Sassuolo, 28/06/2007 ore 14:56:48
Musica
Il TEATRO CARANI chiude : HA VINTO LA BARBARIE
Sassuolo:
capitale mondiale per la produzione delle piastrelle d'arredamento
spalanca le braccia alla nuova barbarie, rinunciando al proprio Teatro.
Il 30 giugno chiude, dopo 77 anni di attività, il Teatro Carani, tempio
della cultura di una città un tempo felicemente agricola, oggi
tristemente arricchita, non senza aver pagato drammatici tributi
all'inquinamento.
Non solo dell'aria, ma anche delle idee.
Nel momento in cui ci stiamo battendo per scongiurare, in tutta Italia,
che non avvenga la perdita della memoria della nostra cultura, ben
coscienti che un popolo senza la coscienza delle proprie radici
culturali è facile preda di ogni imbarbarimento, Sassuolo - fiore
all'occhiello dell'intraprendenza della provincia di Modena - si getta
alle ortiche.
Non sono bastate le raccolte di firme, le migliaia di petizioni, gli
articoli sulla stampa - non sempre convinti, devo dire, come se chi
scriveva fosse ammanettato da interessi editoriali perversi - per
evitare che una città si trovasse decapitata dell'unica sua bandiera
culturale.
Dell'unica sua bandiera di libertà di pensiero, come il Teatro dei
Fratelli Carani, industriali d'altri tempi e di altre nobiltà etiche.
Un teatro che dal 1930 aveva portato, mantenendo livelli altissimi,
tutto quel che fa spettacolo in questa città sempre piu' morta, che
fingerà a breve di essere viva con le falsi notti popolari dell'estate.
Al Teatro Carani era di casa il grande cinema e la grande prosa, il
miglior teatro leggero e quel teatro della musica che è la sola arte
originale mai creata dalla civiltà italiana.
Un'arte di cui si va perdendo coscienza, grazie dll'imbecillità dei
mass media, TV in particolare, che non le consente spazi, e quando
deroga da questa assenza lo fa in modo osceno accettando in video solo
soprani distrutti come Katia Ricciarelli e Cecilia Gasdia, che non
meritano neppure l'onore delle armi per il loro troppo breve e
tormentato passato.
Personalmente ricordo gli entusiasmi di Giorgio Gaber e di Pierangelo
Bertoli per questo teatro che amavano profondamente, come l'ha amato
Luciano Pavarotti che non gli si è mai negato, o attori immensi come
Tino Buazzelli e Valeria Morric oni.
Ma la storia di un teatro non è fatta di sole punte di diamante e nel
momento che si dve celebrare il funerale del Carani rendiamo almeno
omaggi a tutti quei lavoratori dello spettacolo che qui hanno vissuto
felicemente brandelli importanti della loro vita.
I professionisti e i dilettanti, perchè Sassuolo, quando pulsava di
attività culturali, qui aveva la sua vetrina anche per chi lo
spettacolo lo viveva solo come amatore.
Io stesso non saprei immaginare la mia vita di operatore del teatro e
di quello della musica in particolare, senza il Teatro Carani di
Sassuolo dove ho messo piede per la prima volta nel 1973 collezionando
un numero possente di presenze che mi facevano credere di poterne
festeggiare addirittura cento.
In tempi nei quali si fa tanto chiasso per abolire in tutto il mondo la
pena di morte, e con lei anche l'uso ancora troppo diffuso della
tortura sistematica dei prigionieri, Sassuolo ha condannato a morte il
proprio teatro e con lui alla miseria culturale l'intera sua comunità e
quella delle città e paesi vicini che qui facevano capo per la
ricchezza delle programmazioni e la garanzia della qualità
intellettuale.
Chiudere un teatro è invitare l'individuo a chiudersi ancor piu' nel
proprio guscio, isolarsi in casa, o stordirsi fino all'incoscienza -
quella che i piu' inseguono ora come miglior scelta di vita nel lavoro
e nel privato - nei grandi raduni agli stadi dove lo spettacolo è
servito come un terremoto, un esempio e magari un invito di quel che
può offrirci il dilagante mondo delle droghe.
Quelle che si prendono sempre piu' spesso per bocca (o per naso), non
avendo piu' alcuna forza nel pensiero immiserito nella fuga da ogni
cultura.
So di aver gettato parole al vento.
So di non aver salvato neppure un millimetro dell'intonaco del Carani.
So di essermi guadagnato antipatie, ghignate e, dai piu' gentili, spallucce.
Ma so che solo esercitando la mia libertà di pensiero e di parola continuo a sentirmi vivo.
E magari anche a sperare.
(per cortese concessione del musicologo Daniele Rubboli)
fonte: Artes et Artificia, a cura di Mario Mainino
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