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      Seconda Casa di Reclusione di MilanoCarcere di Bollate(MI)
 Mercoledì 5 giugno 2013 ore 19:00 Organizzato da Iniziative culturali pro 
      detenuti Fotoservizio autorizzato dal Ministero 
       
       Tra Dante e Ibsen Monologo ideato e interpretato daJOHN ALEXANDER PETRICICH
 
       
        
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          http://www.carcerebollate.it/primaversione/index.htm 
           
          La Seconda Casa di Reclusione di Milano-Bollate 
          viene inaugurata nel dicembre del 2000 come Istituto a custodia 
          attenuata per detenuti comuni (secondo il disposto dell'art. 115 del 
          dpr 231\2000). La politica dell'Amministrazione penitenziaria dei 
          circuiti penitenziari differenziati prevede per ogni tipologia di 
          detenuti una risposta punitiva differente, bilanciando l'aspetto 
          punitivo e quello rieducativo della pena, in un ventaglio di opzioni 
          che va dal regime del "41 bis" all'alta sicurezza, al circuito dei 
          detenuti comuni, e infine, alla custodia attenuata per 
          tossicodipendenti e per detenuti comuni non pericolosi socialmente e 
          all'esecuzione penale esterna (lavoro all'esterno e misure alternative 
          alla detenzione). L'Area educativa dell'istituto si 
            compone attualmente di 5 educatori, 3 esperti psicologi (ex art. 80 
            o.p.) e un gruppo di assistenti sociali referenti dell'Ufficio 
            Esecuzione Penale Esterna di Milano e Lodi. Dall'aprile 2006 - in 
            ottemperanza a quanto previsto dalla Legge Regionale 8 del 2005 - 
            sono presenti 4 agenti di rete, operatori destinati a farsi carico 
            dei rapporti tra l'istituto e l'ambiente esterno. All'Area sono 
            assegnate anche 5 unità di polizia penitenziaria che lavorano presso 
            la Segreteria Educativa, per il disbrigo delle pratiche 
            amministrative inerenti l'osservazione e trattamento. Nell'area è 
            attivo un Ufficio ASL Unità Operativa Area Penale e Carcere che, a 
            seguito di un protocollo siglato con l'Amministrazione 
            Penitenziaria, prende in carico dei detenuti tossico/alcooldipendenti. 
            Chiunque intenda organizzare manifestazioni o eventi all'interno 
            della II^ Casa di Reclusione di Bollate dovrà avanzare richiesta 
            alla Direzione con l'indicazione e le modalità dell'evento, indicare 
            il tipo di spettacolo, i protagonisti, l'elenco delle attrezzature 
            da introdurre nonchè l'elenco degli organi di stampa, segnalando 
            anche l'eventuale partecipazione della comunità esterna. La 
            Direzione valutata la richiesta, i tempi e gli spazi per 
            l'effettuazione della manifestazione/evento, chiede le seguenti 
            autorizzazioni: al Presidente del Tribunale di Sorveglianza per 
            l'ingresso della comunità, al Provveditorato Regionale 
            dell'Amministrazione Penitenziaria per l'iniziativa ed ai Superiori 
            Uffici Ministeriali (Detenuti e Trattamento – Stampa) per il 
            coinvolgimento dei detenuti all'evento e per l'ingresso degli organi 
            di stampa. Quando i tre Uffici autorizzano l'ingresso, si procede 
            all'organizzazione interna, ovvero alla scelta dei detenuti 
            (Commissione cultura seleziona i partecipanti), si informano i 
            coordinatori sulle modalità da adottare. |  
          | Programma: Dante Alighieri La divina commedia - Canto V dall'InfernoH.Ibsen La Tomba del Guerriero
 W.Skakespeare La tempesta
 
 Seguono immagini della serata:   |  
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          |  |  Note: Stralci dal programma 
 
        InfernoCANTO V
 
 Così discesi del cerchio primaio
 giù nel secondo, che men loco cinghia,
 e tanto più dolor, che punge a guaio. 3
 
 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
 essamina le colpe ne l'intrata;
 giudica e manda secondo ch'avvinghia. 6
 
 Dico che quando l'anima mal nata
 li vien dinanzi, tutta si confessa;
 e quel conoscitor de le peccata 9
 
 vede qual loco d'inferno è da essa;
 cignesi con la coda tante volte
 quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12
 
 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
 vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
 dicono e odono, e poi son giù volte. 15
 
 «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
 disse Minòs a me quando mi vide,
 lasciando l'atto di cotanto offizio, 18
 
 «guarda com'entri e di cui tu ti fide;
 non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
 E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride? 21
 
 Non impedir lo suo fatale andare:
 vuolsi così colà dove si puote
 ciò che si vuole, e più non dimandare». 24
 
