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La Compagnia Dialettale Legnanese
"Felice Musazzi"
con Antonio Provasio, Enrico Dalceri e Gigi Campisi
in
Teresa e Mabilia Show in Famiglia
Commedia Dialettale in due tempi
Testi di Felice Musazzi e Antonio Provasio
Regia di Antonio Provasio
La Compagnia
dialettale "Felice Musazzi" nasce sulla scia de "I Legnanesi", la famosa
compagine nata presso l'oratorio di Legnarello, nel 1949. Il suo intento è
di continuare il percorso tracciato da Felice Musazzi, facendo conoscere
ai giovani i più grandi successi del loro ispiratore.
Da oltre
quarant'anni sulla scena, la compagnia de I Legnanesi continua a mietere
successi. Il suo fondatore e anima, Felice Musazzi, morto nel 1989, ci
aveva creduto fin dagli esordi. Nell'immediato Secondo dopoguerra, reduce
da una lunga prigionia in Ucraina, decise di rimettere in piedi la
filodrammatica San Genesio, che si esibiva negli oratori di Legnano.
Felice Musazzi mette in scena così le prime riviste e per aggirare
un'ordinanza del Cardinale Schuster, che vietava alle compagnie miste di
recitare negli oratori, elabora la formula del travestimento che gli
porterà tanta fortuna. Fatta le legge, scoperto l'inganno.
Le cose
andarono bene fin dalla prima rappresentazione, datata 8 dicembre 1949 e
intitolata "E un dì nacque Legnarello". Il travestimento dona allo
spettacolo un'irresistibile vis comica, senza scadere nella volgarità e il
pubblico gli tributa subito un grande successo. La compagnia prende il
nome di "Dialettale i Legnanesi" e nel 1958 arriva il grande salto: la
compagnia debutta all'Odeon di Milano con un successo inaspettato e
travolgente, sia di pubblico che di critica.
Nel 1970 "I
Legnanesi" approdano alla capitale, al Teatro Sistina . Nel 1986 all'apice
del successo, muore Toni Barlocco che impersona il ruolo chiave di Mabilia,
un brutto colpo per la compagnia e per Felice Musazzi. Il leader e
fondatore sembra voler rinunciare alla scena, ma si ripresenta nel 1987
con "La scala è mobile", rivista dove la Teresa spiega al pubblico che
Mabilia è partita per trovare fortuna nel Nuovo Continente.
In quarant'anni
"I Legnanesi" portano in scena 28 riviste, con una media di trecento
repliche per ciascuna. Una grave malattia non gli permetterà di seguire la
sua ultima rivista, "Va là tramvai". Musazzi muore nella sua casa di
Legnano il 4 agosto del 1989.
Ringhiere che si arrotolano sui ballatoi, scale
consunte dal saliscendi di generazioni ogni porta un stanza, che vive con
te. Il cortile: la catasta dei povercrist sopravissuto alle guerre, alle
carestie, alle immigrazioni, alle industrie.
Il cortile: lo spazio vuoto, che è la camera più grande dove si vivono
stagioni intere, anni, generazioni, secoli, nascite, amori e corna, gioie
angosciose nozze e funerali, sorrisi e miracoli. Tutto. Fuori dal portone
il muro di cinta lungo lungo di uno stabilimento, oltre la strada un altro
muro di mattoni rossi, dietro un muro un altro muro che divide in due i
reparti della filanda. Dopo i reparti, una strada ma stretta stretta con
altri portoni, nuovi cortili e muri.
Muri di cinta, una fabbrica metalmeccanica ancora muri e case, un
condominio di sei piani che già chiamano il grattacielo, e poi la nostra
città finisce qui.
Un po' di campagna non ancora cancellata dalle strade prima di un altro
muro un'altra città. Piramidi di sabbia e mattoni, molti vetri niente
aria. Adesso sono arrivati i condomini e non ricordi più nulla tutto è
cancellato.
Hanno distrutto le parole, le liti, le lenzuola sul filo di ferro, le
pozzanghere, la ruggine degli scorrimani. Ma noi abbiamo resistito. La
ringhiera ci corre nell'anima. Riflettori, prego: È di scena il cortile
lombardo.
Felice Musazzi: una vita per il teatro
"I Legnanesi"
(articolo di Ennio Flaiano - lettera di Federico Fellini )
Nato a San Lorenzo di Parabiago il 10 gennaio 1921, Musazzi si trasferi' a
Legnano da bambino, quando a bordo di una carretta partecipo' al trasloco
della sua famiglia nel cortile di via Lampugnani che tanto avrebbe
influito sul suo modo di interpretare l'allegria ed i problemi della
povera gente.
