Amici della Musica di Galliate
Venerdì 17 maggio 2024 ore 21.00
Presso la Domus Mariae
Via Bianca di Caravaggio, 4, 28066 Galliate NO
Omaggio a Giacomo PUCCINI (1858-1924)
nel centenario della scomparsa:
“Turandot la pura e
… l’impossibile speranza”
Opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
A cura di Mario Mainino
- introduzione e commenti all'opera -
Ingresso libero
Giornalista, promotore culturale e titolare del sito www.concertodautunno.it, nonché presidente della omonima Ass.Culturale di Vigevano, si occupa da anni di divulgazione della cultura musicale. Ha tenuto conferenze in varie sedi di Ass. culturali, enti e biblioteche nonché corsi di storia della musica, tra gli altri per il Comune di Milano nell‘anno 2008.
Presenta concerti ed organizza eventi musicali come consulente artistico. Dal 2008 ha affrontato l‘esperienza di regista di opere liriche. E‘ stato invitato a parlare in diversi Festival come a Valverde Lirica, Villa Litta di Arconate, Armonie sul Lago a Pella, Bellano Lirica, Scala.
Da una lettera di Puccini del 18 marzo 1920 dove si evince come il progetto Turandot risalisse a poco tempo prima della primavera dello stesso anno quando poi i tre creatori: Puccini, Simoni, Adami si incontrarono a pranzo.
“Caro Simoni, ho letto Turandot, mi pare che non convenga staccarsi da questo soggetto. Ieri parlai con una signora straniera, la quale mi disse di questo lavoro dato in Germania con «mise en scène» di Max Reinhardt in modo molto curioso e originale. Scriverà per avere le fotografie di questa «mise en scène», e così vedremo anche noi di che cosa si tratta. Ma per mio conto consiglierei di attaccarsi a questo soggetto.
Occorre semplificare il numero degli atti da 5 a 3 e lavorarlo per renderlo snello, efficace e soprattutto esaltare la passione amorosa di Turandot che per tanto tempo ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgoglio”.
L'opera lirica si pone di fronte al testo letterario su posizioni estremamente stravolgenti, se come opera di un genio.
Un esempio per me molto interessante da esaminare potrebbe essere "Turandot" di Giacomo Puccini, che a Vigevano é stata presentata nella versione dell'Opera di Stato di Vienna, che ho visto sia alla Scala nella versione di Zeffirelli, sia due volte a Verona.
Per me è geniale chi produce dei lavori, delle proprie espressioni, che vanno oltre l'uso cosciente di una tecnica o di una scienza acquisita, ad esempio l'artigiano abilissimo che in Cina produce una sfera di legno lavorata e traforata in modo da ricavare all'interno una sfera di diametro inferiore é sicuramente molto abile ma la genialità era tutta del primo che ha inventato questa tecnica.
Alcuni anni fa ho visto in teatro una recita della Turandot di Gozzi ed avevo in precedenza ascoltato la versione di Busoni, molto attinente al testo di Gozzi.
Nel 1926 appare la versione di G. Puccini, l'uomo dalle repliche felici, la sua Bohème fà dimenticare quella di Leoncavallo, la sua Manon Lescaut rivaleggia degnamente con quella di Massenet (e di Auber), ora la sua Turandot fà subito dimenticare quella di F.Busoni.
Ma se questa nuova opera supera la omonima, rischia anche di seppellire e di chiudere, come poi in realtà è in buona parte avvenuto; la storia dell'opera lirica in attesa di un nuovo genio moderno forse mai più nato almeno se consideriamo i titoli entrati in repertorio dopo la morte di Puccini.
Nella produzione pucciniana si è soliti distinguere alcune fasi principali, la “fase giovanile” dei tormentati esperimenti delle Villi e dell'Edgar: una “fase romantica e borghese", cui appartengono Manon Lescaut, La bohème, Tosca, Madama Butterfly, opere fondate sulla poetica delle piccole cose, su personaggi di psicologia minuta, inseriti in ambienti ben variati e identificati dal colore musicale generale dell'opera; la “fase del rinnovamento” vocale e sinfonico in senso modernista realizzato nei lavori della piena maturità (Fanciulla del West, Trittico e Turandot).
Renato Simoni, Giacomo Puccini e Giuseppe Adami (Authors Foto Lebrecht)
Giacomo Puccini ha avuto il destino più felice di tutti i giovani compositori che seguono il grande periodo verdiano, perché rimane l’unico ancora rappresentato in tutti i teatri del mondo con più di un titolo e la sua Bohème gareggia ogni anno con Traviata per contendersi il podio dell’opera più rappresentate nell’anno.
Tutti gli altri suoi contemporanei sono rimasti in repertorio con uno o due titoli al massimo. Perché dunque tale successo? Perchè a differenza degli altri non ha mai seguito delle mode anche se molto attento a quanto succedeva in Europa e oltreoceano, cercava di produrre all’interno dei suoi lavori tutte quelle sperimentazioni che erano necessarie alla migliore rappresentazione dei sentimenti che voleva illustrare senza farle vedere.
Ancora una volta, come in Verdi “Creare il vero”, noi non ce ne accorgiamo, ma i tecnici della composizione sanno cosa si nasconde nella musica di Puccini.
[citazione] Dopo Turandot l’Opera muore, non solo il suo autore.
Le Opere di Puccini sono le più eseguite, soprattutto in America. Questo semplice dato statistico ci fornisce una prima chiave di lettura del fenomeno Puccini: il suo essere famoso equivale alla sua abilità nell'andare incontro ai gusti del pubblico, abilità musicale ma anche da esperto di comunicazioni di massa.
Il pubblico che ama Puccini è quello che Adorno definisce "ascoltatore emotivo" per il quale la musica è promessa di emozioni e mai, come nell’epoca dello spettacolo, le emozioni sono decisive per il successo di un lavoro e Puccini sa dispiegarne a piene mani di commozioni e tenerezze, di struggimenti e turbamenti anche quelli forti.
Quando al termine di Bohème ci si commuove fino alle lacrime, vuol dire che il meccanismo ha funzionato, e ci siamo veramente sentiti coinvolti.
Puccini nacque a Lucca da una famiglia di musicisti. Si trasferì a Milano per studiare al Conservatorio dove ebbe compagni come Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli con i quale divideva spesso e volentieri la tavola e la zuppa fagioli con il buon olio toscano che gli mandavano da casa, e da studente partecipò a numerosi spettacoli alla Scala. Scrisse la sua prima opera-ballo in due atti Le villi per il Concorso Sonzogno - lo stesso che decretò il successo della “Cavalleria Rusticana” di Mascagni - ma sebbene l’opera fu respinta dalla giuria, fu rappresentata il 31 maggio 1884 al Teatro Dal Verme di Milano e convinse Giulio Ricordi (noto scopritore di talenti) ad assumere Puccini.
La sua seconda opera, Edgar (1889) fu un fallimento, ma ottenne un grande trionfo con Manon Lescaut (1893) a Torino, ma purtroppo in quella occasione il successo di Puccini durò meno di dieci giorni perché debuttò alla Scala l'ultima opera di Giuseppe Verdi il “Falstaff” e tutto l’interesse della critica si indirizzò su quello straordinario evento dimenticandosi di Puccini e della sua Manon.
Mentre completava Manon Lescaut, Puccini iniziò una fruttuosa collaborazione con i librettisti Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, con i quali scrisse probabilmente le sue tre più grandi opere: La bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904 e successive versioni).
Dopo la morte di Giuseppe Giacosa, nel settembre del 1906, Puccini faticò a trovare nuovi soggetti e collaboratori. Tuttavia, continuò a creare opere come La fanciulla del West (1910 la prima opera rappresentata oltre oceano, che lo vide impegnato in una lunga crociera per raggiungere l’America che gli piacque molto per il trattamento da sultano ricevuto e l’ottimo cibo), segui la "commedia lirica" La rondine (1917) e il suo progetto più ambizioso, le tre opere in un atto Suor Angelica, Tabarro e Gianni Schicchi che compongono Il trittico (1918).
Gli ultimi anni di Puccini furono trascorsi lavorando alla sua ultima opera Turandot , ambientata nell'antica Cina che Puccini non completò mai perché morì di cancro alla gola a Bruxelles nel 1924 mentre lavorava al duetto d'amore finale.
Turandot ebbe la sua prima rappresentazione due anni dopo la sua morte, in una versione completata da Franco Alfano e diretta da Arturo Toscanini al Teatro alla Scala di Milano.
Nel 2001 per dare una nuova vita all’opera - e per mettere nuovi diritti d’autore sulle successive esecuzioni - Luciano Berio scrisse una sua versione del finale, abbastanza interessante, anche se registicamente fu rappresentata in un modo per me orribile, ma che modificò la chiusura eliminando i coro “Diecimila anni al nostro imperatore” e chiudendo in mestizia il duetto tra Turandot e Calaf.
Giacomo Puccini come produttore è alla pari di Vincenzo Bellini, con soli dieci titoli (considerando il Trittico come opera unica).
Questo non perchè era uno “sfaticato” ma il mondo dell’opera non era più lo stesso, era nato il "repertorio" con la esecuzione di opere di anni precedenti e la richiesta di nuove produzioni calava, inoltre il lavoro del compositore era diventato più complesso per la scelta dei soggetti e la composizione attenta a quanto succedeva nel panorama musicale mondiale.
Confrontando la produzione di titoli operistici contemporanei o precedenti il lavoro di Puccini ci possiamo accorgere di una stranezza nelle nostre valutazioni odierne che ci fanno pensare a Puccini come un compositore “di vecchio stile”, infatti troviamo quasi contemporaneo a TOSCA il PELLEAS di Debussy, e quasi contemporanee a BUTTERFLY opere come SALOME ed ELEKTRA di R.Strauss.
