Lella Costa, attrice e scrittrice

 

Biografia sintetica

Lella (Gabriella) Costa dopo gli studi in Lettere e il diploma all’Accademia dei Filodrammatici esordisce nel 1980 con il suo primo monologo: Repertorio, cioè l’orfana e il reggicalze. È l’inizio di un percorso che la porterà a frequentare autori contemporanei, a farsi le ossa alla radio, ad avvicinarsi al cosiddetto teatro-cabaret ed a raggiungere il successo divenendo una delle più amate attrici italiane. Nel 1987 debutta con Adlib, monologo con cui inizia anche la sua attività di autrice. Seguiranno Coincidenze, Malsottile, Magoni, (con le musiche originali di Ivano Fossati), La daga nel loden, Stanca di guerra (scritto in collaborazione con Alessandro Baricco), Un’altra storia (con la regia di Gabriele Vacis) e infine Precise Parole, sempre con la regia di Vacis. Lella Costa alterna l’impegno teatrale con rare, ma raffinate apparizioni televisive, indovinate trasmissioni radiofoniche e un costante impegno civile a favore soprattutto di Emergency.

Dopo l’appassionante e appassionata ricostruzione/reinterpretazione dell’Otello di Shakespeare, in Precise Parole, spettacolo che per più di un anno ha portato in tournèe, Lella Costa torna in teatro con un nuovo spettacolo Traviata. L’intelligenza del cuore. Regia di Gabriele Vacis “ben più che un regista, un complice, coautore, corresponsabile”, con il quale Lella collabora da diversi anni.

Incontro Lella Costa dopo il suo spettacolo, le faccio qualche domanda a cui lei risponde con molta disponibilità.
http://www.flashgiovani.it/teatro/t_lellacosta.htm

Come nasce la collaborazione con Gabriele Vacis?

Io seguivo i loro spettacoli, ma avevo sempre pensato che lui lavorasse solo col gruppo, poi, nel ’95 andai a vedere la prima di Novecento e visto come lui era riuscito a rendere un monologo difficilissimo perché è ad altissima qualità letteraria ma non scritto per essere immediatamente teatrale; sono andata da lui e gli ho detto "Va bene, sei fottuto, il prossimo spettacolo lo fai tu!”. E abbiamo cominciato a lavorare con Stanca di guerra. Io ho una stima infinita di Gabriele, che è un personaggio assolutamente privo di ogni civetteria, ha il classico look del prete operaio piemontese, e lo stesso rigore! (I suoi amici più cari lo chiamano infatti Don Vacis, dice ridendo). E io, che ho questa identità di monologante, di cui sono fiera, ma che mi fa correre il rischio di diventare totalmente autoreferenziale, mi trovavo in un periodo terribile ed avevo proprio bisogno di qualcuno che avesse occhio, rigore, progetto, severità; abbiamo provato e siamo una miscela esplosiva perché io sono un po’ cialtrona, concentro tutto, l’ultimo pezzo di copione viene scritto il giorno prima del debutto - siamo un po’ migliorati nel tempo - e lui invece era abituato in tutt’altro modo e gli è piaciuta da pazzi questa trasgressione! Abbiamo una sintonia totale, inoltre quando abbiamo cominciato le prove la prima volta, lui ha acceso il suo computer e sullo schermo il motto che è apparso era “ritmo, tono, volume”: perfetto! Io credo proprio che il teatro sia musica e che debba possedere questa costante qualità metrica, dev’essere ballato dall’inizio alla fine. Soprattutto i monologhi devono essere come delle partiture, ci vuole senso del ritmo, delle pause, dei fiati, devono essere molto danzati, la loro costruzione intrinseca è molto legata alla musica e nel nostro caso, giocando con le scansioni dell’opera, pur non avendo fatto i 3 atti come succede in Traviata- dove ci sono un I e II atto lunghissimi e un III più breve- abbiamo il II atto molto più breve del I.
 

Come lavorate?

