Attila

Dramma lirico in un prologo e tre atti su libretto di Temistocle Solera
Tratto da Attila re degli Unni di Zacharias Werner.
Prima: Venezia, Teatro La Fenice, 17 marzo 1846

Primi interpreti  Trama   Altro

Attila, re degli unni, Basso
Ezio, generale romano, Baritono
Odabella, figlia del signore d'Aquileja, Soprano
Foresto, cavaliere aquilejese, Tenore
Uldino, giovane bretone, schiavo d'Attila, Tenore
Leone, vecchio romano, Basso
duci, re e soldati, Unni, Gepidi, Ostrogoti, Eruli, Turingi, Quadi, Druidi, sacerdotesse, popolo di Aquileja, vergini di Aquileja, ufficiali e soldati romani, vergini e fanciulli di Roma, eremiti e schiavi.

La Scena durante il Prologo è in Aquileja e nelle Lagune Adriatiche; durante i tre Atti è presso Roma.

Epoca: la metà del quinto secolo.

 

Primi interpreti

  • Venezia, Teatro La Fenice, 17 marzo 1846
    Attila: Ignazio Marini; Odabella: Sofia Loewe; Foresto: Carlo Guasco; Ezio: Natale Costantini
 

Trama

  • Atto I. L`azione si svolge alla metà del V secolo ad Aquileja. La città è stata semidistrutta dalla invasione degli Unni al comando del feroce Attila; la notte è rischiarata dalle torce e dagli ultimi bagliori degli incendi. Un gran numero di Unni, Eruli ed Ostrogoti rende omaggio al condottiero. Uldino, un giovane bretone schiavo di Attila, presenta al vincitore un gruppo di vergini di Aquileja scampate al massacro dopo aver valorosamente combattuto al fianco dei loro padri e fratelli: fra esse è Odabella, che ha visto perire il proprio padre e crede perduto anche Foresto, l`uomo che amava. Attila, colpito dalla bellezza e dalle fiere parole della fanciulla, se ne innamora e le fa dono della sua spada, ordinando che assieme alle altre vergini, Odabella sia condotta al campo e faccia parte della sua corte. Odabella cinge la spada di Attila, fingendo di sottomettersi all`invasore, ma meditando la vendetta. Allontanate le donne, viene introdotto Ezio, valoroso generale romano, che in odio al giovane imperatore Valentiniano, viene ad offrire ad Attila il suo aiuto per le future conquiste, pur di avere in cambio l`Italia. Ma Attila rifiuta sdegnosamente ogni compromesso: egli vuole conquistare Roma e le città italiche con la forza. Colpito, Ezio ribatte che se Attila non lo vuole alleato, lo avrà, come nel passato, valoroso nemico sul campo di battaglia.
    A Rio Alto, nelle lagune adriatiche. Gli Eremiti che vivono nelle capanne costruite su palafitte accolgono gioiosamente donne e uomini di Aquileja, che sarà presto ricostruita più forte e più bella sulle sue rovine. La nuova città sarà, anzi, edificata sulle palafitte su cui sorgono ora le misere capanne degli Eremiti.
  • Atto II. Un bosco presso il campo di Attila. E`notte: Odabella piange il padre e l`amato Foresto, quando sopraggiunge quest`ultimo, che è riuscito a raggiungerla sfidando mille pericoli. Il giovane credendo che Odabella lo abbia tradito, investe aspramente la fanciulla, ricordandole la patria distrutta, il padre ucciso, il loro antico amore. Ma Odabella si difende disperatamente dalle accuse di foresto: ella sarà come Giuditta che salvò Israele uccidendo Oloferne. Per questo ha accettato di seguire Attila ed ha cinto la sua spada: con questa spada alla vendicherà la patria, uccidendo l`invasore. Pentito, Foresto abbraccia Odabella, rinnovandole il suo amore.
    La tenda di Attila. Il condottiero dorme, vegliato dallo schiavo Uldino. Ma improvvisamente Attila si sveglia, terrorizzato da un incubo: gli è apparso in sogno un vegliardo, che, venendogli incontro, gli vietava l`ingresso a Roma terra di Numi e non di comuni mortali. Ma Attila si riprende presto e, convocati i suoi duci, ordina che squillino le trombe per muovere contro Roma. Le trombe hanno appena cominciato a squillare, che si ode un coro mistico che si fa sempre più vicino. Dalla collina avanza un lungo corteo di vergini di fanciulli romani. Alla loro testa è Papa Leone: il vegliardo che Attila ha sognato e gli ripete le fatali parole del sogno. Tutti restano sorpresi e smarriti, e più degli altri Attila che, sopraffatto da invincibile terrore, si prostra dinanzi a Leone, rinunciando alla conquista di Roma. A
  • Atto III. Il campo di Ezio in prossimità di Roma. Il generale romano legge con ira una lettera dell`imperatore Valentiniano, che gli annuncia la tregua con gli Unni e gli ordina di ritornare a Roma. Egli sogna di riportare la città agli antichi splendori, sottraendola al comando di un imbelle giovinetto. Giunge un ambasceria Unna ad invitare Ezio al campo di Attila. Fra essi, travestito è Foresto che, rimasto solo con Ezio, gli rivela che Attila sarà ucciso in quello stesso giorno: le schiere romane siano pronte ad un suo cenno. Quando vedranno un fuoco divampare dalla collina, si gettino sugli Unni che, privi del loro campo, saranno in breve sconfitti.
    Il campo di Attila. Nella notte rischiarata dalle torce si prepara un solenne convito. Attila, con il suo seguito, riceve Ezio, e lo invita a suggellare la tregua. Mentre le sacerdotesse intonano il loro canto, un vento improvviso, spegne gran parte dei fuochi: Foresto avverte nascostamente Odabella che nella tazza che fra poco Attila porterà alle labbra Uldino ha versato un potente veleno. Ma proprio mentre Attila sta per bere, Odabella che vuole il nemico ucciso di mano sua e non per il tradimento di uno dei suoi fidi, avverte il condottiero che nel calice vi è del veleno. Foresto si proclama colpevole ed ha salva la vita solo perché Odabella lo chiede ad Attila in cambio della sua rivelazione. Mentre Attila annuncia per l`indomani le sue nozze con Odabella, ora ben degna di essere sua sposa, e il suo proponimento di riprendere la lotta contro Roma, Foresto maledice Odabella per quello che egli crede un atroce tradimento. E invano la fanciulla lo supplica di fuggire, assicurandolo che fra poco ella potrà avere intero il suo perdono.
    Nel bosco che divide il campo di Attila da quello di Ezio. Foresto attende che Uldino gli rechi notizie delle nozze di Attila con Odabella. Uldino annuncia che il corteo sta accompagnando la sposa alla tenda del condottiero. Le schiere romane stanno in armi al di là del bosco, e Foresto invia Uldino a dar loro il segnale dell`attacco. Mentre il giovane impreca per il tradimento di Odabella, invano esortato alla calma da Ezio, giunge correndo Odabella, fuggita dal campo barbaro; la segue, fuori di sé, Attila, che viene investito da tre nemici: Odabella gli ricorda la morte del padre, Foresto, la patria ed il suo amore distrutti, Ezio, tutti i suoi delitti e la distruzione che ha portato nel mondo. Mentre si ode il clamore dell`assalto romano al campo di Attila, Foresto si slancia a trafiggere il barbaro, ma è prevenuto da Odabella che con la spada donatele dal condottiero compie finalmente la sua vendetta.
 