Data | Titolo | Tratto | Città | Teatro |
1856-02-23 | Manon Lescaut di Daniel-François-Esprit Auber (1782-1871) | libretto di Eugène Scribe, dal romanzo Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut di Antoine-François Prévost, Opéra-comique in tre atti | Parigi | Opéra-Comique |
1865-06-10 | Tristan und Isolde di Richard Wagner (1813-1883) | libretto proprio, Azione in tre atti | Monaco | Königliches Hof- und Nationaltheater |
1868-03-05 | Mefistofele di Arrigo Boito (1842-1918) | libretto proprio, da Goethe, Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo | Milano | Teatro alla Scala |
1871-12-24 | Aida di Giuseppe Verdi (1813-1901) | libretto di Antonio Ghislanzoni, Opera in quattro atti | Il Cairo | Teatro dell’Opera |
1884-01-19 | Manon di Jules Massenet (1845-1912) | opera lirica in cinque atti e sei quadri su libretto di Henri Meilhac e Philippe Gille | Parigi | Opéra-Comique |
1884-05-31 ** 01 ** | Le Villi | Opera-ballo in due atti su libretto di Ferdinando Fontana | Milano | Teatro Dal Verme |
1889-04-21 ** 02 ** | Edgar | Dramma lirico in tre atti su libretto di Ferdinando Fontana, dal poema drammatico La coupe et les lèvres di Alfred de Musset | Milano | Teatro alla Scala |
1890-02-18 | Damnation de Faust, La di Hector Berlioz (1803-1869) | libretto proprio, di Almire Gandonnière e Gérard de Nerval, da Goethe, Leggenda drammatica in quattro parti e dieci quadri | Montecarlo | Théâtre du Casino |
1890-05-17 | Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni (1863-1945) | libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, dal dramma omonimo di Giovanni Verga, Melodramma in un atto | Roma | Teatro Costanzi |
1890-12-06 | Troyens, Les di Hector Berlioz (1803-1869) | libretto proprio, da Virgilio, Grand-opéra in due parti e cinque atti | Karlsruhe | Teatro di corte |
1892-02-21 | Mala vita di Umberto Giordano (1867-1948) | libretto di Nicola Daspuro, dalla commedia omonima di Salvatore Di Giacomo e Goffredo Cognetti, Melodramma in tre atti | Roma | Teatro Argentina |
1892-05-21 | Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (1857-1919) | libretto proprio, Dramma in un prologo e due atti | Milano | Teatro dal Verme |
1893-02-01 ** 03 ** | Manon Lescaut | Dramma lirico in quattro atti, su libretto di autore anonimo (cui collaborarono Giuseppe Giacosa, Luigi Illica, Ruggero Leoncavallo, Domenico Oliva, Marco Praga, Giacomo Puccini, Giulio Ricordi), dal romanzo Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut, di François-Antoine Prévost | Torino | Teatro Regio |
1893-02-09 | Falstaff di Giuseppe Verdi (1813-1901) | libretto di Arrigo Boito, dalla commedia The merry Wives of Windsor e dal dramma The History of Henry the Fourth di Shakespeare Commedia lirica in tre atti | Milano | Teatro alla Scala |
1896-02-01 ** 04 ** | La Bohème | Opera in quattro "quadri" su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ispirato al romanzo di Henri Murger Scene della vita di Bohème | Torino | Teatro Regio |
1896-03-28 | Andrea Chénier di Umberto Giordano (1867-1948) | libretto di Luigi Illica, Dramma storico in quattro quadri | Milano | Teatro alla Scala |
1900-01-14 ** 05 ** | Tosca | Melodramma in tre atti, Libretto di Victorien Sardou, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa tratto dal dramma La Tosca (1887) di Victorien Sardou | Roma | Teatro Costanzi |
1902-04-30 | Pelléas et Mélisande di Claude Debussy (1862-1918) | dal dramma omonimo di Maurice Maeterlinck Drame lyrique in cinque atti e dodici quadri | Parigi | Opéra-Comique |
1902-11-06 | Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea (1866-1950) | libretto di Arturo Colautti, dalla commedia di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé Opera in quattro atti | Milano | Teatro Lirico |
1904-02-17 ** 06 ** | Madama Butterfly | Tragedia giapponese in tre atti, libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa tratto dal racconto Madame Butterfly (1898) di John Luther Long e dalla tragedia giapponese omonima (1900) dello stesso Long e di David Belasco Poi nelle versioni successive in due atti. | Milano | Teatro alla Scala |
1905-12-09 | Salome di Richard Strauss (1864-1949) | libretto di Hedwig Lachmann, dal poema omonimo di Oscar Wilde, Dramma in un atto | Dresda | Königliches Opernhaus |
1909-01-25 | Elektra di Richard Strauss (1864-1949) | libretto di Hugo von Hofmannsthal, da Sofocle, Tragedia in un atto | Dresda | Königliches Opernhaus |
Il viaggio oltre oceano …
1910-12-10 ** 07 ** | La fanciulla del West | Opera in tre atti; libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, dal dramma The girl of the Golden West (1905) di David Belasco | New York | Metropolitan Opera House |
1911-06-12 | La fanciulla del West | Opera in tre atti; libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, dal dramma The girl of the Golden West (1905) di David Belasco | Roma | Teatro Costanzi |
1917-03-27 ** 08 ** | La rondine | opera lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Adami. | Monte Carlo | Opéra |
1917-05-11 | Turandot di Ferruccio Busoni (1866-1924) | libretto proprio, da Carlo Gozzi, Fiaba cinese in due atti | Zurigo | Stadttheater |
1918-12-14 | Gianni Schicchi | Opera in un atto su libretto di Giovacchino Forzano | New York | Metropolitan |
1918-12-14 ** 10 ** | Il tabarro | Opera in un atto su libretto di Giuseppe Adami | New York | Metropolitan |
1918-12-14 ** 11 ** | Suor Angelica | Opera in un atto su libretto di Giovacchino Forzano | New York | Metropolitan |
L’ultima fase …
Data | Titolo | Tratto | Città | Teatro |
1919-10-10 | Frau ohne Schatten, Die di Richard Strauss (1864-1949) | libretto di Hugo von Hofmannsthal(La donna senz’ombra) Opera in tre atti | Vienna | Staatsoper |
1924-05-01 | Nerone di Arrigo Boito (1842-1918) | libretto proprio, Tragedia in quattro atti | Milano | Teatro alla Scala |
1925-05-21 | Doktor Faust di Ferruccio Busoni (1866-1924) | libretto proprio, Poema per musica in due prologhi, un intermezzo e tre quadri | Dresda | Staatsoper |
1926-04-25 ** 12 ** se Trittico conta per una. | Turandot | Dramma lirico in tre atti libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni tratto dall'omonima fiaba teatrale (1762) di Carlo Gozzi – incompiuta alla morte di Puccini, completata da Franco Alfano diretta da Arturo Toscanini | Milano | Teatro alla Scala |
1927-05-30 | Oedipus rex di Igor Stravinskij (1882-1971) | libretto di Jean Cocteau, nella traduzione in latino di Jean Danielou, Opera-oratorio in due atti | Parigi | Théâtre Sarah Bernhardt, 30 maggio 1927 |
1935-01-16 | Nerone di Pietro Mascagni (1863-1945) | libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti, dalla commedia omonima di Pietro Cossa, Opera in tre atti | Milano | Teatro alla Scala |
1957-06-06 | Moses und Aron di Arnold Schönberg (1874-1951) | libretto proprio, Opera in tre atti | Zurigo | Stadttheater |
Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924) è l’erede di una famiglia di diverse generazioni di musicisti. La sua arte, come ebbe a dire di se stesso, doveva essere tutta per il palcoscenico anche se in gioventù ebbe l’opportunità di fare qualche esperimento in campo sinfonico e in quello della musica sacra. In quasi 40 anni di attività compositiva diede alla luce "solo 10/12 opere", un po' pochino rispetto ad un autore dell’800 come ad esempio Donizetti che ne scrisse una 70ina. Ma i tempi erano cambiati e non si scriveva più un’opera in una o due settimane, occorrevano anni per la ricerca del libretto e la composizione si era fatta sempre più complicata dovendosi confrontare con le diverse nuove esperienze musicali europee. Tra l’altro dei suoi lavori sono rimasti in repertorio solo Bohème, Butterfly, Tosca e Turandot, la sua opera incompiuta dove l'ultimo duetto ed il finale dell'opera sono stati completati, basandosi sugli appunti lasciati, da Franco Alfano dopo la morte di Puccini e su precisa richiesta di Arturo Toscanini che l’avrebbe diretta alla Scala di Milano. |
La prima rappresentazione di Turandot ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano, il 25 aprile 1926, sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale, profondamente commosso, solo alla prima sera arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso "Liù, poesia!", sussurrando al pubblico le parole:
"Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto".
Mario Mainino
Il teatro di regìa, che Puccini frequentò in Francia alla scuola di Carré, a sua volta prende, almeno in parte, le mosse da un dato di fatto nelle opere d’allora: il mutato ruolo dell’ambiente, che diviene oggetto delle attenzioni di molti compositori a cavaliere del secolo.
Nel legarsi alla realtà europea del teatro fin de siècle, anzi imponendosi nei palcoscenici europei e mondiali, insieme a Richard Strauss, Puccini affrontò i problemi d’attualità, primo fra tutti lo spettacolo operistico che muoveva i suoi primi passi verso il teatro di regìa – col relativo contorno di una scenotecnica sempre più raffinata – e sempre più a fianco della musica nel definire i contorni dell’opera.
Puccini impiegò in Turandot,sette temi originali, badando soprattutto alla coerenza dell’impianto fiabesco: tutto il dramma sta nello stile musicale ‘orientale’, ed ogni personaggio vive all’interno di quel mondo sonoro.
È opportuno usare il sostantivo esotismo nell’accezione di «elemento, motivo, e simili, straniero in arte letteratura e simili» l’impiego di questi temi è dovuto a un’intima esigenza del proprio linguaggio compositivo.
La musica dei tre ministri, Ping Pong Pang, maschere della commedia dell’arte ‘naturalizzate’ cinesi, «Notte senza lumicino» conferisce un sapore marionettistico ai personaggi, l’uso di strumenti come Glockenspiel con Celesta Triangolo Tamburo che danno il colore esotico, al «Si sgozza» spunta lo Xilofono, «Si sgozza» che rima con "scapitozza", e qui fa capolino l’arpa.
[ citazione Michele Girardi, Torino, 11 giugno 1998 https://www.operaeducation.org/gallery/turandotdispensainsegnatilow.pdf]
Per capirlo basta guardare alla struttura dei sette temi originali:
Consultabile qui https://archive.org/details/cu31924067290001
L'origine della musica può essere attribuita per la sua natura a tempi coevi alla comparsa dell'uomo sulla terra. In effetti, cos’è la musica? Ascolta gli accenti della Natura! Ascolta il mormorio dei ruscelli, il sussurro delle foglie degli alberi, il gemito dei venti, il lontano rombo del tuono, la risonante maestosità dell'oceano! Notate il belato delle pecore timide, il muggito degli armenti, il canto dell'allodola, la cadenza animata dell'usignolo! Che cosa sono tutte quelle voci se non musica, se non un concerto, un inno che impressiona l'anima e la eleva all'ideale di infinita bellezza? [incipit del testo di J. van Aalst ]
(mm) Melodie cinesi che ispirarono Puccini
Quando i “registi di genio” affrontano Turandot, lo vedremo più avanti nelle note di presentazione di una regia a Novara, si trovano disorientati dalle figure dei tre ministri Ping, Pang e Pong. Infatti perdendo il nome originale che avevano nella commedia di Gozzi perdono il loro legame con l’Italia.
Vorrei sottolineare che Venezia aveva avuto esperienza di contatti commerciali con la Cina da secoli, ed era abituata a vedere propri concittadini diventare importanti figure presso le corti orientali. Un nome per tutti Marco Polo.
Quindi Gozzi mette in scena si le maschere dell’arte ma come “ministri” dell’Imperatore della Cina qui celebrando la grandezza degli “italiani all’estero”.
Padre Matteo Ricci (Macerata, 6 ottobre 1552 – Pechino, 11 maggio 1610) è stato un gesuita, matematico, cartografo e sinologo italiano. È stato proclamato Servo di Dio il 19 aprile 1984 da papa Giovanni Paolo II, mentre il 17 dicembre 2022 gli viene attribuito il titolo di Venerabile da papa Francesco. E’ stato un religioso italiano che in Cina si adeguò ai costumi locali non imponendo le proprie idee ed imparò la lingua divenendo un venerabile molto apprezzato. https://www.concertodautunno.it/180718-macerata-opera-festival/180718_mof-macerata-prefestival.html Orologio di Padre Matteo Ricci donato all’Imperatore della Cina - 18 luglio 2018 fotografato a Macerata #mariomainino |
Antefatto: nonostante che, durante un viaggio a Londra nel 1919, Puccini avesse visto molte opere, che gli avrebbero potuto suggerire un'opera a tema cinese, Puccini apparentemente ebbe l’idea di traslare la tragi-commedia di Carlo Gozzi, Turandotte, scritta intorno al 1763, in opera, durante un incontro a pranzo a Milano con due librettisti, con i quali stava lavorando ad un altro progetto.
Nella stesura del libretto Puccini volle affiancare a Simoni l’ormai collaudato Giuseppe Adami, intendendo così ristabilire quella collaborazione a tre, tra ideatore della trama (Simoni), versificatore (Adami) e musicista (Puccini), che già era stata il metodo di lavoro con Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.
Puccini avrebbe dato uno sviluppo drammatico assai diverso da quello messo in atto, ad esempio, da Ferruccio Busoni “che, per inciso, è assai improbabile che egli avesse avuto modo di conoscere” [su questo ho qualche dubbio in quanto mi sembra di riconoscere in Puccini l’utilizzo di una frase musicale che appartiene all’opera di Busoni].
Nel Luglio 1920 invitò Adami e Simoni a Bagni di Lucca, dove stava trascorrendo parte dell’estate, per ascoltare alcuni brani cinesi registrati in un carillon che apparteneva all’amico BAZZINI, collezionista di arti cinesi e che si era portato dietro dall’Estremo Oriente.
Turandot è l’ultima opera musicata da Giacomo Puccini su libretto, è opera di Giuseppe Adami e Renato Simoni. Simoni aveva fatto avere a Puccini una copia del dramma non nella versione originale di Gozzi, ma in quella di Schiller tradotta nel 1803 da Andrea Maffei.
Il canovaccio completo fu pronto nell’autunno del 1920, il libretto provvisorio del secondo atto già alla fine di giugno del 1922, e Puccini cominciò a lavorarci nel mese di giugno del 1923 appassionandosi alla scena della morte di Liù composta prima ancora che fossero completati i versi.
Esiste in proposito un lunghissimo epistolario che da l’idea della lunga e faticosa elaborazione del testo, alla quale partecipò attivamente lo stesso Puccini. Al momento della morte della seconda parte del terzo atto, dopo la morte di Liù, aveva abbozzato solo alcuni frammenti. Ma fino a quel punto, non solo l’opera era stata già composta nella versione che oggi conosciamo, ma l’opera era completa, anche nell’orchestrazione. Ed è una fortuna che Puccini non avesse atteso la fine dell’opera per strumentarla.
L’orchestrazione del secondo atto la completò infatti nel mese di febbraio del 1924, e iniziò a stendere la partitura del terzo nonostante la parte librettistica del duetto d’amore finale non fosse ancora giunta alla redazione definitiva.
Per completarla sulla base dei pochi, frammentari appunti che Puccini si era portato in ospedale, , 36 fogli di appunti, la Casa Ricordi, su indicazione di Toscanini - che, ancora vivente Puccini, si era impegnato a dirigere la prima che doveva essere nel 1925 – affidò l’incarico a Franco Alfano in accordo con il figlio di Puccini.
Toscanini non fu soddisfatto del primo lavoro svolto, costrinse Alfano ad un rifacimento radicale, oltre a mettere lui stesso mano con altre correzioni nel corso delle prove per la prima del 1926.
Quando si passa da Puccini ad Alfano lo stacco è notevole comunque.
Quando Calaf parte col suo “Principessa di morte!
Principessa di gelo!” il salto stilistico è avvertibile nettamente.
La sera della prima rappresentazione, dopo la morte di Liù e prima di quell’attacco Toscanini posò la bacchetta ed esclamò “Qui finisce l’opera perché a questo punto il Maestro è morto” abbandonando il podio. Ci fu anche un piccolo incidente “politico” – nelle ore che precedettero la “prima” - quando i fascisti milanesi volevano che prima dell’opera Toscanini facesse suonare dall'orchestra “Giovinezza” per salutare la presenza di Mussolini. Toscanini si oppose fermamente. Il braccio di ferro fu poi risolto dall’annuncio che il Duce non si sarebbe mosso da Roma.