Prima leggiamo ciò da cui vogliamo partire, in questo caso Traviata ossia La signora delle camelie di Dumas. Quest’estate ci siamo incontrati e ne abbiamo parlato prima in modo molto libero e poi abbiamo iniziato a lavorarci su: lui si occupa della drammaturgia, della struttura che avrà il testo, monta la successione delle scene e io poi intervengo con pezzi scritti da me o con delle modifiche; è un tipico lavoro di scrittura da palcoscenico. Drammaturgicamente lui costruisce delle “gabbie” per cui io mi sento “protettissima” ma al cui interno ho degli spazi.
In questo spettacolo in particolare sono costretta, in senso positivo, dalle immagini che io commento, sono spazi in cui c’è un ritmo incalzante, e poi c’è la musica…che mi guida, evoca emozioni…

Ti lasci spazio per l’improvvisazione?

Ci sono dei margini, dove non c’è la musica, dove non ci sono le immagini, sono zone “apposite”, molto limitate oltre le quali non ho spazio per farlo. C’è invece improvvisazione costante nel modo di raccontare le cose.

Volevo chiederti cosa ti emoziona di più dello spettacolo

Sicuramente “impudica per passività, indecente per obbedienza” di Pasolini, poesia frutto di un’altra coincidenza perché io ho un’amica che fa la psicanalista, Lella Ravasi, che in questi anni pur non avendomi mai scritto dei pezzi, mi ha dato degli spunti. Ci siamo viste alla fine di settembre e lei mi chiesto di raccontarle qualcosa a proposito di Traviata e io, non so perché, le ho detto che lo spunto da cui siamo partiti per lavorare sono Marilyn e Maria Callas e lei, incredula, mi ha detto “devo mandarti una cosa che ho scritto”. Il pezzo in questione era un articolo che lei aveva scritto tempo prima per una rivista di psicanalisi che si chiamava “sorelline sventate” in cui parlava di Marilyn e Maria Callas ed in questo articolo c’era quella poesia di Pasolini e per me era perfetta per il finale. Mentre il riferimento alla "bellissima bambina” deriva da un racconto di Truman Capote che avevo letto tanti anni fa che mi era sempre rimasto nel cuore e che mi sembrava adatto al senso che volevo dare a quel pezzo.
Era interessante, poi, come tema e come provocazione il dimostrare, lo svelare come tutto ciò che viene detto e che è così profondamente femminile derivasse da uno sguardo maschile, perché non è vero che lo sguardo maschile è solo capace di corrompere tant’è che a volte sono più bravi loro a raccontarci che noi stesse.
Infatti non credo che lo spettacolo venga percepito in generale come ostile dagli uomini anche se c’è un “invito forte” ad assumersi le proprie responsabilità: io ce l’ho con la mancata elaborazione in quel senso, che non passa certo attraverso il pagamento di 2 ex prostitute, decise a cambiare vita, con 5 milioni l’una, da parte del Presidente del Consiglio, che non ha fatto altro che fare ciò che avevano fatto tutti gli altri uomini prima di lui, cioè pagarle. Così non c’è redenzione ma solo martirio pubblico.

Come si può cambiare questo stato di cose?

Secondo me si può cambiare solo con quello che si chiama lavoro culturale, che non si fa con le leggi, ma solo se c’è un’inversione di comportamenti quotidiani, che passa attraverso una assunzione di responsabilità, femminile sicuramente, ma soprattutto maschile di tutti quelli che non si riconoscono in quei comportamenti, che quelle cose non le fanno, che anzi danno loro un po’ fastidio ma che alla fine non lo dicono perché tanto…