Altro

  • In piena atmosfera romantica, Verdi legge un saggio di Madame de Staël, De l’Alemagne, che contiene un riassunto del dramma di Zacharias Werner, Attila re degli Unni. Il librettista Andrea Maffei (il futuro librettista de I Masnadieri) dà a Verdi lo spunto per un soggetto "barbaro" e il Maestro, memore delle recenti letture che lo avevano entusiasmato, si mette al lavoro per adattare proprio il dramma di Werner. Affidata la trasposizione in versi a Temistocle Solera, Verdi sceglie il Teatro La Fenice di Venezia come luogo idoneo alla sua prima rappresentazione. Il libretto tarda ad arrivare poiché Solera, dalla capitale spagnola nella quale si era trasferito, oppresso dai debiti, non spedisce le ultime scene del libretto. Verdi decide dunque di rivolgersi a Francesco Maria Piave per il completamento di quest’ultimo e il 17 marzo 1846 l’Attila va in scena con discreto successo.

PROLOGO
SCENA I: Piazza di Aquileia

La notte, vicina al termine, è rischiarata da una grande quantità di torce. Tutto all'intorno è un miserando cumulo di rovine. Qua e là vedesi ancora tratto tratto sollevarsi qualche fiamma, residuo di un orribile incendio di quattro giorni. La scena è ingombra di Unni, Eruli, Ostrogoti, ecc.


CORO:
Urli, rapine,
Gemiti, sangue, stupri, rovine,
E stragi e fuoco
D'Attila è gioco.
O lauta mensa,
Che a noi sì ricco suol dispensa!
Wodan non falla,
Ecco il Valhalla! . . .
T'apri agli eroi . . .
Terra beata, tu se' per noi.
Attila viva;
Ei la scopriva!
Il re s'avanza,
Wodan lo cinge di sua possanza.
Eccoci a terra,
Dio della guerra!
(Tutti si prostrano)




PROLOGO
SCENA II

Attila viene condotto sopra un carro tirato dagli schiavi, duci, re, ecc.

ATTILA (scende dal carro):
Eroi, levatevi! Stia nella polvere
Chi vinto muor.
Qui! . . . circondatemi; l'inno diffondasi
Del vincitor.
I figli d'Attila vengono e vincono
A un colpo sol.
Non è sì rapido solco di fulmine,
D'aquila il vol.
(Va a sedersi sopra un trono di lance e scudi)

CORO:
Viva il re delle mille foreste,
Di Wodano ministro e profeta;
La sua spada è sangiugna cometa,
La sua voce è di cielo tuonar.
Nel fragore di cento tempeste
Vien lanciando dagl'occhi battaglia;
Contro i chiovi dell'aspra sua maglia
Come in rupe si frangon gli acciar.


PROLOGO
SCENA III

Entrano Uldino, Odabella, e Vergini d'Aquileia

ATTILA: (scendendo dal trono):
Di vergini straniere,
Oh, quale stuol vegg'io?
Contro il diveto mio
Che di salvarle osò?