Gli interpreti della prima rappresentazione furono Miguel Fleta (eccellente tenore spagnolo morto nel 1938) nel ruolo di Calaf, Rosa Raisa nella parte di Turandot e Maria Zamboni che interpretò Liù.
La regia di Giovacchino Forzano e le scene di Galileo Chini, completarono il cartellone di questa “prima” mondiale.
“Verità e finzione s’amalgamano in un tutto inestricabile: n’esce una fiaba moderna, in bilico tra ironia novecentesca e partecipazione romantica, dove la Turandotte di Gozzi, manipolata sulla base della versione di Schiller, non è che un pretesto per mettere le basi di un nuovo melodramma internazionale.”
Michele Girardi, Torino, 11 giugno 1998
Dalla originaria novella orientale di origine persiane da “Le mille e una notte” ebbero origine diverse altre Turandot, la più importante delle quali è sicuramente quella del veneziano Carlo Gozzi (contemporaneo e antagonista di Carlo Goldoni), che creò per il teatro una sua versione in cinque atti nella quale introdusse, fra l'altro, le maschere della commedia dell’arte di Brighella, Truffaldino, Tartaglia e Pantalone.
Turandot diventa così la Turandotte di Carlo Gozzi, tragicommedia in cinque atti, scritta come altre dal drammaturgo veneziano ed all’origine della violenta disputa letteraria con il rivale Carlo Goldoni. [Cosa significa la Turandot? "fanciulla del Tūrān pianura del Kazakistan" Eroina di una novella iranica che appare in un poema del sec. 13°]
Pomo della discordia, la commedia dell’arte, esaltata da Gozzi e disprezzata da Goldoni.
La commedia, sicuramente la migliore di Gozzi, trovò grande ammirazione negli esponenti del romanticismo tedesco, a cominciare da Goethe e Schiller. Le mille e una notte ill “ciclo persiano” furono la fonte dalla quale Carlo Gozzi trovò “La storia del principe Calaf e della principessa di Cina[o di Persia]” e da quella novella trae la sua versione teatrale.
Nel ‘700 il Gozzi scrisse diverse commedie di cui almeno tre divennero importanti opere liriche:
Purtroppo proprio la modernità del lavoro di Busoni fece sì che la sua versione fosse superata nel gradimento del grande pubblico dalla versione che vide la luce nel 1926, due anni circa dopo la morte di Puccini.
La commedia originaria del Gozzi venne rappresentata per la prima volta il 22/01/1762 al Teatro San Samuele di Venezia e pubblicata a Venezia nel 1762. La storia sembra la stessa ma ci sono profonde differenze come molti più personaggi, le donne che Puccini riduce a due sole, l’importanza dei tre ministri di Turandot Tartaglia, Brighella e Truffaldino che diventeranno Ping, Pang e Pong e un Pantalone come segretario dell’Imperatore Altoum che sparisce nel libretto pucciniano, Altoum che si riduce ad una apparizione, le ancelle di Turandot che confluiscono con carattere completamente diverso in Liù.
La scena si svolge nei sobborghi di Pechino. Protagonista della fiaba, in versi, è la principessa Turandot, figlia dell'imperatore cinese Altoum, la quale, assai bella, ma «sì avversa al sesso mascolino» e così crudele da essere «cagion di barbarie e lutti e lagrime», promette, d'intesa col padre che la vuole maritare a tutti i costi, di andare sposa a quel principe che si fosse rivelato in grado di risolvere tre enigmi; in caso contrario, però, il pretendente sarebbe stato decapitato.
Così succede al povero principe di Samarcanda, vittima dell'atroce gioco; si fa avanti, poi, per tentare di superare la prova, Calaf, principe, ormai decaduto, dei Tartari, il quale, presentatosi senza rivelare il suo nome, riesce nell'ardua impresa di sciogliere gli indovinelli.
Ma Turandot si mostra quanto mai ritrosa a tener fede ai patti («Io morrò prima / d'assoggettarmi a quest'uomo superbo, / pria d'esser moglie»), cosicché Calaf si dichiara pronto a rinunciare a lei, se ella riuscirà ad indovinare il suo vero nome e di chi è figlio.
Turandot subito si impegna a risolvere il quesito, interrogando tutti i presenti; ma non riuscendovi si abbandona ad atti di crudeltà.
Fa incatenare a due colonne il padre di Calaf, Timur, e il precettore Barach, per sapere il nome del principe, ma inutilmente.
Frattanto una schiava di Turandot, Adelma, innamorata, fin da quand'era principessa dei Tartari, di Calaf, pur senza conoscerne il nome, cerca di convincere il principe a fuggire con lei; costui, però, sebbene resista alle lusinghe della giovane, si lascia sfuggire la propria identità, che Adelma per vendicarsi rivela subito a Turandot.
La fanciulla, essendo riuscita a scoprire il nome del principe, gli chiede in un primo tempo il rispetto dei patti, ma poi attraverso una rapida quanto artificiosa metamorfosi psicologica, commossa da Calaf che vorrebbe darsi la morte per disperazione, acconsente finalmente alle nozze, mentre ad Adelma, oppressa dai rimorsi e dalla passione, non rimane che un dolore senza speranza.
L'azione risulta condotta con una certa maestria scenica, anche se spesso si rivela appesantita da indugi retorici che tendono a stilizzare i personaggi così da renderli non sempre credibili.
Le maschere, poi, raramente assolvono alla funzione di muovere realisticamente la scena e appaiono, il più delle volte, come forme rigide, avulse dall'intreccio della vicenda.
Questo lavoro fu rappresentato al Teatro dell’Arte di Milano nel 1982 ma poi scomparve dalle scene teatrali.
Martedì 16 febbraio 1982
Teatro dell'Arte
Viale Alemagna, 6 - Tel. 866.418 MM1 Cadorna/Tram 1-25-30/Bus 60
ATER/Emilia Romagna Teatro presenta
Turandot di Carlo Gozzi
Riduzione di Giancarlo Cobelli
Regia di Giancarlo Cobelli Scene e costumi di Paolo Tommasi
Stagione 1980/81
Miglior spettacolo: Turandot di Carlo Gozzi (Ater - Emilia Romagna Teatro)
Migliore regia: Giancarlo Cobelli per Turandot
Migliore scenografia: Paolo Tommasi per Turandot
Migliore attrice: Valeria Moriconi per Hedda Gabler e Turandot
Certo la più celebre tra le favole con cui Carlo Gozzi intese opporre le esigenze della fantasia e dell'irrazionale al concreto realismo del teatro di Goldoni, Turandot ha inaugurato con vivo successo, nel febbraio scorso, la rassegna che la Biennale Teatro di Venezia ha dedicato al Carnevale della Ragione. Autore della riduzione e della regia, Giancarlo Cobelli ha rivisitato la favola della crudele principessa cinese con un'angolazione di lettura del tutto nuova, in cui vengono sottolineati gli aspetti e le significazioni storiche del mondo narrato e dei personaggi che lo animano: mondo e personaggi che nascono sia dalla fantasia del Gozzi ma anche soprattutto da quella società in cui il Gozzi vive e opera.
Turandot dunque non è piu o non è tanto la donna crudele che per vendicare l'oltraggio subito da un'antenata ha in odio gli uomini e fa decapitare i pretendenti che non risolvono i tre enigmi proposti: essa è "una sorta di divinità crudele ed esigente che si rivolta contro i suoi stessi creatori.
Turandot e la ragione. ovvero la persona che, attraverso qualsiasi gesto non importa quale, compie un atto rivoluzionario." Protagonista dello spettacolo è Valeria Moriconi, affiancata in primo luogo da Antonio Pierfederici, Magda Schiro e Carlo Rivolta.
Scene e costumi a metà strada tra la Venezia dei Dogi e la Cina degli Imperatori sono di Paolo Tommasi.
È testimoniata da numerose rielaborazioni: alla versione tedesca di Friederich Schiller, rappresentata il 30 gennaio 1802 presso il teatro di Corte di Weimar, seguirono gli adattamenti di C. Raymond (1897), K.G. Vollmöller (1911), A. Wolfenstein (1931), M. Rieser (1933) e «La conquista della principessa Turandot» di W. Hildesheimer (1955).
Nel 1965 Umberto Bindi scrive le musiche per "Turandot" di Carlo Gozzi diretto da Beppe Menegatti, con la partecipazione della moglie Carla Fracci, Giulio Brogi, Ottavia Piccolo, Paolo Poli e dei ballerini del Maggio Musicale Fiorentino. Bindi partecipò alla tournée che dura tutta l'estate.
Arnaldo Picchi (Parma, 4 ottobre 1943 – Bologna, 25 ottobre 2006), regista teatrale e drammaturgo italiano, tra i protagonisti della sperimentazione teatrale italiana degli anni settanta del Novecento e tra i fondatori del primo DAMS, a Bologna mise in scena due testi da Carlo Gozzi, nel 1972 “L'amore delle due melagrane” Bologna, Cortile di Palazzo d'Accursio e nel 1973 “Il viaggio meraviglioso ovvero Turandot” da Carlo Gozzi. Bologna, chiesa di Santa Lucia.
Uno spettacolo de “La botte e il cilindro” in collaborazione con l'Ente Concerti De Carolis di Sassari andò in scena per la stagione lirica 2000. TURANDOT da Carlo Gozzi, regia di Pier Paolo Conconi una versione prende le mosse, molto liberamente, dall'opera pucciniana, ma altrettanto molto liberamente va a spaziare, ora per un motivo ora per un altro, sulle tante versioni esistenti.
F. Destouches, musica di scena, 1802
C. M. von Weber, musica di scena, 1809
G. Reissiger, op., 1835
J.V. von Pütthingen, op., 1838
A. Jensen, op., 1864
A. Bazzini, «Turanda», op., (Milano 1867) si basa sulla versione del testo gozziano offerta da Schiller, tradotta da Andrea Maffei
Th. Rehbaum, op., 1888
F. Busoni, op., 1917
G. Puccini, op., 1926
T. Gsovsky, «Prinzessin Turandot», balletto, 1944
G. Blank, «Prinzessin Turandot», balletto, 1952 H. Freund, balletto, 1955
S. Egri, balletto, 1964.
Prima di Puccini, molti altri compositori si erano cimentati con Turandot. Il più conosciuto, l’empolese Ferruccio Busoni – di otto anni più giovane di Puccini ma morto nello stesso anno 1924 – rappresentò quella da lui musicata nel 1919. Ma è un’opera completamente diversa da quella pucciniana, molto più aderente allo spirito della commedia di Gozzi e, per questo, molto apprezzata in Germania che aveva apprezzato la versione di Schiller ma non pari come successo sui palcoscenici mondiali anche se periodicamente rappresentata proprio in coppia con quella di Puccini in occasione di centenari vari come quest’anno 2024 che il Centro Studi Busoni presenterà le due Turandot Busoni&Puccini.
Turandot di Ferruccio Busoni (1866-1924) libretto proprio, da Carlo Gozzi Fiaba cinese in due atti Prima: Zurigo, Stadttheater, 11 maggio 1917 Personaggi: Altoum (B), Turandot (S), Adelma (A), Calaf (T), Barach (B), la regina madre di Samarcanda (S), Truffaldino (T), Pantalone (B), Tartaglia (B); coro.
Il meraviglioso del testo di Gozzi, ossia la natura complessa e articolata al limite dell’inverosimile delle trame teatrali, viene sintetizzato da Busoni in un libretto che riduce la vicenda alle sue linee essenziali. Il musicista sopprime infatti tutti i momenti patetici e molti dei personaggi di contorno (come la maschera Brighella o il vecchio re detronizzato, padre di Calaf), concentra in un unico personaggio quelle funzioni drammatiche che nel testo originale si presentavano in una configurazione triplice (Adelma, ad esempio, è l’unica sopravissuta del trio originario delle confidenti di Turandot).
In Turandot l’ispirazione di Busoni è attratta in modo particolare dalle maschere della commedia dell’arte. Ciascuna di esse conserva i propri tratti tipici: l’intrigante Tartaglia, ovviamente balbuziente, il loquace Pantalone, paludato nella parlata dialettale ricreata nella lingua tedesca del libretto, il petulante eunuco Truffaldino. A loro spetta dare alla vicenda quel carattere buffo e scherzoso che Busoni volle risultasse dominante, come riferisce Pantalone ad Altoum: «Da noi in Italia, maestà, i xe tuti contenti quando che al teatro se va avanti a furia de morti assasinai. Ma capisso che zé de gusti barbari».
Generici spunti settecenteschi sono anche i tempi di gavotta (ad esempio nell’introduzione al secondo quadro del primo atto) e l’andamento di marcia alla turca, che scandisce la conclusione dell’opera nel giubilo collettivo molto lontani dalla ricerca di Puccini sui temi originali, infatti Busoni sembra non decidersi se usare l’ambientazione turca, persiana da cui deriva la novella originaria oppure l’ambientazione cinese dove alla fine si situa nella ultima versione che cita la città di Pechino.
È il tempo delle favole. A Pechino la Principessa Turandot ha fatto il sacro voto di sposare solo il pretendente che saprà sciogliere i tre enigmi da lei proposti; chi sbaglierà pagherà con la vita. La sua crudeltà deriva della tragica fine di una sua antenata Lou Ling, violentata e uccisa da un re barbaro di cui lei si crede la reincarnazione. Per vendicarla, Turandot ha giurato che non apparterrà mai a nessun uomo.