Come la maggior parte dei legnanesi che non navigavano nell'oro una volta
terminate le scuole medie Musazzi venne assunto come metalmeccanico alla
Franco Tosi, ma a metà degli anni '30 la sua passione per il teatro lo
spinse per la prima volta a salire sul palcoscenico. All'inizio furono
particine filodrammatiche all'oratorio di Cerro Maggiore, poi la guerra
spedi' Musazzi sul fronte russo, da dove tornò nel '46 dopo anni di
prigionia in Ucraina. Fin dal suo rientro il legnanese ricominciò a
recitare: i primi successi servirono da incoraggiamento, e cosi' Musazzi
decise di impegnarsi nella ricostituzione della filodrammatica San Genesio
dell'oratorio di Legnarello.
Qui inauguro' la formula che lo rese famoso. Sul palco dell'oratorio mise
in scena le prime riviste: le scene erano ambientate in fabbriche o
cortili, e i personaggi comunicavano tra loro esclusivamente in dialetto
legnanese.
Il quadro fu completato da un'ordinanza del Cardinale Schuster: l'allora
arcivescovo della diocesi di Milano aveva vietato alle compagnie "miste"
di recitare negli oratori parrocchiali, e cosi' Musazzi ebbe la felice
intuizione di aggirare il divieto assegnando agli uomini della compagnia
anche le parti femminili. Il travestimento accentuo' l'effetto comico, e
l'8 dicembre 1949 la rinata Filodrammatica presento' il suo primo
spettacolo, intitolato "E un di' nacque Legnarello".
La formula ideata da Musazzi piacque subito al pubblico, e presto la
compagnia prese il nome di "Dialettale I Legnanesi". Nel '58 la settima
rivista, "Va là batel ca sem su tuti", segno' una svolta definitiva: "I
Legnanesi" debuttarono all'Odeon di Milano e il successo fu travolgente,
tanto che la critica giudico' la compagnia di Musazzi "un fenomeno senza
precedenti". Gli impegni nei teatri del capoluogo si moltiplicarono, e nel
'66 la Famiglia Legnanese conferi' al capocomico la sua Tessera d'oro.
Nel '70 "I Legnanesi", che continuavano a considerarsi dei dilettanti,
debuttarono al Sistina di Roma, ma nell' 86, quando la popolarità era al
culmine, Tony Barlocco (che sul palco impersonava la "Mabilia"), mori'
dopo una lunga malattia: Musazzi sembro' voler rinunciare al teatro, ma
alla fine cedette al richiamo della ribalta. Cosi' nell' 87 con "La scala
è mobile" la Teresa spiegò che Mabilia era partita per l' America. In
quarant'anni "I Legnanesi" avevano portato in scena 27 riviste, con una
media di trecento repliche ciascuna. Musazzi mori' nella sua casa di
Legnano il 4 agosto del 1989, dopo che la malattia lo aveva costretto a
rinunciare a seguire di persona le prove della sua ultima rivista, "Va là
tramvai".
Per 40 anni,
con la famosa maschera di Teresa, è stato interprete del teatro dialettale
legnanese, interpretando la vita della gente umile delle case di
ringhiera.
Un riconoscimento era d' obbligo: Legnano non poteva continuare a cantare
le lodi di un artista come Felice Musazzi senza onorarne la memoria con un
gesto tangibile. Ecco allora l'idea di un monumento in bronzo, un simbolo
capace di racchiudere in sè tutta la forza espressiva della "Teresa" e al
tempo stesso di fissarne nel tempo il ricordo.
Del teatro dialettale Felice Musazzi fu l'inventore.
da "La
Martinella" n° 0 - periodico della famiglia legnanese - autore: Luigi
Crespi
http://www.retecivica.legnano.mi.it/reteciv/martinella/Articoli/musazzi2.htm
MISS ABBIATEGRASSO, VENTIMILA LEGHE SOTTO IL NAVIGLIO
di Ennio Flaiano
(Da: L'Europeo, 7 giugno 1964)
Un accenno di Alberto Arbasino (Tempo Presente, numero di maggio) alla
compagnia legnanese di Felice Musazzi, ci porta al cinema Alcione, immenso
e grigio, per vedere all'opera questo "complesso brechtiano-popolare" che
da anni miete in Lombardia un successo cosi inevitabile e familiare da
essere accettato come un servizio pubblico.
I componenti di questa compagnia sono tutti di Legnano, operai e impiegati
che hanno un lavoro regolare e la sera si ritrovano in una loro rivista a
puntate che ha per titolo Va la batèl.