ULDINO:
Al re degno tributo ei mi sembrò.
Mirabili guerriere
Difesero i fratelli . . .

ATTILA:
Che sento? A donne imbelli
Chi mai spirò valor?

ODABELLA: (con energia)
Santo di patria indefinito amor!
Allor che i forti corrono
Come leoni al brando
Stan le tue donne, o barbaro,
Sui carri lagrimando.
Ma noi, donne italiche,
Cinte di ferro il seno,
Sul fumido terreno
Sempre vedrai pugnar.

ATTILA:
Bella è quell'ira, o vergine,
Nel scintallante sguardo;
Attila, i prodi venera,
Abbomina il codardo . . .
O valorosa, chiedimi
Grazia che più ti aggrada.

ODABELLA:
Fammi ridar la spada!

ATTILA:
La mia ti cingi! . . .

ODABELLA:
(Oh acciar!)
Da te questo or m'é concesso,
O giustizia alta, divina!
L'odio armasti dell'oppresso
Coll'acciar dell'oppressor.
Empia lama, l'indovina
Per qual petto è tua punta?
Di vendetta l'ora è giunta . . .
Fu segnata dal Signor.
(Odabella e donne partono)

ATTILA:
(Qual nell'alma, che struggere anela,
Nuovo senso discende improvviso? . . .
Quell'ardire, quel nobile viso
Dolcemente mi fiedono il cor!)

CORO:
Viva il re che alle terra rivela
Di quai raggi Wodano il circonda!
Se flagella è torrente che innonda;
È rugiada se premia il valor.

ATTILA:
Schiava non già ma del mio campo gemma
Rimani e fulgi nel real corteggio,
Siate voi tutte ancelle
A lei ch'io vesto della luce mia

ODABELLA:
(Fingasi! Oh lampo di celeste ajuto! -
Oh patria! ... Oh padre! Oh sposo mio perduto!)

ATTILA:
Uldino, a me dinanzi
L'inviato di Roma ora si guidi . . .
(Uldino parte)
Frenatevi, miei fidi,
Udir si dee, ma in Campidoglio poi
Riposta avrà da noi.



PROLOGO
SCENA IV

Entrano Ezio ed ufficiali romani

EZIO:
Attila:!

ATTILA:
Oh, il nobil messo!
Ezio! Tu qui? Fia vero!
Ravvisi ognuno in esso
L'altissimo guerriero
Degno nemico d'Atilla,
Scudo di Roma e vanto . . .

EZIO
Attila, a te soltanto
Ora chied'io parlar.

ATTILA:
Ite!

(Escono tutti)



PROLOGO
SCENA V

Attila ed Ezio

ATTILA:
La destra porgimi . . .
Non già di pace spero
Tuoi detti . . .

EZIO:
L'orbe intero
Ezio in tua man vuol dar.
Tardo per gli anni, e tremulo,
È il regnator d'Oriente;
Siede un imbelle giovine
Sul trono d'Occidente;
Tutto sarà disperso
Quand'io mi unisca a te . . .
Avrai tu l'universo,
Resti l'Italia a me.

ATTILA: (severo)
Dove l'eroe più valido
È traditor, spergiuro,
Ivi perduto è il popolo,
E l'aer stesso impuro;
Ivi impotente è Dio,
Ivi è codardo il re . . .
Là col flagello mio
Rechi Wodan la fé!

EZIO: (rimettendosi)
Ma se fraterno vincolo
Stringer non vuoi tu meco,
Ezio ritorna ad essere
Di Roma ambasciator.
Dell'imperante Cesare
Ora il voler ti reco . . .

ATTILA:
È van! Chi frena or l'impeto
Del nembo struggitor?
Vanitosi! Che abbietti e dormenti
Pur del mondo tenete la possa,
Sovra monti di polvere e d'ossa
Il mio baldo cosier volerà.
Spanderò la rea cenere ai venti
Delle vostre superbe città.

EZIO:
Fin che d'Ezio rimane la spada,
Starà saldo il gran nome romano:
Di Chalons lo provasti sul piano
Quando a fuga t'aperse il sentier.
Tu conduci l'eguale masnada,
Io comando gli stessi guerrier.
(Partono entrambi da opposte parti)
PROLOGO
SCENA VI

Rio-Alto nelle Lagune Adriatiche. Qua e là sopra palafitte sorgono alcune capanne, comunicanti fra loro per le lunghe asse sorrette da barche. Sul davanti sorge in simile guisa un altare di sassi dedicato a San Giacomo.
Più in là scorgesi una campana appesa ad un casotto di legno, che fu poi il campanile di San Giacomo. Le tenebre vanno diradandosi fra le nubi tempestose: quindi a poco a poco una rosea luce, sino a che (sul finir della scena) il subito raggio del sole inondando per tutto, riabbella il firmamento del più sereno e limpido azzurro. Il tocco lento della campana saluta il mattino.
Alcuni Eremiti escono dalle capanne e s'avviano all'altare.