TURANDOT (1924-1926) Dramma lirico in tre atti e cinque quadri di Giuseppe Adami e Renato Simoni Musica di Giacomo Puccini
Personaggi :
La Principessa Turandot Soprano
L’Imperatore Altoum Tenore
Timur – Re tartaro spodestato Basso
Il Principe ignoto (Calaf) suo figlio Tenore
Liù – giovane schiava Soprano
Ping – Gran Cancelliere Baritono
Pong – Gran Provveditore Tenore
Pang – Gran Cuciniere Tenore
Un Mandarino Baritono
Il Principe di Persia
Il Boia Le guardie imperiali – I servi del boia – I ragazzi – I sacerdoti – I mandarini – I dignitari – Gli otto sapienti – Le ancelle di Turandot – I soldati – I portabandiera – Le ombre dei morti – La folla.
Atto I: L’incantesimo
Un Mandarino annuncia il decreto: La legge è questa: Turandot la Pura sposa sarà di chi, di sangue regio, spieghi i tre enigmi ch'ella proporrà. Tra la folla accorsa per vedere la decapitazione del Principino di Persia un vecchio cieco, accompagnato dalla schiava Liù, viene travolto Il mio vecchio è caduto chi m’aiuta. Lo soccorre Calaf, principe in esilio dato per morto, che riconosce in lui il proprio padre, Timur. Quanto la principessa si affaccia per confermare la condanna, alla vista di Turandot, Calaf se ne innamora perdutamente O divina bellezza! O meraviglia! O sogno! Non senti? Il suo profumo è nell'aria! È nell'anima! e decide di tentare la prova. Timur, Liù e i tre ministri dell'Imperatore, Ping, Pong e Pang, tentano invano di dissuaderlo, Calaf è irremovibile. Il vecchio Timur invita la schiava a dissuaderlo Liù parlagli tu. e Liù racconta Signore ascolta tutti i suoi sacrifici per aiutare e salvare il vecchio re, e tutto solo Perché un dì nella reggia m'hai sorriso. Invano ha parlato Liù, Calaf non intende ragioni Non piangere Liù e per lo stesso sentimento d‘amore che è nato in lui improvviso per la gelida Turandot getterà la sua vita e lancia la sfida.
Atto II: La sfida
L’atto si apre con una pagina "difficile" ma musicalmente molto bella: il terzetto di Ping, Pang e Pong che sognano la fine di questo truce periodo, sognano una Casetta nell’Honan dove potersi ritirare in pace dopo le nozze di Turandot ma per ora Già stridon le infinite ciabatte di Pechino ed inizia la scena degli enigmi. Turandot racconta la storia della sua ava In questa Reggia, or son mill’anni e mille, un grido disperato risonò. E quel grido, traverso stirpe e stirpe qui nell’anima mia si rifugiò!… e propone i tre enigmi a Calaf che egli svela.
Atto III: La conquista
Il terzo atto si apre con la famosa romanza Nessun dorma in Pekino. Calaf guarda le stelle e pensa alla sua principessa, ma in Pekino il popolo trema. Le guardie bussano ad ogni porta Il nome o il sangue. Che questa notte passi in fretta tramonta o notte, tramontate stelle, all’alba vincerò. Invano i tre ministri gli offrono tesori e donne per farlo recedere dalla sfida, e quando vengono rintracciati e imprigionati Timur e Liù, che sono stati visti parlare con Calaf, vengono messi alla tortura. Turandot stessa li interroga, ma Liù a Turandot Tu che di gel sei cinta dice Io so il suo nome… M'è suprema delizia tenerlo segreto e possederlo io sola! pur di non rivelarlo si uccide.
Alla prima Toscanini si fermò qui, ma già la sera dopo utilizzò uno dei due finali completati da Franco Alfano. Il sacrificio della giovane schiava turba Turandot, nel cui cuore si è insinuato uno strano sentimento che forse è un principio d'amore per lo straniero. Così, quando Calaf le rivela il suo nome, e la bacia Dal tuo tragico cielo scendi giù sulla terra! Turandot si rivela Vinta, più che dall'alta prova, da questa febbre che mi vien da te! e annuncia al padre che il nome dello straniero è "Amore", tra il giubilo della folla.. Amor! O sole! Vita! Eternità! Luce del mondo e amore! Ride e canta nel sole l'infinità nostra felicità! Gloria a te! Gloria
ATTO I
Un mandarino
Popolo di Pekino! La legge è questa: Turandot la Pura sposa sarà di chi, di sangue regio, spieghi i tre enigmi ch'ella proporrà. Ma chi affronta il cimento e vinto resta porga alla scure la superba testa!
Liù Il mio vecchio è caduto! Chi m'aiuta a sorreggerlo? Il mio vecchio è caduto. Pietà!
Calaf Liù, chi sei? Liù Nulla sono! Una schiava, mio signore… Calaf E perché tanta angoscia hai diviso?
Liù Perché un dì nella reggia m'hai sorriso.
La folla Perché tarda la luna? Faccia pallida!
Mostrati in cielo! Presto, vieni! Spunta! O testa mozza! O squallida! Vieni! Spunta! Mostrati in cielo! O testa mozza! O esangue! O esangue, o squallida! O taciturna! O amante, smunta dei morti!
Ragazzi Là sui monti dell'Est la cicogna cantò.
Ma l'april non rifiorì, ma la neve non sgelò.
Dal deserto al mar non odi tu mille voci sospirar:
"Principessa, scendi a me!
Tutto fiorirà, tutto splenderà!" Ah!
Calaf Ch'io ti veda e ch'io ti maledica! Crudele, ch'io ti maledica! O divina bellezza! O meraviglia! O sogno! Non senti? Il suo profumo è nell'aria! È nell'anima!
Ping, Pong, Pang
Fermo! Che fai? T'arresta! Chi sei, che fai, che vuoi? Va' via! Va', la porta è questa della gran beccheria! Pazzo, va' via! Qui si strozza! Si trivella! Si sgozza! Si spella! Si uncina e scapitozza!
Per una principessa! Peuh! Che cos'è? Una femmina colla corona in testa e il manto colla frangia! Ma se la spogli nuda è carne! È carne cruda! È roba che non si mangia!
Le ancelle di Turandot Silenzio, olà! Laggiù chi parla? Silenzio! Silenzio! È l'ora dolcissima del sonno. Silenzio, silenzio, silenzio! Il sonno sfiora gli occhi di Turandot! Si profuma di Lei l'oscurità!
Ping, Pong, Pang Su! Parliamogli in tre! Notte senza lumicino, gola nero d'un cammino son più chiare degli enigmi di Turandot!
Le ombre dei morti Non indugiare! Se chiami, appare quella che estinti ci fa sognare. Fa ch'ella parli! Fa che l'udiamo! Io l'amo! Io l'amo! Io l'amo! Calaf No, no, io solo l'amo!
Ping, Pong, Pang L'ami? Che cosa? Chi? Turandot? Ah, ah, ah! Turandot! O ragazzo demente! Turandot non esiste! Non esiste che il niente nel quale ti annulli! Turandot non esiste, non esiste!
Liù Signore, ascolta! Ah, signore, ascolta! Liù non regge più, si spezza il cuor! Ahimè, quanto cammino col tuo nome nell'anima, col nome tuo sulle labbra!
Calaf Non piangere, Liù! Se in un lontano giorno io t'ho sorriso, per quel sorriso, dolce mia fanciulla, m'ascolta: il tuo signore sarà domani, forse solo al mondo… Non lo lasciare, portalo via con te!
ATTO II
Ping, Pong, Pang Io preparo le nozze, ed io le esequie, le rosse lanterne di festa, le bianche lanterne di lutto …
Ping Ho una casa nell'Honan con il suo laghetto blu, tutto cinto di bambù. E sto qui a dissiparmi la mia vita, a stillarmi il cervel sui libri sacri. Ping Noi si sogna e il palazzo già formicola di lanterne, di servi e di soldati. Udite il gran tamburo del tempio verde! Già stridon le infinite ciabatte di Pekino.
La folla Gravi, enormi ed imponenti col mister dei chiusi enigmi già s'avanzano i sapienti.
L'Imperatore Un giuramento atroce mi costringe a tener fede al fosco patto. E il santo scettro ch'io stringo gronda di sangue. Basta sangue! Giovine, va'!
Turandot In questa reggia, or son mill'anni e mille, un grido disperato risonò. E quel grido, traverso stirpe e stirpe qui nell'anima mia si rifugiò! Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena che regnavi nel tuo cupo silenzio in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura l'aspro dominio, oggi rivivi in me!
Calaf No, no! Gli enigmi sono tre, una è la vita!
Turandot Figlio del Cielo! Padre augusto! No! Non gettar tua figlia nelle braccia dello straniero! Tua figlia è sacra!
Calaf No, no, Principessa altera! Ti voglio ardente d'amor! Il mio nome non sai. Dimmi il mio nome. Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba morirò…
ATTO III
Calaf Nessun dorma! Nessun dorma! Ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia. Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! All'alba vincerò! Vincerò!
Ping, Pong, Pang Tu che guardi le stelle, abbassa gli occhi… La nostra vita è in tuo potere!
Ping Principessa divina! Il nome dell'ignoto sta chiuso in queste bocche silenti.
Turandot Chi pose tanta forza nel tuo cuore? Liù Principessa, l'amore! Turandot L'amore?
Liù Tanto amore segreto e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me perché ne faccio dono al mio Signore.
Liù Sì, Principessa, ascoltami! Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma vinta, l'amerai anche tu!
Ping Alzati, vecchio! È morta! Timur Ah! Delitto orrendo! L'espieremo tutti! L'anima offesa si vendicherà!
FINALE DELL'OPERA
Calaf Principessa di morte! Principessa di gelo! Dal tuo tragico cielo scendi giù sulla terra! Ah, solleva quel velo!
Turandot Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono! Son la figlia del Cielo libera e pura.
Calaf No, il bacio tuo mi dà l'eternità!
Calaf Mio fiore! Oh, mio fiore mattutino! Mio fiore, ti respiro! I seni tuoi di giglio, ah, treman sul mio petto! Già ti sento mancare di dolcezza, tutta bianca nel tuo manto d'argento...
Turandot È l'alba! Turandot tramonta! Turandot Sì, straniero, quando sei giunto, con angoscia ho sentito il brivido fatale di questo mal supremo.
Turandot Padre augusto, conosco il nome dello straniero! Il suo nome è… Amore!
La folla Amor! O sole! Vita! Eternità! Luce del mondo e amore! Ride e canta nel sole l'infinità nostra felicità! Gloria a te! Gloria a te! Gloria!
F I N E
Renato Simoni (Verona, 5 settembre 1875 – Milano, 5 luglio 1952) | Giuseppe Adami (Verona, 4 febbraio 1878 – Milano, 12 ottobre 1946) |
| “Ripensando alla primissima origine di Turandot, devo dire che essa è nata da un pranzo, nato a sua volta da una delusione. Pranzo intimo a tre, cominciato con celata amarezza e finito tra vividi bagliori di speranze. Simoni ed io dovevamo far vedere a Puccini accoratissimo che la bocciatura d’un progetto di libretto ideato per lui non ci aveva per nulla, non dico offeso, ma nemmeno turbati. Che giudicavamo giusta la sua sentenza di condanna e perciò eravamo disposti a tornare da capo. Non sarei esatto affermando che fosse quello il nostro schietto sentimento, ma il Maestro ci parve sì deluso e dolente di esserlo, che ci proponemmo di togliergli l’incubo attraverso un simposio offertogli da noi: «Questa sera alle otto, alla Fiaschetteria». |
| «Va bene, ragazzi … Sono senza lavoro come un disoccupato, quando torni a Milano, perchè non vi mettete d’accordo Simoni con Adami per cercare insieme qualche cosa di buono per me? Visto che il vostro soggetto, di tipo dickensiano, che, se convince poco voi, non convince affatto me che ci speravo tanto.» |
| Simoni, con uno scatto ed impulsivo, proruppe: «Senti, Giacomo; un’idea. Se pensassimo a Gozzi?… Se ci abbandonassimo a un bel tema fiabesco, inconsueto, fantasioso e bizzarro?… Una grande fiaba che magari riassumesse come in una sintesi le più celebri fiabe che davan tanta noia a Goldoni?». |
| «E perché no?… Una volta ho persino riletto Turandot… Recentemente, in Germania l’ha musicata Busoni. Ma, credo, tale e quale come la rappresentano talvolta i teatri di prosa d’avanguardia, per offrire ai registi decadenti delle possibilità coloristiche e parodistiche». |
| «No…Non così, non sotto questa forma» ribatté Simoni «ma cercando di immettervi tutta quell’umanità di cui Gozzi non s’è mai preoccupato. |
Giacomo Puccini e Renato Simoni si erano incontrati in un ristorante milanese: Puccini era alla ricerca di un soggetto in grado di accenderlo, di infondergli quella forza di cui, sempre più spesso, si sente privo (“[...] Che ingiustizia invecchiare - ne ho proprio rabbia - accidenti! E dire che non voglio arrendermi e a volte mi credo il solito di anni fa! Illusioni e anche un segno… di forza… [...]”) e Simoni aveva proprio quello che serviva. Tra Puccini e la Principessa di gelo è amore a prima vista. Seguono mesi di scrittura intensa, febbrile: “[...] Penso ora per ora, minuto per minuto a Turandot e tutta la musica scritta fino a ora mi pare una burletta e non mi piace più. Sarà buon segno? Io credo di sì”.
