! Aveva 90 anni ed aveva sempre paura di morire. Quando non urlava, continuava a ripetere:

 - “Ho paura! Ho paura!”

 Evidentemente aveva fatto troppe cattiverie nella sua vita se tremava in quel modo…

 La casa era grande, e ogni mattino dovevo fare i sei letti delle sue figlie e dei suoi nipoti, lavare il pavimento e spolverare due piani: otto stanze, tre bagni, due grandi saloni, la sala da pranzo, la scala e così via. E poi a mezzogiorno dovevo preparare il pranzo per tre-quattro persone. Senza un minuto di ritardo! Correvo ogni mattina come una matta ed ero sudata come una bestia!

La vecchia voleva sempre chiacchierare con me, ma io non capivo un accidente! Quando, nel pomeriggio, lei andava a dormire, io, seduta al suo fianco, per un’oretta studiavo a fondo il dizionario. Dopo aver fatto una scorpacciata di parole, cercavo di modularle e di plasmarle insieme. Ma, come sapete anche voi, è impossibile imparare tutto di corsa.

 Una volta, la nostra “chiacchierata” finì in questo modo…

 Intendevo dire qualcosa tipo “Ti fanno male gambe. Vieni, siediti qui per un momento mentre io preparo il pranzo”.

 Purtroppo ho pronunciato: “Hai i piedi morti. Vieni malandato sedere qua, dopo io cucinare…” ”

 Una fragorosa risata scoppia nella fila. Le donne più lontane cercano di avvicinarsi all’allegra narratrice. Lei, continuando:

 “Mamma mia, quant’era sbigottita la vecchietta! Sgranò gli occhi e si mise ad urlare:

 - “Perché i miei piedi sono già morti? Chi te l’ha detto, il dottore? RISPONDI!!! SUBITO!!!”

 Mi mise le mani addosso, scuotendomi, mi gridò con tutta la sua forza ed io lentamente capii di aver detto qualcosa di sbagliato.

 Appena riuscii a spiegare alla meno peggio il significato delle mie parole, e dopo averla calmata, lei si infuriò nuovamente e ricominciò ad urlare:

 - “Perché mi hai detto “sedere” ???”

 Ecco – pensai – la signora oggi è completamente fuori di testa! Quando le ho detto “sedere”? Le chiesi in russo, perché in quel momento mi erano completamente sparite dalla mente le parole che avevo pronunciato in precedenza. Ma lei riuscì a ricordarsi esattamente quello che avevo detto e mi fece ripetere la stessa famosa frase: “Hai i piedi morti. Vieni malandato sedere qua, dopo io cucinare…” E solo dopo questa ripetizione riuscii finalmente a capire che avevo scambiato le parole “siediti” e “sedere”… Era colpa mia se le parole si somigliano così tanto tra loro?!? Ho cercato di spiegarlo e di calmare la vecchietta nuovamente ma era già tardi…

 Arrivarono a casa le figlie e mi licenziarono, per mancanza di rispetto verso la loro madre…”

 


 “…Molti aspetti della società occidentale mi hanno positivamente impressionato; in particolare la sua energia, la sua creatività e la sua fame di sapere.

        D’altro canto certi particolari dello stile di vita occidentale mi causano preoccupazione: la gente è incline a pensare in termini di bianco e nero, e di “aut aut”, ignorando i fattori dell’interdipendenza e della relatività. Gli occidentali tendono a perdere la percezione delle zone grigie che intercorrono tra due punti di vista. Inoltre, pur con migliaia di fratelli e sorelle attorno, tante persone sembrano in grado di mostrare i propri veri sentimenti solo ai propri cani e gatti.

      Il compito dell’uomo è aiutare gli altri. Questo è il mio insegnamento, questo è il mio messaggio, questa è la mia personale convinzione. È fondamentale creare migliori relazioni tra esseri umani e dare il proprio personale contributo a questo scopo”

Tenzin Gyatso – 16esimo Dalai Lama;

Premio Nobel per la Pace nel 1989,

è la massima autorità del buddismo tibetano.

 

A nostro avviso, non c’è granché da aggiungere a queste parole…


 

 

 

 


30/12/2004

 

Associazione Italo Slava "Il volo della gru"  27029 Vigevano (PV)