CORO di EREMITI:
I: Qual notte!
II: Ancor fremono l'onde al fiero
Turbo, che Dio d'un soffio suscitò.
I: Lode al Signor! Lode al Signor!
UNITI: L'altero
Elemento Ei sconvolse ed acquetò.
Sia torbida o tranquilla la natura,
D'eterna pace Ei nutre i nostri cor.
L'alito del mattin già l'aure appura.
I: Preghiam! Preghiam!
II: Lode al Creator!
VOCI INTERNE: Lode al Creatore!


PROLOGO
SCENA VII

Dalle navicelle, che approdano a poco a poco, escono Foresto, donne, uomini e fanciulli d'Aquieliea

EREMITI:
Quai voci! Oh, tutto
Di navicelle coperto è il flutto! . . .
Son d'Aquileia. Certo al furor
Scampan dell'Unno.

POPOLO d'AQUILEIA:
Lode al Creator!

FORESTO:
Qui, qui sostiamo! Propizio augurio
N'è questa croce, n'è quest'altar.
Ognun d'intorno levi un tugurio
Fra quest'incanto di cielo e mar.

POPOLO d'AQUILEIA:
Lode a Foresto! Tu duce nostro,
Scudo e salvezza n'eri tu sol . . .

FORESTO:
Oh! Ma Odabella! . . . Preda è del mostro,
Serbata al pianto, serbata al duol.
Ella in poter del barbaro!
Fra le sue schiave avvinta!
Ahi, che men crudo all'anima
Fora il saperti estinta!
Io ti vedrei fra gli angeli
Almen ne' sogni allora,
E invocherei l'aurora
Dell'immortal mio dì.

POPOLO d'AQUILEIA:
Spera! L'ardita vergine
Forse al crudel sfuggì.

CORO:
Cessato alfine il turbine,
Più il sole brillerà.

FORESTO:
Sì, ma il sospir dell'esule
Sempre la patria avrà.
Cara patria, già madre e reina
Di possenti magnanimi figli,
Or macerie, deserto, ruina,
Su cui regna silenzio e squallor;
Ma dall'alghe di questi marosi,
Qual risorta fenice novella,
Rivivrai più superba, più bella
Della terra, dell'onde stupor!

CORO:
Dall'alghe di questi marosi,
Qual risorta fenice novella,
Rivivrai più superba, più bella
Della terra, dell'onde stupor!



ATTO PRIMO
SCENA I

Bosco presso il campo d'Attila. È notte; nel vicino ruscello brillano i raggi della luna.

Odabella sola.

ODABELLA:
Liberamente or piangi . . .
Sfrenati, o cor. La queta ora, in che posa
Han pur le tigri, io sola
Scorro di loco in loco.
Eppur sempre quest'ora attendo, invoco.
Oh! Nel fuggente nuvolo
Non sei tu, padre, impresso? . . .
Cielo! Ha mutato immagine!
Il mio Foresto è desso.
Sospendi, o rivo, il murmure,
Aura, non più fremir,
Ch'io degli amati spiriti
Possa la voce udir.
Qual suon di passi!



ATTO PRIMO
SCENA II

Viene Foresto, in costume barbaro

FORESTO:
Donna!

ODABELLA:
Gran Dio!

FORESTO:
Ti colgo alfine!

ODABELLA:
Sì . . . la sua voce!
Tu . . . tu! Foresto? Tu, l'amor mio?
Foresto, io manco! M'affoga il cor!
Tu mi respingi? Tu! Sì feroce?

FORESTO:
Né a me dinanzi provi terror?

ODABELLA: (riscuotendosi)
Ciel! Che dicesti?

FORESTO:
T'infingi invano:
Tutto conosco, tutto spiai!
Per te d'amore, furente, insano,
Sprezzai perigli, giunto son qui.
Qual io ti trovi, barbara, il sai . . .

ODABELLA:
Tu! . . . tu, Foresto, parli così?

FORESTO:
Sì, quell'io son, ravvisami,
Che tu tradisti, infida;
Qui fra le tazze e i cantici
Sorridi all'omicida . . .
E la tua patria in cenere
Pur non ti cade in mente
Del padre tuo morente
L'angoscia, lo squallor . . .

ODABELLA:
Col tuo pugnal feriscimi . . .
Non col tuo dir, Foresto;
Non maledir la misera . . .
Crudele inganno è questo!
Padre, puoi tu ben leggere
Dentro il mio sen dal cielo . . .
Oh! Digli tu, se anelo
D'alta vendetta in cor.

FORESTO:
Va! Racconta al sacrilego infame,
Ch'io sol resto a sbramar la sua fame.

ODABELLA:
Deh! Pel cielo, pei nostri parenti,
Deh! M'ascolta o m'uccidi, crudele!

FORESTO:
Che vuoi dirmi?

ODABELLA:
Foresto, rammenti
Di Giuditta che salva Israele?
Da quel dì che ti pianse caduto
Con suo padre sul campo di gloria,
Rinnovar di Giuditta l'istoria
Odabella giurava al Signor.

FORESTO:
Dio! Che intendo!

ODABELLA:
La spada del mostro,
Vedi, è questa! Il Signor l'ha voluto!

FORESTO:
Odabella a'tuoi piedi mi prostro . . .

ODABELLA:
Al mio sen! S'addoppia il valor!