Quella che segue è una presentazione dell’opera da parte di un grande teatro che prendo come spunto per analizzare questo ultimo lavoro di Giacomo Puccini
C’era una volta una principessa dal cuore di ghiaccio che metteva alla prova i propri spasimanti con tre enigmi da risolvere.
Più che una donna dal cuore di ghiaccio, Turandot è una fanciulla che è rimasta profondamente turbata dal racconto di uno stupro subito da una sua ava in seguito al quale quella trovò la morte. Dalla profonda condivisione con lo strazio subito dalla sua ava nasce la sua avversione verso l’’universo maschile e quindi il rifiuto posto al padre di acconsentire alle nozze.
Ogni tentativo fallito era punito con la pena capitale fino all’arrivo a corte del principe Calaf, che riesce a decifrare i tre enigmi e conquistare a suon di romanze piene di slancio lirico il cuore dell’algida principessa.
Lo stratagemma ideato da Turandot è quello di porre degli indovinelli promettendo di sposare colui che fosse riuscito a risolverli ma chiedendo in cambio la sua testa se non ci fosse riuscito.
Dicono grottescamente che Calaf riesce a decifrare i tre enigmi e conquistare “a suon di romanze” l’algida principessa, ma il turbamento che Calaf prova alla prima vista di Turandot è comune anche alla stessa che al termine dell’opera rivelerà come essa fu subito turbata dalla sua vista e la conquista definitiva avviene per ammirazione di Liù che testimonia come si possa anche morire per amore e per il turbamento che proverà al suo primo bacio con Calaf altro che … a suon di romanze.
Questo è il plot dell’ultimo capolavoro incompiuto di Giacomo Puccini, Turandot, che si svolge a Pechino al tempo delle favole (la fonte è l’omonima favola di Carlo Gozzi).
Gozzi è una fonte di ispirazione molto molto labile, forse più pertinente con la versione di Busoni che non per quella di Puccini il quale da solo, e/o con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, apportò profondissimi cambiamenti in particolare nella figura di Liù e di Altoum, padre di Turandot.
Puccini non era nuovo alle ambientazioni esotiche e con arte ricrea tutto il fascino di quel mondo lontano utilizzando melodie cinesi originali e impasti timbrici particolari, con un largo impiego in orchestra degli strumenti idiofoni (campanelli, campane tubolari, celesta, xilofono, glockenspiel).
Non sono riuscito a trovare fonti che documentino la conoscenza di Puccini della versione di Ferruccio Busoni ma io lo darei assolutamente per certo visto che almeno un motivo musicale di Busoni viene usato poi da Puccini e non viceversa visto Busoni pubblica nel 1917 e Puccini nel 1924/26.
La musica originale cinese, come l’antica CANZONE DEL GELSOMINO che Puccini mette quasi pari pari in Turandot, sono la testimonianza delle attenzioni del compositore lucchese nel creare musicalmente l’ambiente della sua nuova e ultima opera.
Anonimo Canzone del Gelsomino (millenaria canzone popolare citata da Giacomo Puccini in Turandot nel coro dei ragazzi del I atto "La su i monti dell'est")
Ma mentre stava ultimando il terzo e ultimo atto, la morte lo colse.
Purtroppo nonostante fosse intervenuto ai primi sintomi della malattia recandosi in quello che era l’ospedale più avanzato d’Europa l’operazione chirurgica non fu sufficiente a prolungare la sua esistenza.
Al collega Franco Alfano fu affidato - da Toscanini - il difficile compito di portare a fine quel capolavoro incompiuto.
Toscanini trattò Alfano come un mulo da soma facendogli scrivere e riscrivere il finale, perchè ogni volta non lo soddisfaceva, così attualmente di finali di Alfano ne esistono diversi e sembra che quando finalmente si decise su quale usare per la prima alla Scala all’ultimo momento intervenne lui stesso sulla partitura facendo delle correzioni durante le stesse prove.
L’opera debuttò il 25 aprile 1926 al Teatro alla Scala diretta da Arturo Toscanini che, dopo le ultime battute vergate da Puccini, ripose la bacchetta rifiutandosi di proseguire.
Ahi! ahi! rifiutandosi di proseguire ??? Non credo proprio che Toscanini si rifiutasse di proseguire, visto tutto il lavoro che aveva fatto fare ad Alfano per completare il lavoro e lui stesso aveva fatto provandolo e riprovandolo. ma sicuramente essendo un uomo di spettacolo sapeva benissimo che con un gesto del genere avrebbe avuto un'enorme risonanza mediatica e magari sarebbe passato alla storia, come infatti avvenne, ma già dalla seconda recita eseguì Turandot con il finale “alla Toscanini”.
Con la morte di Puccini si chiudeva l’epoca gloriosa del melodramma italiano e la sua ultima creazione rimasta incompiuta ne simboleggiò l’epitaffio.
Su questo credo proprio di essere d’accordo, già i suoi compagni di scuola avevano un successo solo momentaneo passando alla storia, ed entrando in repertorio, al massimo con un solo titolo ciascuno mentre Puccini da anni con Butterfly, Tosca, Fanciulla e Turandot li sbaragliava tutti.
L’opera si presta molto ad essere interpretata sotto l’aspetto registico per le grandi scene di insieme che presenta, ma ci sono state versioni registica che folli come quella al Coccia di Novara per la regia di Mario Corradi che mise le tre maschere in smoking che sniffano stupefacenti e commise il madornale errore di non prevedere in scena Liù nel momento catartico degli enigmi quando come contraltare al popolo che dice “ .. è per la vita” Liù deve dire “... è per l’amore!” e la poveretta nel bailamme assurdo della scena zeppa di tutti i possibili personaggi era senza di lei che dovette precipitarsi fuori davanti alla prima quinta per farsi vedere e sentire con questa frase.
Turandot è stata rappresentata otto volte al Teatro Coccia di Novara,
la prima nel 1926 lo stesso anno della Scala e l’ultima nel 2015.
Poi i pareri sono del tutto personali e si lesse una critica di questa per me opinabile regia che invece ne esaltò la ideazione a suon di
Vittorio Zambon https://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/novara-teatro-coccia-turandot
note di presentazione del regista di allora Mario Corradi
https://www.vigevano.net/mariomainino/coccia_0304.htm
Nel mettere in scena Turandot il regista deve rispondere a molte domande Per non parlare di tutta una serie di piccoli problemi che nascono da una lunga e deprecabile prassi interpretativa.
Quanto alle maschere, esse per me rappresentano la voce di Puccini che commenta, nello svolgimento dell’azione, con ironia e più spesso con cinismo la fatuità dell’infatuazione amorosa di Calaf.
Sono dei nichilisti, i “viveurs” a cavallo fra i due secoli, forse oppiomani, che si fanno burla delle braccia, delle gambe e dei seni di Turandot e che cercano di convincere Calaf che Turandot “non esiste” perché la vita stessa non è che una pietosa illusione.
Favola a lieto fine? Molto meno di quanto si pensi. E un’ ultima, insoluta domanda: se la morte non lo avesse bloccato, Puccini avrebbe mai scritto il “lieto fine”?
2015-04-20 Turandot Coccia per bimbi
Presentazione ufficiale : Un principe sconosciuto, una principessa bellissima e di ghiaccio, una giovane schiava, tre ministri dell’imperatore cialtroni e impudenti. L’ultima opera del grande Giacomo Puccini si svolge infatti all’interno di una Cina misteriosa e affascinante che si svela attraverso le note come un nastro di seta cangiante che mostri le molteplici facce dell’amore: la passione irrefrenabile di Calaf e la lucida ferocia della principessa, il tenero sentimento di Liù e la costante attrazione per i vincitori del popolo di Pechino, pronto a cambiare idea al minimo mutare degli eventi.
E poi i saggi ammonimenti dei ministri, confusi da una falsa bontà bagnata di ironia a fare da contraltare ad un boia malvagio e sordo davanti a qualunque richiesta di grazia. Uno spettacolo di Venti Lucenti con 450 studenti del Progetto All’Opera… Le scuole al Maggio! Nuovo allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in coproduzione con Venti Lucenti In collaborazione con l’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino Un progetto di Fondazione CR Firenze a cura di Venti Lucenti. In collaborazione con la Fondazione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e l’Assessorato all’Educazione, Welfare e Immigrazione del Comune di Firenze
[citazione] "l'alterigia di una principessa crudele e sghignazzante di fronte al fiume di sangue di cui è causa ed allo stesso tempo una malinconica donna la cui dolcezza viene evocata dal cuore di un'altra semplice donna, schiava della medesima macchina di potere e distruzione che Turandot stessa rappresenta."
Nella frase "Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena", qui Turandot deve esprimere, con una punta di esotica mestizia, il senso di tutto il personaggio: l'invocazione alla bisavola non diventa la giustificazione di Turandot, lei uccide NON perché può farlo, bensì perché vi è costretta da un'ancestrale giuramento a cui vorrebbe a tutti i costi sottrarsi (come l'Imperatore schiava a "un giuramento atroce mi costringe"; la presentazione del crudele personaggio diventa un lamento e un'implicita richiesta d'aiuto.
Turandot è profondamente combattuta nel suo animo. Da una parte vorrebbe porre fine a questo strazio omicida, ma dall'altro è consapevole di poterlo fare solo per amore. Evidentemente, una cosa esclude l'altra. Il problema è che Turandot ha paura dell'amore, e utilizza - provvisoriamente- la scusa dell'eccidio come schermo; ma intanto soffre (forse).
Quando Calaf risolve i tre quesiti, Turandot non si sente tanto ferita nella sua figura di principessa onnipotente, bensì in quella assai più umana di donna, in cui crolla ogni certezza; non sa come agire "Non gettar tua figlia nelle braccia dello straniero".
Il contrasto, dunque, non è tra Calaf e Turandot, ma tra Turandot donna e Turandot principessa, tra la persona umana e quello che rappresenta.
Alla fine, Turandot si dimostra forte e riesce a superare la sua paura dell'amore, ed è trionfo, il trionfo dell'Umano sull'Ignoto, realizzatosi attraverso il sacrificio fisico (morte di Liù). quell'assurdo crescendo-e-poi-diminuendo sul si bemolle finale di "Signore ascolta" della schiava ammalata d'amore.
(tratto da http://www.operaclick.it/recensioni/20021203tumf.htm )
§
Tutte le opere danno dei problemi ma Turandot ne da ancora di più come
Puccini ci ha pensato - Alfano lo ha realizzato (dal commento alla trasmissione RADIOTre
§
Puccini è morto prima di decidere il finale di quest'opera: Alfano/Toscanini prima, Berio dopo e recentissimamente il giovane cinese Hao Weiya hanno proposto delle loro soluzioni per il finale.
E’ come se il finale fosse diventato il quarto enigma: come la facciamo finire??
E’ un favola, anche se piuttosto cruenta visto il sangue che scorre a fiumi, e come ogni favola che si rispetti dobbiamo finire con il classico "E vissero felici e contenti": la bellissima Turandot con il principe tartaro Calaf.
Il vecchio re spodestato Timur forse se lo prenderà in casa la futura nuora Turandot, ma la dolcissima Liù, la schiava che con il suo sacrificio turba la coscienza della principessa di gelo, invece poverina "ci lascia le penne" come dono di nozze.
Quando la Turandot di Gozzi fu tradotta in tedesco da Friedrich von Schiller egli, insieme all'amico Wolfgang Goethe, cambiava ogni sera gli enigmi che la protagonista proponeva ai pretendenti, per il proprio divertimento e per quello degli spettatori del teatro di Weimar.
I nuovi enigmi si devono ai librettisti Renato Simoni e Giuseppe Adami.