Tanto è normale…

Sì, e comunque non li riguarda.
Non so in occasione di quale ennesimo stupro spaventoso che un giornale femminile mi ha chiesto se firmavo un appello contro gli stupratori, e io ho risposto che di appelli contro gli stupratori non ne firmo più, “si è mai sentito dire che le vittime firmano un appello contro i loro aguzzini?Che li firmino gli uomini gli appelli contro gli stupratori”. E da lì ho cominciato a pensare che questa cosa prima o poi la volevo dire.
Oltretutto, neanche a farlo apposta, debutto con questo spettacolo in un periodo in cui non si parla d’altro che di case chiuse, di leggi vergognose sulla regolamentazione della prostituzione, di calciatori…
C’è un’enorme coda di paglia perché in Italia la prostituzione non è reato però è reato tutto quello che gli sta intorno e ho addirittura sentito dire che la gestione della prostituzione dovrebbe essere affidata a delle cooperative senza fini di lucro, che so…Ong, Onlus, ma, dico, fate i comici?
Tutto questo perché non si vuole intervenire sui clienti, però, quando (forse sbagliando, perché io non sono per la repressione, nè per il proibizionismo), provando ad equiparare, a livello di fenomeno sociale, la prostituzione al commercio di droga, si interviene sugli spacciatori ma anche sui clienti, nel senso che si ritiene che debbano avere una qualche forma di recupero sociale, beh, nel caso della prostituzione no, i clienti vanno tutelati comunque, al massimo gli danno la multa perché intralciano con l’auto…
Bisogna risolvere questa contraddizione in modo esplicito, possibilmente con un filo di autoironia; ma ditelo che questa è una trappola perché gli uomini hanno bisogno di poter dire almeno se pago nessuno mi può dir niente, pur di non mettersi in gioco, pur di non essere passibili di rifiuto, e ci sono anche innegabili corresponsabilità delle madri perché se la loro identità femminile passa attraverso il fatto di essere “la madre di…” per forza scusi tuo figlio stupratore o sfruttatore che sia, altrimenti denunciandolo perdi la tua unica identità.


S.P.


Cosa significa trasporre in un libro il testo di uno spettacolo teatrale?

È la seconda raccolta di testi che pubblico con Feltrinelli, la prima è uscita nel '92 e si chiamava La daga nel loden. Col tempo ho capito che forse sbaglio quando penso (ma lo penso ancora un po'...) che un testo teatrale debba vivere unicamente in teatro: non è fatto solo di scrittura, ma di pause, interpretazioni, presenza, ecc. È quindi un testo che mi sembra debba essere "detto". Quando si scrive per il teatro, per lo meno io quando scrivo con i miei autori, non scrivo per essere "letta", ma per dire, per raccontare. La tecnica è molto diversa, proprio come suono, come metrica, come scansione. Però mi rendo anche conto che spesso, soprattutto in spettacoli "pieni di parole" come sono i miei, può far piacere avere un testo da andare a rileggere, per ritrovarne alcune parti. Direi che è più un'operazione di documentazione, che non letteraria. Sono un po' scettica rispetto alla qualità letteraria dei miei testi.

Si tratta della trasposizione esatta dei testi degli spettacoli?

S ì. Magari abbiamo fatto qualche piccolo intervento per rendere più leggibile una versione che, parlata, vive di interruzioni, mimica, pause, gag, musiche, situazioni che richiederebbero una spiegazione. Ovviamente non abbiamo inserito le parti che sono puro "mimo". Non ha senso descrivere questi spezzoni dello spettacolo: è un modo per interrompere la lettura e comunque non può dare l'idea della realizzazione scenica.

Lei scrive con molti altri autori, tra i quali Baricco, che cita nell'Introduzione. Com'è stata la collaborazione con lui?

È stata una collaborazione che si è svolta esattamente come l'ho scritta. Sono rimasta incantata da lui quando faceva una trasmissione alla radio nel '92 e poi, naturalmente, ho letto i suoi libri... E ho trovato in lui una caratteristica che a me piace molto e che reputo un po' "di famiglia". Per carità, lui scrive molto meglio, ovviamente... Una specie di contiguità tra la scrittura malinconica, seria, profonda o addirittura drammatica e quella ironica. C'è in lui sempre un guizzo satirico, un giocare con le parole che mi piace molto. Ho cominciato così a chiedergli se mai avrebbe scritto qualcosa per me, e dopo alcuni anni ce l'ho fatta! È stato un bell'incontro. So che è un personaggio molto discusso, o troppo amato o assolutamente detestato. Sul piano personale posso garantire che è un amico delizioso. Per me soprattutto il suo contributo in Stanca di guerra è stato fondamentale perché ha scritto la storia che mi mancava. Non sono molto brava a scrivere storie, lui lo sa invece fare in modo straordinario.