FORESTO e ODABELLA:
Oh, t'inebria nell'amplesso,
Gioia immensa, indefinita!
Nell'istante a noi concesso
Si disperde il corso duol!
Ah! Qui si effonde in una sola
Di due miseri la vita . . .
Noi ravviva, noi consola
Una speme, un voto sol.





ATTO PRIMO
SCENA III

Tenda d'Attila. Sopra il suolo, coperto da una pelle di tigre, è disteso Uldino che dorme. In fondo, alla sinistra, per mezzo di una cortina sollevata a mezzo, la quale forma come una stanza appartata, scorgesi Attila in preda al sonno sopra il letto orientale assai basso, e coperto egualmente da pelli di tigre.

Attila, Uldino

ATTILA: (balzando esterrefatto)
Uldino! Uldin!

ULDINO:
Mio re!

ATTILA:
Non hai veduto?

ULDINO:
Che mai?

ATTILA:
Tu non udisti?

ULDINO:
Io? Nulla.

ATTILA:
Eppur feroce
Qui s'aggirava. Ei mi parlò . . . sua voce
Parea vento in caverna!

ULDINO:
Oh re, d'intorno
Tutto è silenzio . . . della vigil scolta
Batte soltanto il pie'.

ATTILA:
Mio fido, ascolta!
Mentre gonfiarsi l'anima
Parea dinanzi a Roma,
Imman m'apparve un veglio
Che m'afferrò la chioma . . .
Il senso ebb'io travolto,
La man gelò sul brando;
Ei mi sorrise in volto,
E tal mi fe' comando:
"Di flagellar l'incarco
Contro i mortali hai sol.
T'arretra! Or chiuso è il varco;
Questo de' numi è il suol!"
In me tai detti suonano
Cupi, fatali ancor,
E l'alma in petto ad Attila
S'agghiaccia pel terror.

ULDINO:
Raccapriccio! E che far pensi?

ATTILA: (riaccendendosi)
Or son liberi i miei sensi!
Ho rossor del mio spavento.
Chiama i druidi, i duci, i re.
Già più rapido del vento,
Roma iniqua, volo a te.

(Uldino esce)




ATTO PRIMO
SCENA IV

Attila

ATTILA:
Oltre a quel limite
T'attendo, o spettro!
Vietarlo ad Attila
Chi mai potrà?
Vedrai se pavido
Io là m'arretro,
Se alfin me vindice
Il mondo avrà.



ATTO PRIMO
SCENA V

Entrano Uldino, Druidi, duci e re

CORO:
Parla, imponi.

ATTILA:
L'ardite mie schiere
Sorgan tutte alle trombe guerriere:
È Wodan che a gloria r'appella;
Moviam tosto.

CORO:
Sia gloria a Wodan.
Allo squillo, che al sangue ne invita,
Pronti ognora i tuoi fidi saran.

(Le trombe squillano tutto d'intorno; succede subito ed esce la seguente
religiosa armonia di)

VOCI in LONTANANZA:
Vieni. Le menti visita,
O spirito creator;
Dalla tua fronte piovere
Fanne il vital tesor.

ATTILA:
Che fia! Non questo è l'eco
Delle mie trombe! Aprite, olà!





ATTO PRIMO
SCENA V: Il campo d'Attila

Dalla collina in fondo vedesi avanzare, preceduta da Leone e da sei Anziani, processionalmente una schiera di vergini e fanciulli in bianche vesti recanti palme. La scena è ingombra dalle schiere d'Attila in armi. Fra la moltitudine appare Foresto con visiera calata e Odabella.

ATTILA:
Chi viene?

CORO di VERGINI e di FANCIULLI: (sempre avanzandosi)
I guasti sensi illumina,
Spirane amor in sen.
L'oste debella e spandasi
Di pace il bel seren.

ATTILA: (commovendosi a poco a poco)
Uldino! è quello il bieco
Fantasma! . . . Il vo' sfidar . . . Chi mi trattiene?

LEONE:
Di flagellar l'incarco
Contro i mortal hai sol.
T'arretra! . . . Or chiuso è il varco;
Questo de' numi è il suol!

ATTILA:
Gran Dio! Le note stesse
Che la tremenda visîon m'impresse.

(Egli leva la testa al cielo sopraffatto da subito terrore. Tutti restano sorpresi e smarriti)

(No! . . . non è sogno ch'or l'alma invade!
Son due giganti che investon l'etra . . .
Fiamme son gli occhi, fiamme le spade . . .
Le ardenti punte giungono a me.
Spiriti, fermate.
Qui l'uom s'arretra;
Dinanzi ai numi protrasi il re!)

CORO e ULDINO:
(Sordo ai lamenti pur de' fratelli,
Vago di sangue, di pugne solo,
La flebil voce di pochi imbelli
Qual nuovo senso suscita in me?
Qual possa è questa! Prostrato al suolo
La prima volta degli Unni il re!)

LEONE, ODABELLA, FORESTO e VERGINI:
Oh, dell'Eterno mira virtute!
Da un pastorello vinto è Golìa,
Da umil fanciulla l'uomo ha salute.
Da gente ignota sparsa è la fé . . .
Dinanzi a turba devota e pia
Ora degli empi s'arretra il re!