GOZZI | PUCCINI + ADAMI + SIMONI |
1) enigma: La ragion! TURANDOT Cos'è che striscia e pur vola, brancola al buio, ma risplende, fruga nel passato, scruta nel futuro, pigra s'indugia, cerca curiosa? Che cos'è ardita, eppur prudente, serena e mite, ribelle e ardente? CALAF Che striscia e vola, brancola ma splende, che pigra sta, che cerca il ver, che un mondo intero crea per sè; ribelle e savia al tempo stesso ell'è: quest'è l'umana ragion! | 1) enigma: La speranza! "Nella cupa notte vola un fantasma iridescente. Sale e spiega l'ale sulla nera infinita umanità. Tutto il mondo l'invoca e tutto il mondo l'implora. Ma il fantasma sparisce coll'aurora per rinascere nel cuore. Ed ogni notte nasce ed ogni giorno muore!" |
2) enigma: La moda! TURANDOT Cos'è costante e mutevol. ier venerata, oggi sdegnata, qua lodata, là spregiata, prima seguita, poi schernita? Quella muta legge svela a me che, pur non imposta, violata non è! CALAF Non ti sdegnar, chè questo pure io so. Mutevol è, eppur costante legge, senso non ha, eppure il mondo regge, e finchè vige ognun la segue e loda; passata, vien derisa: è la moda! PANTALONE Optime: la moda, la moda, la moda! | 2) enigma: Il sangue! "Guizza al pari di fiamma, e non è fiamma. È talvolta delirio. È febbre d'impeto e ardore! L'inerzia lo tramuta in un languore. Se ti perdi o trapassi, si rafredda. Se sogni la conquista, avvampa, avvampa! Ha una voce che trepido tu ascolti, e del tramonto il vivido baglior!" |
3) enigma: L’arte! TURANDOT Che mai, dalle radici dei tempi, dal ceppo antico dell'umanità, sovra i rami del nodoso tronco divina fioritura alfin ci dà? Che molti incanta, che pochi amare sanno, su cui gli eletti potere avranno; del mondo splendor, da tutti bramata, agli uomini in dono dall'alto mandata? CALAF La tua bellezza, o sovrana, fu a turbarmi; colpito fui, ma vinto ancor non sono. Nei tempi ell'ha radice, tronco e rami, ma sovr'essa si schiude alfin un fior meraviglioso; mostrata a ognun, a pochi sol concessa, udita, sentita, bramata e ammirata, divino dono all'uom del ciel pietoso: quest'è ... TARTAGLIA, PANTALONE E ALTOUM Cos'è, cos'è, cos'è? CALAF Questa è l'arte! | 3) enigma: Turandot! "Gelo che ti dà foco e dal tuo foco più gelo prende! Candida ed oscura! Se libero ti vuol ti fa più servo. Se per servo t'accetta, ti fa Re!" Su, straniero, ti sbianca la paura! E ti senti perduto! Su, straniero, il gelo che dà foco, che cos'è?" |
La soluzione potete provare a metterla voi e poi controllerete con i grandi Saggi se sarà quella esatta. Calaf ci riesce e vince in premio la mano di Turandot che, disperata, supplica il padre di non darla allo straniero Cosa umana non sono. Calaf non vuole un moglie schiava e quindi le propone a sua volta un solo enigma: se Turandot riuscirà a scoprire il suo nome prima dell'alba, lui morirà; altrimenti dovrà accettarlo come sposo. |
§§§
E quindi citiamo la versione storica e più sublime di Turandot che sia stata incisa.
L'associazione Amici delle Muse Vigevano organizza per Mercoledì 14 gennaio 2004 ore 21.00 "Turandot la pura" introduzione all'ascolto dell'opera che andrà in scena dal 22 al 25 gennaio 2004 a cura di Mario Mainino "Dio onnipotente mi toccò con il mignolo e mi disse : Giacomo Puccini Sala Conferenze presso Istituto Negrone (entrata dalla Cappella dell'Istituto) Ingresso libero |
Circolo Pavia Lirica Giovedì 28 ottobre 2010 ore 21,00 Sala Associazione Pavia Lirica Viale Lungoticino Lido Sforza, 40 – Pavia Turandotte Attorno a Turandot introduzione all'ascolto dell'opera che è andata in scena al Teatro Arena Sferisterio di Macerata stagione 2006 con la partecipazione straordinaria di Olha Zhuravel, soprano Bruno Taddia, baritono al pianoforte Sachiko Yanagibashi Introduce all’ascolto Mario Mainino |
L'associazione Amici della Musica GALLIATE (No) organizza per il 100 esimo anniversario Venerdì 17 maggio 2024 ore 21.00 "Turandot la pura … e l’impossibile speranza" introduzione all'ascolto dell'opera che andrà in scena a cura di Mario Mainino "Dio onnipotente mi toccò con il mignolo e mi disse : Giacomo Puccini Sala Presso la Domus Mariae Via Bianca di Caravaggio, 4, 28066 Galliate NO Ingresso libero |
Giacomo Puccini
TURANDOT
Cast
Turandot Yeajin Jeon
Il principe ignoto Angelo Villari
Liù Maria Agresta
Timur Riccardo Fassi
Ping Youngjun Park
Pong Matteo Macchioni
Pang Riccardo Rados
Imperatore Altoum Piero Giuliacci
Un mandarino Hao Tian
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici
Fondazione Arena di Verona
Coro di voci bianche A.d’A.Mus.
Direttore d'orchestra Michele Spotti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumista Emi Wada
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofoli
Durata Ca. 2 h 40 min, inclusi 2 intervalli
Tratto da : https://www.arena.it/it/arena-di-verona/turandot
Scene dalla versione registica di Franco ZEFFIRELLI per Verona, ma simile come le regie che ha fatto anche alla SCALA e al METROPOLITAN
A paragone di una scenografia lussureggiante - sin troppo - come quella di Franco Zeffirelli in questi scatti della edizione del Teatro di Piacenza che vidi nel 2003 con l’amica Susanna Branchini come Liù e l’amico Renzo Zulian come Calaf. Lo spettacolo era con regia di Giuseppe Frigeni e scene di Giuseppe Frigeni e Lucia Goj, un allestimento molto essenziale che torna in scena a Piacenza in occasione del centenario della morte di Puccini, con Angelo Villari come Calaf che sosterrà poi lo stesso ruolo alla Arena di Verona.
Turandot è presente in occasione di questo triste anniversario nel cartellone di diversi teatri ed ovviamente anche in quello di Torre del Lago che è totalmente dedicato alla memoria delle opere del compositore lucchese che ha la sua villa lì accanto.
Puccini aveva ragione: sebbene incompiuta, Turandot rimane il capolavoro musicale di tutto il Novecento, nel 70° Festival Puccini, Turandot sarà in scena a Torre Del Lago Puccini , 3, 10, 17 e 23 agosto 2024
Acquista il tuo biglietto su https://www.puccinifestival.it/biglietteria/
MUSICA | FILM |
Turandot: Nessun Dorma | Serenade(1956) |
Turandot: Nessun Dorma (Pavarotti) | Yes, Giorgio (1982) |
Turandot: Nessun Dorma | Urla del silenzio The Killing Fields (1984) |
Turandot: Nessun Dorma | Castaway (1987) |
Turandot: Nessun Dorma | Le streghe di Eastwick Witches of Eastwick (1987) |
Turandot: Nessun Dorma | New York Stories (1989) |
Turandot Citazioni | Toys (1992) |
Turandot: Nessun Dorma | L'amore ha due facce -The Mirror Has Two Faces (1996) |
Turandot Citazioni | Love, etc. (1996) |
Turandot: Nessun Dorma | Programma segreto Shadow Conspiracy (1997) |
Turandot: Nessun Dorma | No one sleeps (2000) regia di Jochen Hick |
Ord. | Opera | Prima | Le arie |
1 | Le Villi | 31/05/1884 | Se come voi piccina io fossi |
2 | Le Villi | 31/05/1884 | Intermezzo sinfonico, II Tempo: "La Tregenda" |
1 | Edgar | 21/04/1889 | Questo amor, vergogna mia (Frank - Atto I) |
2 | Edgar | 21/04/1889 | Addio, mio dolce amor (Fidelia - Atto III) |
1 | Manon Lescaut | 01/02/1893 | Donna non vidi mai, romanza di Des Grieux (atto I) |
2 | Manon Lescaut | 02/02/1893 | In quelle trine morbide, romanza di Manon (atto II) |
3 | Manon Lescaut | 03/02/1893 | Tu, tu, amore? Tu?!, duetto tra Manon e Des Grieux (atto II) |
4 | Manon Lescaut | 04/02/1893 | Intermezzo |
5 | Manon Lescaut | 05/02/1893 | Tra voi belle, brune e bionde, canzone di Des Grieux (atto I) |
6 | Manon Lescaut | 06/02/1893 | Ah, Manon mi tradisce il tuo folle pensiero, romanza di Des Grieux (atto II) |
7 | Manon Lescaut | 07/02/1893 | Sola... perduta... abbandonata, aria di Manon (atto IV) |
1 | La bohème | 01/02/1896 | Che gelida manina, aria di Rodolfo (quadro I) |
2 | La bohème | 01/02/1896 | Sì, mi chiamano Mimí, aria di Mimì (quadro I) |
3 | La bohème | 01/02/1896 | O soave fanciulla |
4 | La bohème | 01/02/1896 | Quando men vo', valzer di Musetta (quadro II) |
5 | La bohème | 01/02/1896 | Donde lieta uscì, aria di Mimì (quadro III) |
6 | La bohème | 01/02/1896 | O Mimì, tu più non torni, duetto tra Rodolfo e Marcello (quadro IV) |
7 | La bohème | 01/02/1896 | Vecchia zimarra, romanza di Colline (quadro IV) |
8 | La bohème | 01/02/1896 | Sono andati? Fingevo di dormire, assolo di Mimì (quadro IV) |
1 | Tosca | 13/01/1900 | Recondita armonia... |
2 | Tosca | 13/01/1900 | Mario Mario, Non la sospiri la nostra casetta... |
3 | Tosca | 13/01/1900 | Qual occhio al mondo... |
4 | Tosca | 13/01/1900 | Tre sbirri, una carrozza, presto Te Deum |
5 | Tosca | 13/01/1900 | Vissi d'arte, vissi d'amore |
6 | Tosca | 13/01/1900 | O dolci mani |
7 | Tosca | 13/01/1900 | E lucevan le stelle |
1 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Dovunque al mondo, romanza di Pinkerton (atto primo) |
2 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Quanto cielo! Quanto mar!, entrata di Butterfly con coro femminile (atto primo) |
3 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Vogliatemi bene, un bene piccolino, duetto tra Butterfly e Pinkerton (atto primo) |
4 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Bimba dagli occhi pieni di malia, Viene la sera, duetto tra Butterfly e Pinkerton (atto primo) |
5 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Un bel dì vedremo, romanza di Butterfly (atto secondo) |
6 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Scuoti quella fronda di ciliegio duetto tra Butterfly e Suzuki (atto secondo) |
7 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Coro a bocca chiusa (atto secondo) |
8 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Intermezzo sinfonico (fra il secondo e il terzo atto) |
9 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Addio fiorito asil, romanza di Pinkerton (atto terzo - assente nella prima versione) |
10 | Madama Butterfly | 17/02/1904 | Tu tu piccolo Iddio, aria di Butterfly (atto terzo) |
1 | La fanciulla del West | 10/12/1910 | Laggiù nel Soledad, romanza di Minnie (atto primo) |
2 | La fanciulla del West | 10/12/1910 | Minnie, dalla mia casa son partito, romanza di Rance (atto primo) |
3 | La fanciulla del West | 10/12/1910 | Una parola sola... Or son sei mesi, racconto di Johnson (atto secondo) |
4 | La fanciulla del West | 10/12/1910 | Ch'ella mi creda libero e lontano, romanza di Johnson (atto terzo) |
1 | La rondine | 27/03/1917 | Magda - atto primo: Chi il bel sogno di Doretta |
2 | La rondine | 27/03/1917 | Ruggero - atto terzo: Dimmi che vuoi seguirmi alla mia casa |
1 | Il tabarro | 14/12/1918 | Hai ben ragione! meglio non pensare ("tirata" di Luigi) |
1 | Suor Angelica | 14/12/1918 | Duetto con Zia Principessa |
1 | Gianni Schicchi | 14/12/1918 | Avete torto! ... Firenze è come un albero fiorito - Rinuccio |
2 | Il tabarro | 14/12/1918 | È ben altro il mio sogno (romanza di Giorgetta) |
2 | Suor Angelica | 14/12/1918 | Senza Mamma |
2 | Gianni Schicchi | 14/12/1918 | O mio babbino caro - Lauretta |
3 | Il tabarro | 14/12/1918 | Nulla! Silenzio! (romanza di Michele) |
3 | Gianni Schicchi | 14/12/1918 | Ah, che zucconi! Si corre dal notaio... - Gianni Schicchi |
4 | Gianni Schicchi | 14/12/1918 | Trio: Spogliati, bambolino - Nella, La Ciesca, Zita |
5 | Gianni Schicchi | 14/12/1918 | Prima un avvertimento - Gianni Schicchi |
6 | Gianni Schicchi | 14/12/1918 | Duet: Lauretta mia, staremo sempre qui! - Rinuccio, Lauretta |
1 | Turandot | 25/04/1926 | Gira la cote!, (coro del popolo e dei servi del boia) |
2 | Turandot | 25/04/1926 | Invocazione alla luna (coro) |
3 | Turandot | 25/04/1926 | Là sui monti dell'est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo Li Hua). |
4 | Turandot | 25/04/1926 | Signore, ascolta!, romanza di Liù |
5 | Turandot | 25/04/1926 | Non piangere, Liú!, romanza di Calaf |
6 | Turandot | 25/04/1926 | Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere |
7 | Turandot | 25/04/1926 | In questa reggia, aria di Turandot |
8 | Turandot | 25/04/1926 | Straniero, ascolta!, scena degli enigmi |
9 | Turandot | 25/04/1926 | Nessun dorma, romanza di Calaf |
10 | Turandot | 25/04/1926 | Tanto amore, segreto e inconfessato [...] Tu, che di gel sei cinta, aria di Liù (in due parti) |
11 | Turandot | 25/04/1926 | Finale ?? Berio? Alfano? |
TURANDOT - Puccini
Corollario documentale delle ricerche
Aprile - Maggio 2024
Mario Mainino
#mariomainino #concertodautunno
Il Melodramma da quando è stato concepito a Firenze fino ad oggi, ha sempre avuto una storia parallela e con molte interazioni rispetto a quella di altri generi musicali, vicina a quella della danza e delle forme di musica applicata e lontana da quella della musica da camera e della cosiddetta “musica pura”.