Ha intenzione per il futuro di scrivere un testo esclusivamente letterario?

N o. Non credo di esserne capace e non credo che ce ne sia bisogno. Credo che sia già un privilegio enorme capire che cosa si sa fare nella vita... Non solo saper recitare, ma addirittura scrivere per recitare mi sembra veramente un grande dono, una grande soddisfazione e realizzazione. Mi rendo conto che può sembrare un po' patetico e velleitario, ma sono anche convinta che le cose vadano fatte perché se ne sente una qualche forma di necessità, un'urgenza di dire, di raccontare, di esprimere un'idea, che magari non è un concetto epocale, intendiamoci. Ho sempre fatto gli spettacoli partendo da questo presupposto. E credo che sia un "messaggio" che arriva con chiarezza al pubblico. Per me il teatro non è un pretesto per esibirmi, ma la voglia di esprimere qualcosa di cui avevo quasi la necessità di parlare. Viceversa non sento un bisogno analogo di esprimermi in modo letterario. Quelle storie, quegli spunti, quegli indizi riesco a comunicarli meglio attraverso il palcoscenico, quindi rassicurerei il mondo dell'editoria che non farò indesiderate incursioni in un campo che non è il mio.

Però immagino che continuerà a pubblicare i testi dei suoi prossimi spettacoli...

V edremo. Magari prima o poi mi piacerebbe anche fare un'operazione diversa. Affrontare, ad esempio, un "classico", non tanto con riletture del testo, ma partendo da un'altra chiave interpretativa (chiave presente anche in Stanca di guerra e nell'ultimo spettacolo Un'altra storia), cioè andando a prendere testi classici senza trasporli o riscriverli, ma lasciandoli come sono e da lì prendere lo spunto per andare a vedere "altro": vedere quanto ancora ci riguarda, quanto si possano raccontare e quanto siano ancora parte della nostra vita. Per cui magari (perché no?) prima o poi si potrebbe pensare di affrontare proprio un testo nella sua complessità. Ma, come diceva Humphrey Bogart in Casablanca, "non faccio mai programmi con tanto anticipo".

Lei ha un testo, un libro "della vita", o alcuni libri "memorabili", che hanno segnato il suo percorso di lettrice?

N e parlavo proprio l'altra sera con Serena Dandini, con la quale ho fatto una puntata della trasmissione televisiva Comici: è proprio difficile dire qual è il film o qual è il libro della tua vita. Perché si sedimentano nella memoria e rimangono lì, finché ne incontri altri e te li dimentichi. Ho una passione assoluta per le poesie di Eliot, che per me sono una sorta di viatico, e permangono sempre sul comodino (non per nulla in ogni mio spettacolo c'è una citazione da Eliot). Ed è un fatto bizzarro, perché si tratta di un autore che non c'entra niente con me, con la mia storia. È una fascinazione che non passa attraverso la razionalità o la presa di posizione. Ho tra i miei amori anche Il piccolo principe, Il giovane Holden (che secondo me è un libro di formazione ed è un suggerimento che mi viene da dare soprattutto a chi è più giovane) e tantissimi autori: da Baricco, al García Márquez di Cent'anni di solitudine, Daniel Pennac, Stendhal o sicuramente Flaubert, ma non riesco a dire "questo è il libro della mia vita" se si escludono, appunto le poesie del mio amatissimo Eliot, che mi seguono un po' dovunque.

Intervista a cura di Giulia Mozzato  http://www.alice.it/cafeletterario/interviste/costa.html

La magica finzione della parola parlata 
http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/lcosta.html

Intervista a Lella Costa cura di  Nadia Scardeoni


Incontriamo Lella Costa in una pausa fra un dibattito della "Città delle donne" e le prove per: "Pierina e il lupo" e giocoforza, ci immergiamo dentro tutte le vibrazioni che il mondo del teatro ci evoca. Siamo soprattutto felici che ci sia stato un Protocollo di intesa fra il Ministro della Pubblica Istruzione ( Lombardi ) e l'Ente Teatrale Italiano che mira ad estendere l'esperienza teatrale dentro le mura scolastiche. Laddove spesso regna il silenzio della soggettività, il silenzio relazionale, il silenzio della parola donata, l'esperienza teatrale, condotta secondo le modalità che ne tutelano la grande valenza psicopedagogica, apre alla creatività, alla comunicazione di sé, all'intersezione dei linguaggi dell'arte per fondare un tessuto comunicativo di cui tutta l'azione educativa e formativa può giovarsi fertilmente.
 