ATTO SECONDO
SCENA I: Campo d'Ezio

Scorgesi in lontananza la grande città dei sette colli. Ezio solo. Egli esce tenendo in mano un papiro spiegato e mostrando dispetto.

EZIO:
"Tregua è cogl'Unni. A Roma,
Ezio, tosto ritorna . . . a te l'impone
Valentinian."
L'impone! . . . e in cotal modo,
Coronato fanciul, me tu richiami? . . .
Ovver, più che del barbaro le mie
Schiere paventi! . . . Un prode
Guerrier canuto piegherà mai sempre
Dinanzi a imbelle, a concubino servo?
Ben io verrò . . . Ma qual s'addice al forte,
Il cui poter supremo
La patria leverà da tanto estremo!
Dagli immortali vertici
Belli di gloria, un giorno,
L'ombre degli avi, ah, sorgano
Solo un istante intorno!
Di là vittrice l'aquila
Per l'orbe il vol spiegò . . .
Roma nel vil cadavere
Chi ravvisare or può?
Chi vien?



ATTO SECONDO
SCENA II

Preceduto da alcuni soldati romani presentasi uno stuolo di schiavi di Attila

CORO:
Salute ad Ezio
Attila invia per noi.
Brama che a lui convengano
Ezio, ed i primi suoi.

EZIO:
Ite! Noi tosto al campo
Verrem.



ATTO SECONDO
SCENA III

Tra gli schiavi che partono uno è rimasto. Egli è Foresto

Ezio, Foresto

EZIO:
Che brami tu?

FORESTO:
Ezio, al comune scampo
Manca la tua virtù.

EZIO: (sorpreso)
Che intendi? Oh, chi tu sei?

FORESTO:
Ora saperlo è vano;
Il barbaro profano
Oggi vedrai morir.

EZIO:
Che narri?

FORESTO:
Allor tu dei
L'opera mia compir.

EZIO:
Come?

FORESTO:
Ad un cenno pronte
Stian le romane schiere;
Quando vedrai dal monte
Un fuoco lampeggiar,
Prorompano, qual fiere,
Sullo smarrito branco!
Or va . . .

EZIO:
Di te non manco;
Saprò vedere, e oprar.

(Foresto parte rapidamente)



ATTO SECONDO
SCENA IV

Ezio

EZIO:
È gettata la mia sorte,
Pronto sono ad ogni guerra;
S'io cadrò da forte,
E il mio nome resterà.
Non vedrò l'amata terra
Svenir lenta e farsi a brano.
Sopra l'ultimo romano
Tutta Italia piangerà.




ATTO SECONDO
SCENA V

Campo d'Attila come nell'atto primo, apprestato a solenne convito. La notte è vivamente rischiarata da cento fiamme che irrompono da grossi tronchi di quercia preparati all'uopo. Unni, Ostrogoti, Eruli, ecc. Mentre i guerrieri cantano, Attila, seguito dai Druidi, dalle sacerdotesse, dai duci e re, va ad assidersi al suo posto . odabella gli è appresso in costume d'Amazzone.

CORO:
Del ciel l'immensa vòlta,
Terra, ai nemici tolta,
Ed aer che fiammeggia
Son d'Attila la reggia.
La gioia delle conche
Or si diffonda intorno;
Di membra e teste tronche
Godremo al nuovo giorno!

(Uno squillo di tromba annuncia l'arrivo degli ufficiali romani preceduti da Uldino.




ATTO SECONDO
SCENA VI

Entrano Ezio col seguito. Uldino, Foresto, che nuovamente in abito guerriero si frammischia alla moltitudine

ATTILA: (alzandosi)
Ezio, ben vieni! Della tregua nostra
Fia suggello il convito.

EZIO:
Attila grande
In guerra sei, più generoso ancora
Con ospite nemico.

(Alcuni Druidi, avvicinandosi ad Attila, gli dicono sottovoce)

DRUIDI:
O re, fatale
È seder collo stranio.

ATTILA:
E che?

DRUIDI:
Nel cielo
Vedi adunarsi i nembi
Di sangue tinti . . . Di sinistri augelli
Misto all'infausto grido
Dalle montagne urlò lo spirito infido!

ATTILA:
Via, profeti del mal!

DRUIDI:
Wodan ti guardi.

ATTILA: (alle sacerdotesse)
Sacre figlie degli Unni,
Percuotete le cetre, e si diffonda
Delle mie feste la canzon gioconda.
(Tutti si assidono. Le sacerdotesse, schieratesi nel mezzo, alzano il seguente canto:)

SACERDOTESSE:
Chi dona luce al cor? . . . Di stella alcuna
Dal cielo il vago tremolar non pende;
Non raggio amico di ridente luna
Alla percossa fantasia risplende . . .
Ma fischia il vento, rumoreggia il tuono,
Sol dan le corde della tromba il suono.

(In quel mentre un improvviso e rapido soffio procelloso spegne gran parte delle fiamme. Tutti si alzano per natural moto di terrore. Silenzio e tristezza generale. Foresto è corso ad Odabella Ezio s'é avvicinato ad Attila)

TUTTI:
Ah!