 Or incomincian le dolenti note
 a farmisi sentire; or son venuto
 là dove molto pianto mi percuote. 27
 
 Io venni in loco d'ogne luce muto,
 che mugghia come fa mar per tempesta,
 se da contrari venti è combattuto. 30
 
 La bufera infernal, che mai non resta,
 mena li spirti con la sua rapina;
 voltando e percotendo li molesta. 33
 
 Quando giungon davanti a la ruina,
 quivi le strida, il compianto, il lamento;
 bestemmian quivi la virtù divina. 36
 
 Intesi ch'a così fatto tormento
 enno dannati i peccator carnali,
 che la ragion sommettono al talento. 39
 
 E come li stornei ne portan l'ali
 nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
 così quel fiato li spiriti mali 42
 
 di qua, di là, di giù, di sù li mena;
 nulla speranza li conforta mai,
 non che di posa, ma di minor pena. 45
 
 E come i gru van cantando lor lai,
 faccendo in aere di sé lunga riga,
 così vid'io venir, traendo guai, 48
 
 ombre portate da la detta briga;
 per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
 genti che l'aura nera sì gastiga?». 51
 
 «La prima di color di cui novelle
 tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
 «fu imperadrice di molte favelle. 54
 
 A vizio di lussuria fu sì rotta,
 che libito fé licito in sua legge,
 per tòrre il biasmo in che era condotta. 57
 
 Ell'è Semiramìs, di cui si legge
 che succedette a Nino e fu sua sposa:
 tenne la terra che 'l Soldan corregge. 60
 
 L'altra è colei che s'ancise amorosa,
 e ruppe fede al cener di Sicheo;
 poi è Cleopatràs lussuriosa. 63
 
 Elena vedi, per cui tanto reo
 tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
 che con amore al fine combatteo. 66
 
 Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
 ombre mostrommi e nominommi a dito,
 ch'amor di nostra vita dipartille. 69
 
 Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
 nomar le donne antiche e ' cavalieri,
 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72
 
 I' cominciai: «Poeta, volontieri
 parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
 e paion sì al vento esser leggeri». 75
 
 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
 più presso a noi; e tu allor li priega
 per quello amor che i mena, ed ei verranno». 78
 
 Sì tosto come il vento a noi li piega,
 mossi la voce: «O anime affannate,
 venite a noi parlar, s'altri nol niega!». 81
 
 Quali colombe dal disio chiamate
 con l'ali alzate e ferme al dolce nido
 vegnon per l'aere dal voler portate; 84
 
 cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
 a noi venendo per l'aere maligno,
 sì forte fu l'affettuoso grido. 87
 
 «O animal grazioso e benigno
 che visitando vai per l'aere perso
 noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90
 
 se fosse amico il re de l'universo,
 noi pregheremmo lui de la tua pace,
 poi c'hai pietà del nostro mal perverso. 93
 
 Di quel che udire e che parlar vi piace,
 noi udiremo e parleremo a voi,
 mentre che 'l vento, come fa, ci tace. 96
 
 Siede la terra dove nata fui
 su la marina dove 'l Po discende
 per aver pace co' seguaci sui. 99
 
 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
 prese costui de la bella persona
 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102
 
 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
 mi prese del costui piacer sì forte,
 che, come vedi, ancor non m'abbandona. 105
 
 Amor condusse noi ad una morte:
 Caina attende chi a vita ci spense».
 Queste parole da lor ci fuor porte. 108
 
 Quand'io intesi quell'anime offense,
 china' il viso e tanto il tenni basso,
 fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». 111
 
 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
 quanti dolci pensier, quanto disio
 menò costoro al doloroso passo!». 114
 
 Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
 e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
 a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117
 
 Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
 a che e come concedette Amore
 che conosceste i dubbiosi disiri?». 120
 
 E quella a me: «Nessun maggior dolore
 che ricordarsi del tempo felice
 ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. 123
 
 Ma s'a conoscer la prima radice
 del nostro amor tu hai cotanto affetto
 dirò come colui che piange e dice. 126
 
 Noi leggiavamo un giorno per diletto
 di Lancialotto come amor lo strinse;
 soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129
 
 Per più fiate li occhi ci sospinse
 quella lettura, e scolorocci il viso;
 ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132
 
 Quando leggemmo il disiato riso
 esser basciato da cotanto amante,
 questi, che mai da me non fia diviso, 135
 
 la bocca mi basciò tutto tremante.
 Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
 quel giorno più non vi leggemmo avante». 138
 
 Mentre che l'uno spirto questo disse,
 l'altro piangea; sì che di pietade
 io venni men così com'io morisse. 141
 
 E caddi come corpo morto cade.
 
 
        Henrik Ibsen (Skien, 20 marzo 1828 – Oslo, 23 maggio 
        1906)"I guerrieri di Helgeland", 1857
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