Lella Costa, per te che scrivi e fai teatro, quali orizzonti formativi intravedi in questa possibilità che la scuola si è data, a partire dalle tue esperienze?
 

Proprio in questi giorni ho visto che la scuola di mia figlia propone fra i vari corsi extra curriculari un corso di teatro; credo che ciò sia importantissimo e non solo per educare alla recitazione ma soprattutto per un lavoro propedeutico al teatro stesso, che è, ad esempio, l'analisi del testo. Oggi mentre osserviamo che i giovani leggono poco e selezionano esperienze di comunicazione più immediate, più facili e in fondo più passive, l'analisi del testo è utile per soffermarsi, per decodificare, per sentire un altro pensiero, o un'altra parola, rifrangersi nel nostro pensiero.

Inoltre c'è l'aspetto più affascinante del "fare fisicamente teatro" che é progettare gli impianti scenografici, ideare il testo, pensare i costumi, le musiche. E' questa globalità di approccio che mi sembra molto importante perché dà la possibilità di fare anche il teatro che non c'è e quindi non solo di proporsi come interpreti del teatro con la "T" maiuscola. Ciò è fondamentale per scoprire i propri talenti, le proprie vocazioni.

Il teatro è inoltre fantastico perché è trasportabile e non ha bisogno di tecnologie avanzate. Come diceva il mio maestro: "il teatro è una relazione fra uno spettacolo vivente e un pubblico vivente" e credo sia una delle più belle definizioni del teatro. Non importa che cosa ci sta attorno, il teatro è "quella cosa li" che sta accadendo in quel momento.

Io credo che per i giovani, proprio quando stanno attraversando una fase di crescita e di formazione, possa essere come l'apertura di un "mondo" perché riguarda la psicologia comportamentale, riguarda le relazioni con il prossimo, con i genitori, con gli insegnanti, con gli amici e, fondamentalmente, con sé stessi. Ci si rende conto, ad esempio, di quanto ci sia di veramente vero in quello che si fa, quanto di finto ma non di falso. Il teatro é finzione ma non falsità.

Come qualsiasi forma artistica é difficile da descrivere teoricamente: bisogna provare. La sua dimensione più bella é forse questa: "la prova", ciò che si tenta, ciò che si rischia, ciò che si fa.

Sono quindi entusiasta di questo protocollo di intesa perché penso che darà la possibilità a tantissimi bravi professionisti che hanno dato la vita all'insegnamento dell'arte teatrale piuttosto che essere essi stessi interpreti, la possibilità di estendere la loro esperienza ad una utenza più vasta.
 

Potrà essere anche un mezzo privilegiato per rivisitare le proprie radici culturali attraverso le forme particolari del teatro e del folclore dei luoghi in cui si vive. Tu hai detto una cosa importante quando hai accennato al fatto che in questa esperienza si possono scoprire le proprie vocazioni. Non tanto la vocazione al teatro, il che sarebbe normale ma la vocazione che può essere colta comunque, con un mezzo che mette in viaggio all'interno di se stessi attraverso la molteplicità e soprattutto la libertà dei linguaggi, di cui "la parola" é, paradossalmente, la sintesi.
 

Io credo che ci sia, nella parola parlata una forza indicibile. L'ultimo spettacolo che ho fatto si intitola: "STANCA DI GUERRA". Racconta delle storie, anche sui conflitti banali e divertenti del quotidiano, per arrivare a toccare alcuni grandi temi come: l'indicibilità della guerra, il "fascino" della guerra, lo scandalo della guerra.

Il vero scandalo della guerra è che la guerra, con le sue regole, con gli eserciti che vanno da qualche parte a combattere, non si può più fare.

