Nabucco (note di regia di Francesco Micheli)
Affrontare la regia di Nabucco è qualcosa che fa tremare i polsi perché Nabucco 
è l’opera nazionale italiana per eccellenza. In essa riecheggiano note che, 
pensiamo(nell’immaginario collettivo?), hanno fatto da marcia militare ai nostri 
padri, ai padri del Risorgimento, per fare quest’Italia.
Perciò mi sono molto stupito quando ho ritrovato, nello studio 
sull’allestimento, questo articolo di una testata bolognese che negli anni del 
Risorgimento era molto letta in tutt’Italia. Si chiamava Teatri, Arti e 
Letteratura e dice:
“ In Italia se v’è canto, è per lo più patriottico. A Bologna si lasciavano i 
Lombardi per cantare cori e nazionali per la città. A Napoli si è cantato il 
Nabucco ma con mediocre successo, perché il pubblico chiede al Verdi le 
tradizioni d’Italia e non dell’antico Oriente, vuole che la sua facoltà musicale 
sì rara nel dar voce e potenza alle moltitudini, rappresenti quel soffio di 
vita, fosse anche con un organo d’orchestra, che investa e faccia giganteggiare 
il popolo italiano. Oh sorgerà il Paesiello della nostra libertà, e l’Alfieri 
dei libretti! ”.
Questo è un primo fatto molto anomalo che contraddice lo stereotipo che tutti 
noi abbiamo in cuore su Nabucco, opera risorgimentale. 
Ne ho incontrato un altro di aneddoti, molto significativo e altrettanto 
spiazzante. 1901: Giuseppe Verdi muore. Il suo testamento chiede un funerale di 
terza classe, senza suoni né canti. La città obbedisce. Ma non appena la salma 
del maestro viene interrata insorge in tutti un sentimento tragico, stuggente, 
che non è stato placato da un funerale non all’altezza del maestro…Quindi via, 
un’altra cerimonia. Il corpo in maniera quasi cannibalesca viene riesumato e 
viene allestito un nuovo funerale, faraonico, trionfale. Ma il fatto davvero 
incredibile è questo: durante le esequie di Giuseppe Verdi Toscanini, in testa 
all’orchestra della Scala e ad un coro di novecento persone, intona il Va 
pensiero del Nabucco. E infatti è proprio a partire dalla morte di Verdi che si 
cominciano a registrare in Italia, in modo sempre più capillare, riprese e 
allestimenti di questa grande opera. 
E allora ho capito. 
Nabucco comincia a essere opera patriottica, nazionale, italiana nel Novecento, 
perché la storia di un popolo che sente nostalgia per la propria terra (lontana 
nel tempo o nello spazio non importa) non è, ahinoi, troppo diversa da quella di 
quest’Italia novecentesca.
…
ovvero da quando gli italiani cominciano ad avvertire un esilio triste, 
interiore, lacerante, tra sé e la propria terra. Nabucco, come in generale tutta 
l’opera di Giuseppe Verdi, è una grande eredità che questo grande padre ci 
lascia. E oggi, che ci siamo lasciati alle spalle il Novecento, è forse tempo di 
fare i conti con quest’immenso patrimonio che un grande padre ci ha lasciato in 
eredità. 
Lo spettacolo perciò prende le mosse da quegli anni cruciali in cui fatta 
l’Italia, gli Italiani avevano cominciato davvero a farsi e da figli di padri 
irraggiungibili hanno cominciato a sentirsi un popolo. 
C’è tutto un mondo teatrale…
Anni in cui ancora andava per la maggiore un tipo di spettacolo popolare che è 
il teatro lirico che affonda le sue radici nel teatro di strada, nelle sacre 
rappresentazioni. Insomma quelle forme di teatro a cui Nabucco s’ispira, da cui 
Nabucco proviene. Una forma di spettacolo e di drammaturgia che poi Verdi 
abbandonerà, dopo l’incontro col teatro borghese delle grandi città. Ma che, nel 
momento in cui scrive Nabucco, lui, povero paesano della bassa Padana, 
ovviamente non poteva che avere nel cuore e nel sangue.