FORESTO: (ad Odabella)
O sposa, t'allieta,
È giunta la meta;
Dei padri lo scempio
Vendetta otterrà.
La tazza là mira
Ministra dell'ira,
Al labbro dell'empio,
Uldin l'offrirà.

ODABELLA: (fra sé)
(Vendetta avrem noi
Per mano de' suoi? . . .
Non fia ch'egli cada
Pel lor tradir.
Nel giorno segnato,
A Dio l'ho giurato,
È questa la spada.
Che il deve colpir)

EZIO: (ad Attila)
Rammenta i miei patti:
Con Ezio combatti;
Del vecchio guerriero
La mano non sprezzar.
Decidi. Fra poco
Non fora più loco.
(Del barbaro altiero
Già l'astro dispar)

ATTILA: (ad Ezio)
M'irriti, o Romano . . .
Sorprendermi è vano:
O credi che il vento
M'infonda terror?
Nei nembi e tempeste
S'allietan mie feste . . .
(Oh rabia; non sento
Più d'Attilail cor!)

ULDINO: (fra sé)
(Dell'ora funesta
L'istante s'appresta . . .
Uldin, paventi?
Breton non sei tu?
O il cor più non t'ange
La patria che piange?
La rea servitù?)

CORO:
(Lo spirto de' monti
Ne rugge alle fronti,
Le quercie fumanti
Sua mano coprì . . .
Terrore, mistero
Sull'anima ha impero . . .
Stuol d'ombre vaganti
Nel buio apparì)

(Il cielo si rasserena)

TUTTI:
L'orrenda procella
Qual lampo sparì.
Di calma novella
Il ciel si vestì.

ATTILA: (riscuotendosi)
Si riaccendan le quercie d'intorno,
(Gli schiavi eseguiscono il cenno)
Si rannodi la danza ed il giuoco . . .
Sia per tutti festivo tal giorno,
Porgi, Uldino, la conca ospital.

FORESTO: (piano ad Odabella)
Perché tremi? S'imbianca il tuo volto.

ATTILA: (ricevendo la tazza da Uldino)
Libo a te, gran Wodano, che invoco!

ODABELLA: (trattenendolo)
Ré, ti ferma! . . . è veleno! . . .

CORO:
Che ascolto!

ATTILA: (furibondo)
Chi 'l temprava?

ODABELLA:
(Oh momento fatal!)

FORESTO: (avanzandosi con fermezza)
Io.
ATTILA: (ravvisandolo)
Foresto!

FORESTO:
Sì, quello che un giorno
La corona strappò dal tuo crine . . .

ATTILA: (traendo la spada)
Ah! In mia mano caduto se' alfine,
Ben io l'alma dal sen ti trarrò.

FORESTO: (con scherno)
Or t'é lieve . . .

ATTILA: (fermandosi a tali parole)
Oh, mia rabbia! Oh, mio scorno!

ODABELLA:
Ré, la preda niun toglier mi può.
Io t'ho salvo . . . il delitto svelai . . .
Da me sol fia punito l'indegno.

ATTILA: (compiacendosi del fiero atto)
Io tel dono! Ma premio più degno,
Mia fedele, riserbasi a te:
Tu doman salutata verrai
Dalle genti qual sposa del re.
Oh, miei prodi! Un solo giorno
Chiedo a voi di gioia e canto;
Tuonerà di nuovo intorno
Poscia il vindice flagel.
Ezio, in Roma annuncia intanto
Ch'io de' sogni ho rotto il vel.

ODABELLA: (a Foresto)
Frena l'ira che t'inganna;
Fuggi, salvati, o fratello.
Me disprezza, me condanna,
Di' che vile, infame io son . . .
Ma deh, fuggi . . . Al dì novello
Avrò tutto il tuo perdon.

FORESTO: (ad Odabella)
Parto, sì per viver solo
Fino al dì della vendetta;
Ma qual pena, ma qual duolo
A tua colpa si può dar? . . .
Del rimorso che t'aspetta
Duri eterno il flagellar.

EZIO:
(Chi l'arcan svelar potea?
Chi fidarlo a core amante?
Va, ti pasci, va, ti bea,
Fatal uom, di voluttà.
Ma doman su te festante
Ezio in armi piomberà)

ULDINO:
(Io gelar m'intesi il sangue . . .
Chi tradir poteane omai?
Me dal fulmine, dall'angue,
Tu salvasti, o pro' guerrier . . .
Ah generoso! E tu m'avrai
Sempre fido al tuo voler)

CORO:
Oh re possente, il cor riscuoti . . .
Torna al sangue, torna al fuoco!
Su, punisci, su, percuoti
Questo stuol di traditor!
Non più scherno, non più giuoco
Noi sarem de' numi lor.

ATTO TERZO
SCENA I

Bosco come nell'atto primo, il quale divide il campo di Attila da quello di Ezio. È il mattino.

Foresto solo. Indi Uldino.

FORESTO:
Qui del convegno è il loco . . .
Qui dell'orrende nozze
L'ora da Uldino apprenderò . . . Nel petto
Frénati, o sdgeno . . . A tempo,
Come scoppiar di tuono,
Proromperò.

ULDINO:
Foresto!

FORESTO:
Ebben!

ULDINO:
Si move
Ora il corteo giulivo
Che d'Attila alla tenda
Accompagna la sposa.