Il Melodramma è una forma di spettacolo che mette in gioco una serie di elementi (la storia, le scene, i costumi, ecc.) che lo pongono su un piano differente rispetto a quelle forme che tale apparato non hanno e che di sola musica vivono.
L'Opera teatrale si rivolge a un vasto pubblico, perché‚ anche chi non riesce a seguire l'articolazione musicale può essere gratificato dallo svolgersi della storia e dalla sua realizzazione costumistica e scenografica. [almeno sino a quando il delirio dei registi non crea assurdità pazzesche che ne impediscono la comprensione]
La musica operistica ha quindi sempre assunto toni rappresentativi, particolarmente sostenuti negli Autori italiani che, durante il Romanticismo, si dedicano quasi esclusivamente a scrivere questo genere di musica, disattendendo le soluzioni linguistiche più avanzate, è questa la causa della caduta in disgrazia del Melodramma durante il Novecento, infatti il Melodramma viene considerato troppo retorico, troppo legato alla logica ottocentesca e a quella dello spettacolo borghese, mentre le preoccupazioni della gran parte dei musicisti sono rivolte alla ricerca di nuove fonti sonore e alla sperimentazione di inaudite strutture tecnico-formali.
Ma il teatro garantisce loro una comunicazione diretta (attraverso la parola e l'immagine), compensando la carenza semantica della musica.
Tratto da http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=14&quale_dettaglio=179
Giacomo Puccini (Lucca, 23 XII 1858 + Bruxelles, 29 XI 1924)
1858 Giacomo Puccini nasce a Lucca, fu il più importante compositore italiano della generazione post-verdiana. Discendeva da una numerosa casata di musicisti, direttori d'orchestra e compositori.
1876, a soli 13 anni, il giovane Giacomo andò a piedi fino a Pisa, che da casa sua distava circa 20 chilometri, per assistere alla rappresentazione dell'opera più recente di Verdi, Aida. Questo evento si rilevò decisivo per il suo futuro poiché il ragazzo rimase letteralmente estasiato dall'opera.
1880 Puccini si trasferì a Milano, studiò con Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli .Fu assiduo frequentatore di teatri e tramite la mediazione di Catalani entrò in contatto con Arrigo Boito, Franco Faccio, Marco Praga e gli ambienti della scapigliatura. Tra le composizioni di questi anni spiccano un Preludio Sinfonico e un Capriccio Sinfonico scritto come saggio di diploma. Il successo del "Capriccio" favorì l'incontro con il poeta e giornalista Ferdinando Fontana, all'epoca librettista.
1883/4 Dalla loro collaborazione nacquero due opere Le Villi (1883) ed Edgar. Con "Le Villi" Puccini e Fontana parteciparono a un concorso di composizione promosso dalla casa editrice Sonzogno ma non riuscirono a vincere, ma grazie all'intervento del compositore e librettista Arrigo Boito e del drammaturgo Marco Praga, l'opera venne rappresentata il 31 maggio 1884 al Teatro Dal Verme di Milano con il titolo originale Le Willis. Quest'iniziativa suscitò l'interesse dell'editore Giulio Ricordi che gli commissionò l'opera Edgar che, nonostante lo scarso successo, suggellò il legame duraturo tra Puccini e la casa editrice Ricordi.
1893 Puccini ottiene la consacrazione definitiva come operista con Manon Lescaut, tra i lavori pucciniani quello che riscosse più successo. Rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1893 (otto giorni prima del Falstaff di Verdi), con libretto di Ruggero Leoncavallo e la coppia Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Questiultimi, insieme alla consulenza di Ricordi, affiancarono Puccini nella realizzazione delle tre successive opere: La Bohème, Tosca e Madama Butterfly.
1896 al Teatro Regio di Torino, La Bohème non venne acclamata così entusiasticamente come
1889 Edgar
1900 Tosca, va in scena a Roma al Teatro Costanzi
1904 il 17 febbraio Madama Butterfly venne rappresentata a Milano e fu un vero fiasco. Puccini si rese quindi conto che erano necessarie alcune modifiche e infatti, dopo averle apportate, due mesi più tardi la rinata "Butterfly" si rivelò subito un grande successo al Teatro Grande di Brescia.
1903 rimase gravemente ferito in uno dei primi incidenti automobilistici in Italia.
1904 Puccini sposò Elvira Gemignani, la vedova di un commerciante di Lucca, con la quale viveva già dal 1886 e che gli diede un figlio nel 1896. Già dal 1891 la famiglia di Puccini viveva a Torre del Lago, dove rimase fino al 1921.
La prima decade del secolo si rivelò un periodo molto travagliato della vita privata di Puccini.
1906 muore il suo prezioso collaboratore, il librettista Giuseppe Giacosa
1912 muore anche Giulio Ricordi, l'editore che per anni l'aveva saputo indirizzare in modo da sfruttare al meglio le sue qualità.
1909 la moglie Elvira gettò la sua casa nello scandalo accusando Puccini di avere una relazione intima con la loro domestica. Elvira denunciò pubblicamente la povera ragazza che, per l'enorme tensione emotiva, si suicidò. La corte valutò il caso decretando infine l'innocenza della ragazza. Questa esposizione pubblica della sua vita privata turbò Puccini nel profondo e lo gettò in uno stato d'animo d'agitazione: questa fu la causa principale del lungo periodo di inattività prima della sua opera successiva, La Fanciulla del West, basata su dramma di David Belasco.
1910 Da questo dramma Guelfo Civini e Carlo Zangarini scrissero il libretto per La Fanciulla del West che venne rappresentata per la prima volta al Metropolitan Opera di New York nel 1910.
1912 A causa di alcune divergenze d'opinione con Tito Ricordi, figlio di Giulio,Puccini accettò una commissione da parte dei direttori del Karltheater di Vienna per la composizione di un'operetta: venne così prodotta La Rondine. Questa non fu certo una delle opere migliori di Puccini, ma venne comunque accolta calorosamente. Durante la composizione de La Rondine, Puccini iniziò a comporre anche il cosiddetto Trittico, ossia Il tabarro, basato sul libretto di Giuseppe Adami, Suor Angelica e Gianni Schicchi, basati sui libretti di Giovacchino Forzano.
1920 iniziò a lavorare a Turandot, ispirata alla favola teatrale di Carlo Gozzi. Nell'autunno del 1924, quando mancava soltanto il finale dell'ultimo atto per completare l'opera, la sua salute peggiorò a causa di un tumore alla gola che lo obbligò a sospendere il suo lavoro per sottoporsi a un'operazione. Venne curato in una clinica a Bruxelles e inizialmente la terapia seguita sembrò aver successo
1924 Puccini morì il 24 novembre 1924. Turandot venne quindi completata da Franco Alfano, che basò il finale sugli appunti che lo stesso Puccini aveva portato con sé durante il suo ultimo viaggio. Fu proprio Turandot, la sua ultima opera, ad essere accettata a livello internazionale e accolta come un pezzo standard di repertorio. La morte di Puccini fu un lutto per l'Italia intera. Inizialmente il compositore venne sotterrato a Milano, ma nel 1926 il figlio Antonio fece trasferire le sue reliquie a Torre del Lago in una piccola cappella privata della villa sul lago dove Puccini aveva composto i suoi capolavori.
1926 La prima rappresentazione postuma dell'opera al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926 fu diretta da Arturo Toscanini, uno tra i pochi ad aver potuto assistere alla realizzazione del progetto finale dell'autore. Il direttore sospese la rappresentazione proprio nel punto in cui il compositore fu costretto a interrompere il suo lavoro. "Qui è finita l'opera di Giacomo Puccini". Dopo un lungo silenzio dalla platea si alzò la voce di uno spettatore che gridò "Viva Puccini" e partì un applauso: però la conclusione dell'opera, scritta da Franco Alfano, venne messa in scena solo la sera seguente.
In vita sua Puccini non accettò mai di dirigere un'orchestra. Durante tutta la sua vita Puccini ebbe un ruolo molto attivo nelle sue opere, facendosi coinvolgere in prima persona in molte questioni relative alla loro produzione, dalla selezione dei cantanti e dei direttori d'orchestra alla scelta delle sedi di rappresentazione. Girava il mondo per assicurarsi che tutto venisse realizzato correttamente. Questi viaggi lo aiutarono a far pubblicità ai suoi lavori: la partecipazione del grande maestro alle prove e la sua presenza alle rappresentazioni suscitava molto l'interesse del pubblico. Puccini era molto più interessato alla qualità che alla quantità e infatti scrisse soltanto dodici opere. Anche se in alcune delle sue musiche si possono notare influssi di compositori tedeschi, francesi e austriaci, egli in realtà non si spinse mai troppo lontano dalle sue radici melodiche italiane e dalle suggestioni della sua nativa Toscana.
( http://www.arena.it/ita/front/documenti/bio/puccini.htm )
Si delinea così un percorso che, tenendo fermo il primato del canto e della comunicazione col pubblico, va dalla modernità scapigliata dei primi lavori alla modernità novecentesca degli ultimi, all'insegna di un aggiornamento continuo che fa di Puccini il protagonista più inquieto della fase crepuscolare dell'opera italiana. Già nelle Villi, nonostante la tradizionale struttura a numeri, il rilievo della componente strumentale porta a risolvere il lato più favoloso della vicenda in momenti puramente sinfonici (L'abbandono e La tregenda), nei quali si può individuare l'antecedente dell'intermezzo sinfonico tipico delle opere italiane di fine secolo; non senza un aggancio al Mefistofele boitiano e un tono blasfemo di matrice scapigliata nella componente magica delle scene finali. Solo con Manon Lescaut il compositore esercitò un controllo totale sull'opera, a partire dal libretto, nel quale pretese l'omissione di qualsiasi aspetto consolatorio, in vista dell'esito pessimistico del destino della protagonista. Inaugurò inoltre una partitura in cui la melodia è distribuita in modo calcolato tra voci e strumenti e intessuta di motivi conduttori, rievocati nel corso dell'opera quasi per automatismo o per pura necessità costruttiva. Un tessuto musicale nel quale trovano spazio anche citazioni da lavori precedenti (come i Tre Minuetti per quartetto d'archi del 1890 e il Kyrie della Messa, trasformato in un "madrigale", impiegati per la leziosa atmosfera settecentesca dell'atto II) o reminiscenze stilistiche (come quella del Tristan wagneriano nel duetto d'amore Manon/Des Grieux).
Il modello di Manon rimase sostanzialmente immutato nelle tre opere successive. Nella Bohème conobbe un incremento della componente discorsiva sulla scia del Falstaff, sia nel tono di conversazione del libretto, sia nella frammentazione della musica in entità minime, continuamente ricomposte mediante una tecnica rievocativa culminante nella sintesi motivica e drammatica dell'ultimo quadro. In Tosca il modello si prestò alla rivisitazione morbosa e decadente delle relazioni conflittuali tra il tenore Cavaradossi, il soprano Tosca e il baritono Scarpia (alla cui "mostruosità" Puccini dedicò particolare attenzione), inserite nella ricostruzione musicale realistica dell'ambiente ecclesiastico e patrizio della Roma di inizio Ottocento.
In Madama Butterfly consentì a Puccini di affrontare, da una prospettiva piccolo borghese paludata in modo esotico, la tragedia della passione d'amore sullo sfondo delle relazioni tra Oriente e Occidente. Il modello dell'opera pucciniana venne invece sottoposto a revisione radicale con La fanciulla del West, lavoro nel quale il compositore ripensa anche l'impianto dell'opera italiana: il canto abbandona quasi completamente le forme strofiche e inclina verso il "parlato" in una serie graduata di soluzioni; l'orchestra istituisce con la parte vocale un rapporto complesso, sostenendola con brillanti soluzioni timbriche e con una trama armonica molto ricca e musicalmente avanzata, nella quale riveste un ruolo primario anche la scala per toni interi. Procedendo su questa linea. nel Trittico la drammaturgia pucciniana sfocia in uno spettacolo costruito per grandi blocchi. ciascuno dei quali coerente in se e concorrente a determinare un insieme poliedrico di momenti ora realistici, ora tragici. ora grotteschi. ora comici. Un insieme eterogeneo che in Turandot verrà serrato nella cornice scenografica e cerimoniale in cui, con distacco sentimentale. il musicista iscrive la vicenda favolosa della principessa crudele. E proprio in quest'ultima opera Puccini affiderà al tono patetico di Liù e allo slancio lirico di Calaf anche il tentativo di riformulare in un clima moderno le costituenti più spiccate del proprio stile.