Dalla cortesia di uno spettatore poiché, oltre Arbasino, non mi risulta
che questo complesso abbia i suoi esegeti o storici, vengo a sapere che l'autoreattoredirettore
della compagnia prepara ogni anno nuove avventure per i suoi personaggi e
che tra poco avremo un Va là batèl di notte, che cercheremo di non
perdere.
Questi personaggi di Musazzi, sempre gli stessi, portano sul palcoscenico
un loro mondo di miserie, di ambizioni, di intrighi, di gelosie, un mondo
popolare, comico per eccesso di verità, una specie di ventimila leghe
sotto il Naviglio, dove tutto, una visita al teatro della Scala, una gita
sul Lago Maggiore, un matrimonio di campagna, persino una parodia della
Madama Butterfly, diventa pretesto di un'osservazione non pungente nè
satirica, ma disarmata e anche melanconica della realtà.
Siamo, tanto per intenderci, su un piano preletterario, di semplice
caricatura, ma che esprime una visione naturale della vita.
La trovata, a tutta prima maliziosa, di questo complesso è che le parti
femminili sono svolte anche esse da uomini, ma questa sarebbe una trovata
da carnevale, una mascherata, se i personaggi non esprimessero alla fine
dei caratteri ben precisi, di una civiltà non volgare, se questo
travestimento non risultasse una scorciatoia teatrale per arrivare ad
un'autenticità buffonesca e dimenticata.
Tutta la vicenda di Va là batel s'impernia su di una famiglia incallita
nella filosofia della miseria, la famiglia Colombo, che abita qualche
parte della Bassa. C'è la signora Teresa, che da giovane ha fatto le sue
prove e ora sorveglia la figliola Mabilia, disillusa playgirl di paese,
che cambia parrucca ogni cinque minuti, accetta la corte del suo
principale e diventa infine Miss Abbiategrasso.
C'è naturalmente il pater familias, il signor Giovanni, eternamente
sbronzo e inascoltato, c'è la cognata, ladruncola, c'è il coro dei
casigliani, come nelle vignette di Dubout, c'è la grande antagonista,
l'Enrichetta, la vicina di casa oscurata da Mabilia, sempre in lotta per
emergere, umiliata e offesa, carica di amore non corrisposto per tutti,
che soltanto nell'esaltazione della solitudine trova la forza di credersi
bella e desiderata.
Gettati in uno spettacolo musicale tirato via senza pretese, questi
personaggi conservano la loro forza, fanno pensare a certi ambienti di
Testori, a certi caratteri di Franca Valeri, ma è chiaro che essi si
servono della realtà quotidiana, osservata con la sfrenata allegria dei
diseredati.
E ogni tanto il ricordo sale più in alto, fino a Carlo Porta, alla miseria
che entra finalmente nella letteratura europea, già prima di Gogol. A
raccontare le battute, gli stupori, le situazioni in cui si caccia questa
famiglia Colombo non si finirebbe mai. Immaginatevi, per esempio, il
ritorno a casa in motocicletta della signora Teresa e di sua figlia
Mabilia, eletta "miss" poche ore prima.
Mabilia è di già ripiombata nella sua frivola apatia, e che cosa ha fatto
la signora Teresa alla festa, mentre la figlia foileggiava? Si scopre che
ha raccolto i turaccioli delle bottiglie di spumante, che in casa possono
sempre servire.
Ora il ritorno è triste, la vita riprende la sua routine. O immaginatevi
le nozze di Mabilia, che si sposa senza amore, forse perché "i suoi morti
hanno aperto gli occhi" e hanno deciso di sistemarla: che si ha un bel
folleggiare ma un marito ci vuole.
E immaginatevi infine la stupenda scena delle nozze, con quella signora
Teresa che "ha fatto il bagno" e con l'invidiosa e trascurata Enrichetta
che ha riempito il cortile di panni stesi per declassarlo agli occhi degli
invitati. Vogliamo dire che dallo spettacolo si ricava insomma una
commedia.
Ma la buona fede dell'autore, il suo senso naturale e "attuale" dello
spettacolo hanno salvato dalle tristezze del teatro dialettale questi
personaggi mettendoli a puntate in una rivistona sgangherata e
stupefacente, che è proprio lo schema in cui certe stravaganze, certi modi
popolari possono oggi esprimersi fuori del compiacimento letterario,
seppure allo stato brado.
http://www.retecivica.legnano.mi.it/reteciv/martinella/Articoli/flaiano.htm
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