FORESTO:
Oh, mio furore!
Uldino, va! . . . Ben sai
Di là della foresta
In armi stanno le romane schiere . . .
Ezio a te attende sol, perché sull'empio
Piombino tutte.

(Uldino parte)



ATTO TERZO
SCENA II

Foresto

FORESTO:
Infida!
Il dì che brami è questo:
Vedrai come ritorni a te Foresto!
Che non avrebbe il misero
Per Odabella offerto?
Fino, deh, ciel perdonami,
Fin l'immortal tuo serto.
Perché sul viso ai perfidi
Diffondi il tuo seren? . . .
Perché fai pari agli angeli
Chi sì malvagio ha il sen?



ATTO TERZO
SCENA III

Ezio viene frettoloso dalla parte del campo romano

EZIO:
Che più s'indugia? . . . attendono
I miei guerrieri il segno . . .
Proromperan, quai folgori,
Tutti sul mostro indegno.

FORESTO:
Non un, non un de' barbari
Ai lari tornerà.

CORO: (interno)
Entra fra i plausi, o vergine,
Schiusa è la tenda a te;
Entra, ed il raggio avvolgati
Dell'esultante re.
Bello è il tuo volto, candido
Qual mattutino albor,
A dolce spirto è simile
Ora di sol che muor.

FORESTO:
Tu l'odi? . . . è il canto pronubo . . .

EZIO:
Funereo diverrà.

FORESTO:
Ah, scellerata!

EZIO:
Frenati.
Lo esige l'alta impresa.

FORESTO:
Sposa è Odabella al barbaro! . . .
A' suoi voler s'è resa! . . .

EZIO:
La tua gelosa smania
Frena per poco ancor.

FORESTO:
Tutti d'averno i demoni
M'agitan mente e cor.



ATTO TERZO
SCENA IV

Odabella sempre in arnese da Amazzone con manto reale e corona, viene spaventata e fuggente dal campo barbaro

ODABELLA:
Cessa, deh, cessa . . . ah lasciami,
Ombra del padre irata . . .
Lo vedi? . . . Io fuggo il talamo . . .
Sarai . . . sì . . . vendicata . . .

FORESTO:
È tardo, o sposa d'Attila,
È tardo il tuo pentir.

EZIO:
Il segno . . . il segno . . . affrettati,
O ci farem scoprir.

ODABELLA:
Tu qui, Foresto? . . . Ascoltami,
Pietà del mio martir.
Te sol, te sol quest'anima
Ama d'immenso amore;
Credimi, è puro il core,
Sempre ti fui fedel.

FORESTO:
Troppo mi seppe illudere
Il tuo mendace detto!
Ed osi ancor d'affetto
Parlare a me, crudel?

EZIO:
Tempo non è di lagrime,
Non di geloso accento;
S'affretti l'alto evento,
Finché ne arride il ciel.



ATTO TERZO
SCENA V

Entra Attila che va dritto ad Odabella

FORESTO:
Non involarti, seguimi;
Perché fuggir chi t'ama? . . .
Che mai vegg'io? . . . Qui, perfidi,
Veniste a nuova trama?
(ad Odabella)
Tu, rea donna, già schiava, or mia sposa;
(a Foresto)
Tu, fellon, cui la vita ho donata;
(ad Ezio)
Tu, Romano, per Roma salvata,
Congiurate tuttor contro me? . . .
Scellerati . . . su voi sanguinosa
Piomberà la vendetta del re.

ODABELLA:
Nella tenda, al tuo letto d'appresso,
Minacciosa e tuttor sanguinante
Dio mio padre sta l'ombra gigante . . .
Trucidato ei cadeva per te!
(Scaglia lungi da sé la corona)
Maledetto sarebbe l'amplesso
Che me sposa rendesse del re.

FORESTO:
Di qual dono beffardo fai vanto?
Tu m'hai patria ed amante rapita;
In abisso d'affanni la vita
Hai, crudele, cangiato per me!
O tiranno . . . con morte soltanto
Può frenarsi quest'odio per te.

EZIO:
Roma hai salva! . . . e del mondo lo sdegno,
Che t'impreca superna vendetta?
Ed il sangue che inulto l'aspetta
Non rammenti? . . . Paventane, o re.
De' delitti varcasti già il segno;
L'ira pende del cielo su te.

(S'ode internamente il rumore dell'improvviso assalto al campo d'Attila)

CORO:
Morte . . . morte . . . vendetta!

ATTILA:
Qual suono?

EZIO e FORESTO:
Suono è questo che segna tua morte.

ATTILA:
Traditori!
EZIO e FORESTO:
Decisa è la sorte . . .

(Foresto va per trafiggere Attila, ma è prevenuto da Odabella, che lo ferisce esclamando:)

ODABELLA:
Padre! . . . ah padre, il sagrifico a te.

(Abbraccia Foresto)

ATTILA: (morente)
E tu pure, Odabella? . . .


ATTO TERZO
SCENA ULTIMA

Guerrieri romani irrompono da ogni parte

TUTTI:
Appien sono
Vendicati, Dio, popoli e re!



FINE

 


Omaggio a Verdi nel 100° anniversario della scomparsa

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