Oggi sappiamo che nelle guerre contemporanee le vittime sono per il 10% militari e tutto il resto: civili. Allora c'è lo scandalo del dover dire: "gli innocenti, i bambini, non devono essere vittime della guerra" e per dire questo, abbiamo usato le parole di Ecuba sul cadavere di Astianatte, parole di straordinaria intensità e commozione: "Avete avuto paura di un bambino ?".

In uno spettacolo per i bambini, nella scuola di mia figlia, senza una scenografia, senza nulla, ho verificato il grande impatto davanti a queste parole. I bambini, infatti, sono in grado di capire che, in qualsiasi epoca, qualsiasi persona può dire qualche cosa che ci identifica come sentimenti, pensieri, emozioni e lo dice in una forma così perfetta che altrimenti non può essere detta. E' nostro compito allora, è nostro piacere conservare e riportare "la parola", esserne testimoni e custodi, al di là della sua riproducibilità "tecnica".

Vivere e comunicare direttamente "la parola", o la propria parola aiuta inoltre, a darci gli antidoti, gli anticorpi verso lo strapotere della telematica; un mondo bello ed affascinante che non deve, tuttavia, diventare l'unico canale di comunicazione possibile.

Non è vero che l'elettronica ci permette di entrare, in tempo reale, in contatto con il mondo. Il mondo è accanto a noi, fuori di casa, sul nostro pianerottolo.
 

Sono due mondi complementari, sono due modalità di comunicazione sostanzialmente opposte. Essere soggetti di comunicazione significa poter interagire con il destinatario, essere in relazione, accettarne la prossimità, la ricchezza e la reciprocità, significa soprattutto coltivare il senso di felicità che solo il comunicare se stessi all'altro, procura......

 

E non solo, c'è anche una grande differenza fra la parola che nasce per essere letta e la parola che nasce per essere detta e ascoltata. Un testo teatrale, ad esempio, letto, può essere interessante ma non c'è paragone coll'essere agito, interpretato. Far risuonare le parole, viverle, ci arricchisce; arricchisce il nostro linguaggio, i nostri sentimenti, ci apre a nuove dimensioni.
 

Il tuo entusiasmo mi obbliga ad una domanda ."Come è nata la tua vocazione al teatro?".
 

In un modo assolutamente bizzarro ed inconsueto. Non sono stata divorata dal sacro fuoco del teatro, stavo facendo altre cose, l'università . Ci sono arrivata per altri percorsi, quasi con la sensazione di essere una clandestina a bordo, ma rendendomi conto, per esempio, che il mestiere dell'attore è un mestiere in cui si può vivere, al minimo, la schizofrenia fra "il mestiere" che si deve fare per campare e il mestiere che si vorrebbe fare nella vita. E' stato un percorso che, inoltre, mi ha consentito di coniugare un mio iter culturale con il teatro che già c'era, facendomi approdare, quasi naturalmente alla scrittura del testo. La mia é una scrittura immediata, scritta per essere detta e non per essere letta. Ciò che mi piace di più di questo mio mestiere è la libertà di poter scegliere che cosa dire, di dirlo in prima persona ed assumere, quindi, la responsabilità di ciò che dico.
 

Oggi, Lella Costa, ha un pubblico che si fida di ciò che lei sa dire.

E fu così che da un corso per addetti ai consultori popolari, negli anni settanta, sperimentando tecniche psicoterapeutiche con i "giochi di ruolo", interpretando magistralmente la storia di una ragazza schizofrenica, Lella Costa venne caldamente incitata a fare teatro.

E noi, come nelle più belle fiabe, ne siamo felici e contenti.

Siamo felici e contenti perché la sua esperienza così singolare ci consente di fruire del dono intatto e sorgivo della sua eloquente "PAROLA PARLATA". Verona, 16 novembre 1996
 

Bibliografia Presente a Festivaletteratura 1997 - 2000 - 2001 - 2002

La daga nel loden, Feltrinelli, 1992
Ciao voialtri, Zelig , 1997
Che faccia fare, Feltrinelli, 1998
In tournée, Feltrinelli, 2002

Link Utili

http://www.festivaletteratura.it/autore2002.php3?autid=451

Intervista (in italiano)

Intervista (in italiano)