Integrazione della presente elaborazione con le note per lo stesso argomento dalla conferenza del Gennaio 2004 “Appunti di Mario Mainino per serata TURANDOT per Amici delle Muse Vigevano”
Puccini e Schoenberg [citazione]Il grande Maestro viennese cita Puccini una sola volta nel suo importante manuale d’armonia, Harmonielehre del 1911, e lo fa a proposito dell’uso degli intervalli di quarta che permettono, su una serie di accordi, di contenere tutti i 12 suoni della scala cromatica. Schoenberg ha nei confronti di Puccini un atteggiamento di rispetto, troppa la lontananza culturale e la forma mentis dei due perché vi sia apprezzamento. E’ risaputo che alla prima esecuzione italiana del Pierrot lunaire, a Palazzo Pitti a Firenze, nell’aprile del 1924, è presente Puccini. Oltre a Puccini vi è Casella, nessun altro compositore italiano, ciò dimostra almeno la curiosità e il desiderio di conoscenza di Puccini, il quale, a differenza di Casella, non afferra la complessità della partitura schoenberghiana (ma c’è di mezzo una generazione fra Puccini e Casella), almeno si mostra interessato, così come lo era alla musica di Strauss, Ravel e Stravinski Il fatto che il Pierrot lunaire appaia strano a Puccini è significativo del suo modo di pensare la musica legato al sistema tonale, ma non è un mero pensiero conservatore, deriva dal fatto che il sistema tonale, proprio in quanto consolidato sistema segnico in grado di veicolare una comunicazione diretta, è l’unico che può essere utilizzato nella musica per teatro, senza far perdere di vista il racconto della storia e l’espressività dei personaggi. Puccini aggiorna il suo linguaggio (tonale) e soprattutto la sua tavolozza orchestrale, ma si ferma su una soglia oltre la quale il rischio di perdere in comunicatività è alto. |
Come spesso accade l’opera, il risultato del lavoro dell’artista è superiore alla figura del proprio creatore, il quale mostra debolezze umane, incertezze culturali e ambiguità sociali. Puccini non era un uomo di cultura e questo, in un momento storico dove l’arte diventa sempre più un’arte intellettuale, lo pone al margine di relazioni che avrebbe potuto (e forse dovuto) coltivare.
Dal punto di vista musicologico e della critica giornalistica il “caso Puccini” è stato più complesso, ma c’è una data che possiamo utilizzare quale spartiacque, il 1958, centenario della nascita del Maestro; prima sembrava che Puccini fosse troppo popolare perché se ne dovesse occupare la musicologia accademica (2), dopo è iniziato un crescente interesse, anche se la musicologia non ha saputo (come spesso le succede) interloquire con il pubblico, rimanendo nella stretta cerchia degli addetti ai lavori. Non è un caso che fra i primi a interessarsi con intelligenza del fenomeno Puccini siano stati i letterati, (3) come Debenedetti, Siciliano, Arbasino, Baldacci, in grado di cogliere quel surplus espressivo che la musica di Puccini emana e che a molti musicologici dava fastidio.
Si tratta di una combinazione fra la tecnica italiana della reminiscenza (un tema ritorna testualmente nel corso dell’opera a rievocare situazioni passate che a quel tema erano state collegate) e la tecnica tipicamente wagneriana dei Leitmotive (elementi non solo melodici, ma anche ritmici e timbrici, associati concettualmente a qualche personaggio, a qualche evento o immagine affettiva, che vengono ripetutamente elaborati nel corso della partitura, divenendone il materiale costruttivo): non dunque lo sforzo inane d’impossessarsi di uno stile irripetibile quale fu quello di Wagner,
la frase di sette note con cui la protagonista si presenta al giovane Des Grieux («Manon Lescaut mi chiamo») destinata a divenire un vero ‘tormentone’ melodico dell’opera, nella sua forma originale o in altre derivate, accompagnando le fasi successive del dramma, con un effetto unificante che va oltre la singola scena.
Turandot, novità e consuetudiniTurandot è un’opera moderna. I riferimenti a Debussy e Stravinskij sono evidenti. I biografi c’informano che mentre componeva l’opera, Puccini volle recarsi a Firenze per assistere al “Pierrot Lunaire”. La Turandot di Puccini, è considerata da molti la pietra tombale del melodramma. Opere se ne scriveranno anche dopo fino ai giorni nostri, ma Turandot rappresenta sicuramente la fine di un’epoca. Manifesti, modelli, figurini e costumi originali dimostrano il ruolo e il valore degli aspetti visivi proposti da Giacomo Puccini come chiave della propria opera musicale. L'emozionata visione del mondo, caratteristica del grande musicista lucchese, si concretizza in figure e atmosfere luminose che prima il teatro musicale aveva trascurato. Il risultato di questa esposizione conferma, anche dal versante visivo, il valore fortemente innovativo dell'opera pucciniana. A proposito dei costumi, i più famosi sono di Brunelleschi che li realizzò però per la rappresentazione del 1940 quindi molto dopo la prima del 1926 nonostante fosse stato interpellato proprio lui come costumista ma per altri motivi non ci fu accordo tra le parti e quindi potè realizzarli quando ormai Puccini non li avrebbe mai più visti. |
La posizione della critica ufficialePer lungo tempo dopo la sua morte la fortuna di Puccini fu caratterizzata dalla singolare dicotomia tra il successo decretatogli dalle platee di tutto il mondo e la sospettosa diffidenza della critica (sfociata talora in episodi clamorosi di aperta ostilità con le prese di posizione di Torchi e di Torrefranca). La critica denunciò volentieri, facendo propri gli argomenti mitici degli esponenti di una nuova generazione e di ideali estetici completamente diversi (Pizzetti, Casella, Malipiero, ecc.), la mancanza di respiro culturale e morale del mondo pucciniano e la sostanziale chiusura provinciale della sua arte. Entrambi questi giudizi limitativi sono stati superati da indagini critiche che hanno riconosciuto il ruolo centrale svolto da Puccini nella cultura musicale italiana ed europea del primo Novecento. Bibliografia B. Adami, Il romanzo della vita di G. Puccini, Milano 1944; P. Gadda Conti, Vita e melodia di G. Puccini, Milano 1955; A. Marchetti, Puccini com'era, Milano 1957, 133-136 e 172; G. Sartori, Giacomo Puccini, Milano, 1958; C. Hopkinson, A Bibliography of the Works of Giacomo Puccini, New York, 1968; A. Titone, Vissi d'arte. Puccini e il disfacimento del melodramma, Milano, 1972; G. Juon, Le vacanze ticinesi di Puccini, in “Il Dovere”, Bellinzona 8 XI 1972, 3; Puccini. 276 lettere inedite, (a cura di G. Pintorno), Montecatini, 1974; A. Marchetti, Operisti celebri nel Ticino in “Almanacco della Croce Rossa Svizzera 1977”, Berna 1977, 70-75. M. Girardi, Puccini. La vita e l'opera, Roma, 1989 |
Per esotismo si intende in generale un fenomeno culturale che esalta e imita alcune forme e suggestioni di paesi lontani.
Questo movimento affonda le sue radici molto lontano nel tempo, infatti fin dall’epoca medievale e grazie all’influenza dei bizantini in Europa regnava il gusto per motivi ornamentali orientali. Il fenomeno crebbe poi nel corso dei secoli, dall’epoca del colonialismo fino al ‘700 per culminare poi nel periodo Romantico e oltre, fino alla prima metà del XX secolo.
Si tratta quindi di un movimento culturale che è stato sicuramente tra i più importanti, e che si è riflesso non solo nella musica, ma nelle arti in generale.
Non è difficile comprendere il perché di questa vera e propria moda che ha affascinato i nostri antenati: l’Oriente era all’epoca ancora un mondo piuttosto sconosciuto e quella delle civiltà orientali una cultura avvolta nella nebbia fitta del mistero. Rintracciamo le prime influenze esotiche nella musica fin dal XVIII secolo, quando l’Oriente diventò fonte di ispirazione per l’opera buffa e sul piano musicale si diffuse sempre di più il filone delle turcherie. Il compositore cercava quindi di ricreare suoni esotici utilizzando particolari armonie e strumenti fino ad allora poco utilizzati. Abbondavano dunque armonie aumentate e diminuite e si diffonde l’utilizzo dell’ottavino, del triangolo, dei piatti e della grancassa.
ESOTISMO
L'esotico in pittura ha poi influenzato molti pittori post-impressionisti, fra i quali Van Gogh e Gauguin.
Anche nella musica si rintracciano influenze e suggestioni esotiche, già dal XVIII secolo, fra le cosiddette 'turcherie' settecentesche, o gli 'ispanismi' e 'arabismi' ottocenteschi.
Va ricordato a tale proposito l'enorme successo e il fascino che tuttora accompagna talune opere liriche dalla ambientazione esotica, come Madama Butterfly o Turandot di Giacomo Puccini.
A partire dai racconti di viaggio in estremo oriente di Marco Polo narrati nel suo Il Milione.
https://www.rodoni.ch/busoni/opere/turandot/kiiminglo.htm
Altoum spricht: Zwar sagt man von der Jungfraun schönem Chor (GOETHE, Festzug)1 | Altoum parla: Dall'Estremo Oriente, sì dal più lontano Appare Altoum, un monarca del palcoscenico, La favola lo ha posto sul trono, Dotato di molti splendori e splendori; Ma più glorioso risplende della corona e dello scettro Al suo fianco c'è la figlia Turandot. È vero che dicono che le vergini hanno un bel coro I cuori sono tutti misteriosi; Ma ha uno spirito molto sottile Così tanti enigmi mi hanno messo in testa, Molti pretendenti sono falliti. (GOETHE, spettacolo)1 |
Topics Music, Music -- China -- History and criticism
Publisher Shanghai, Statistical Dept. of the Inspectorate General of Customs
Collection cornell; americana Contributor Cornell University Library Addeddate 2009-11-01
https://archive.org/details/cu31924067290001/page/n27/mode/2up
Anonimo Canzone del Gelsomino
(millenaria canzone popolare citata da Giacomo Puccini in Turandot
nel coro dei ragazzi del I atto "La su i monti dell'est")
https://www.jstor.org/stable/741338
Opera: Turandot. Musica: Giacomo Puccini. Libretto: Giuseppe Adami, Carlo Simoni
vedi https://semprelibera.altervista.org/giacomo-puccini/turandot/in-questa-reggia/
Riccardo Viagrande 21 Febbraio 2019 Approfondimenti, PUCCINI Giacomo
Giacomo Puccini (1858-1924): “Turandot” (1926)
https://www.gbopera.it/2019/02/giacomo-puccini-160-turandot-1926/
COMMEMDIA DELL'ARTE Le Turandot di Puccini e Busoni in rapporto alla fiaba teatrale del Gozzi. Alcune mie considerazioni
https://www.gbopera.it/2019/02/giacomo-puccini-160-turandot-e-alcuni-dei-suoi-finali/
https://soundcloud.com/gbopera/giacomo-puccini-160-turandot-il-finale-di-franco-alfano-1926
https://semprelibera.altervista.org/giacomo-puccini/turandot/il-tormentato-finale-di-turandot/
https://www.operaeducation.org/gallery/turandotdispensainsegnatilow.pdf
https://soundcloud.com/gbopera/giacomo-puccini-160-turandot-il-finale-di-franco-alfano-1926
“Per tutti coloro che hanno studiato l’originale finale di Alfano, non c’è il più pallido dubbio che rappresenti un organico pezzo di musica e il più logico nel suo sviluppo verso il punto culminante del climax. Esso è di gran lunga superiore e si avvicina molto di più all’intenzione di Puccini di quello che abbiamo sentito finora. Mi sembra inconcepibile che future produzioni dell’opera possano essere messe in scena senza l’autentica versione del completamento di Alfano”. [Mosco Carner,biografo pucciniano]
"Mancano negli appunti di Puccini indicazioni precise per l’assolo di Turandot Del primo pianto nel quale la donna si dichiara vinta dall’amore e che nei due finali sostanzialmente coincide eccezion fatta per la scelta di creare in quello originale, con grande senso teatrale, un climax sulla parola «vinta» in modo da accentuare la sconfitta di Turandot, donna ormai completamente vinta dall’amore." [Riccardo Viagrande]
Questo finale nel quale vi erano alcune parti integralmente sue su versi aggiunti si trova su Reg. Decca del 1989.
"abitualmente eseguito, è una sbrigativa conclusione dell’opera che, rispetto all’originale lavoro di Alfano, non perde soltanto ben 110 battute e alcune parti del libretto scritte appositamente, ma svilisce anche quel duetto tra Calaf e Turandot che per Puccini era il momento culminante del suo ultimo capolavoro."
"Molto belle erano, invece, nella parte purtroppo tagliata da Ricordi e Toscanini, le 16 battute (Presto con fuoco) aggiunte da Alfano che seguivano il bacio e che puntavano ad evidenziare l’orgoglio ferito della principessa."
[Riccardo Viagrande]
Scritto nel 2001 (prima esecuzione a los Angeles nel 2002) e ripreso alla Scala nel 2015 in occasione dell’inaugurazione dell’Expo sotto la direzione di Riccardo Chailly. A Torre del Lago fu eseguito solo nel 2021. "[Riccardo Viagrande]"
(Vedi https://www.gbopera.it/2019/02/giacomo-puccini-160-turandot-e-alcuni-dei-suoi-finali/ )
Turandot: la trama dell'opera, tra un principe pirlone e donne con scarsa autostima
Perché Turandot non vuole sposarsi?
Turandot nel frattempo si confida con l'altra schiava Zelima: non accetta l'idea del matrimonio perché considera gli uomini tutti come intimamente traditori, pronti a trattare le donne come schiave e a tenerle deboli e sottomesse e quindi vuole risolvere a tutti i costi l'enigma del principe.
Chi era Liu nella Turandot?
La portatrice dell'amore. Liù è la serva fedele, è la bontà, rappresenta i buoni sentimenti, la dedizione e l'amore puro, senza compromessi, senza richieste. È lei che fa vacillare Turandot, è lei che le mostra cosa sia l'amore, non Calaf.
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Finito di realizzare nel maggio 2024 da @Mario Mainino