Bello, bello, cinque volte bello, lo spettacolo che
Francesco Micheli, l'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano e il
maestro Daniele Pacitti hanno realizzato mercoledì 1 giugno 2005 nella
Sala Grande del Teatro Dal Verme di Milano.
Lo spunto istituzionale per proporre questa iniziativa è arrivato dalla
celebrazione del ricordo della rivoluzione delle "Cinque Giornate di
Milano", il concerto è stato organizzato dalla Fondazione I Pomeriggi
Musicali con il contributo della Regione Lombardia - Assessorato alle
Culture e Identità.
Alle ore 20 già alcuni spettatori erano in attesa dell'apertura delle
porte per aggiudicarsi i posti migliori, visto che l'ingresso era
gratuito e così oltre 400 persone hanno potuto assistere a questa
rievocazione storico musicale "Le Cinque Giornate di Milano, ovvero
cronaca verdiana di una rivoluzione".
Ma sul volantino distribuito non si indicava quale fosse la scaletta dei
brani, molti si chiedevano cosa avrebbero ascoltato, non conoscevano
forse le premesse che hanno portato a queste edizione dello spettacolo
che Francesco Micheli aveva avviato qualche anno or sono e che si avvale
della drammaturgia musicale di Alfonso Caiani.
Il concerto spettacolo non è una tradizionale
scaletta di sinfonie, arie duetti eseguiti dalla A alla Z, anche se in
questa edizione qualche aria quasi completa la si trova. Lo spettacolo
si avvale di un terzetto di cantanti ma, se nelle prime edizioni aveva
solo l'accompagnamento di un violino e di un fisarmonica, strumento
molto amato da Verdi, qui troviamo invece l'Orchestra che è quella dei
Pomeriggi Musicali concertata e diretta da Daniel Pacitti.
Nella versione primigenia l'attenzione era
concentrata esclusivamente su Verdi mentre in questa versione milanese
del 1 giugno al Dal Verme ovviamente mette a fuoco un altro importante punto: la nascita dello spirito risorgimentale,
che viene così
descritta attraverso personaggi famosi e scene di vita popolare:
l'aristocratico e astemio Silvio Pellico che va' in prigione, il
sacrificio dei fratelli Bandiera, la nascita della Giovine Italia di
Giuseppe Mazzini, il Carlo Cattaneo l'unico uomo in grado di guidare
l'insurrezione, lo sciopero del fumo per non pagare il gabello agli
austriaci, le riunioni a "palazzo taverna" per organizzare la rivolta,
il re "tentenna" e via di seguito (consulenza storiografica di Marco Manzoni). Il racconto passa da momenti di ammiccante leggerezza alla
drammatica rievocazione dell'avanzamento delle barricate come.. .. la
foresta di Birmano nel Macbetto.
"Vogliamo innalzare un monumento al Risorgimento,
non di bronzo o di marmo ma un monumento leggero, riempiendo questo
spazio di suoni" così inizia la storia raccontata da Francesco
Micheli, con il 1814 e l'episodio della madre di Verdi che si rifugia
sul campanile per salvare se stessa e il proprio figlio nascondendosi
nel campanile, una piccola donna padana li, in alto, da dove si vede tutta
la pianura, con in braccio il piccolo Giuseppe Fortunino, destinato
forse a cose grandi, magari a conquistare quella lontana Milano che
pensa di intravedere tra le nebbie "tu hai il dovere di
essere grande e di fare cose grandi, hai il dovere di cavalcare la causa
patriottica". La musica dello zotico Giuseppe Verdi, figlio di un
oste e bocciato al Conservatorio, dal carattere scorbutico e
presuntuoso, colora la storia con i brani sapientemente cuciti ed
adattati da Alfonso Caiani e condotti da Daniel Pacitti in un medley che
dura ininterrottamente circa un'ora e trenta minuti.
Sinfonie e preludi in ordine quasi cronologico, da
Oberto a Giorno di regno a Nabucco, o con balzi nel tempo da Ballo in
maschera (Signor qui sono) a Attila (Resti l'Italia a me) e altre grandi
e significative "frasi verdiane" che tanto infiammarono gli
animi.
Verdi si esprime con parole nuove, anzi antiche come
diceva Shakespeare "noi viviamo in tristi tempi" nel suo Re Lear,
progetto a lungo accarezzato a mai portato a compimento.
Francesco Micheli ha una capacità narrativa
che non ha nulla da invidiare agli "attori-narratori" televisivamente
famosi come Marco Paolini o Lella Costa o Maddalena Crippa che hanno
fatto teatro dalla e sulla storia. Il suo intervento ha però in più
l'aggancio alla grande musica di Verdi, e si sente bene come la ama.
Grande musica e grandi interpreti e "non per
galanteria .." iniziamo dal soprano Susanna Branchini una
cantante assolutamente completa, una voce di soprano lirico che passa
agevolmente dai ruoli del primo Verdi (Lombardi, Un giorno di regno)
alla grande drammaticità della Lady (Una macchia è qui tutt'ora) o al
brillante finale atto primo da Traviata (Ah forse lui, Follie..) con una
maestria del canto e una grande bellezza della voce che ci lascia
perplessi su come mai non ci si accorge di lei e non si vede più spesso
questa artista sulle scene italiane importanti, mentre spesso purtroppo
ascoltiamo sue colleghe molto meno meritevoli. Tra i suoi prossimi
impegni segnaliamo la sua partecipazione nel ruolo di Micaela nella
Carmen che sarà allestita al Festival Verdiano al castello di Vigoleno.
Il baritono Haris Andrianos, che aveva gia
preso parte alla prima edizione dello spettacolo, torna a
partecipare come attore nei panni di Giuseppe Verdi, ma
soprattutto come cantante dimostrando la sua ottima dizione,
indispensabile per interpretare una autore che fonda la sua scrittura
sulla "parola scenica", e con la sua bella voce di baritono
chiaro da cui risuonano "Resti l'Italia a me" o l'aria "Cortigiani
vil razza dannata".
La voce di tenore è stata quella del giovane Marco
Ferrari, allievo del maestro Enrico Zucca, finalista a Pavia Lirica
2001, che ha dato voce a Ballo in maschera (Signor qui sono), Macduf (Ah
la paterna mano), e Trovatore (Ah si ben mio). Una buona prova e molto
sicura pensando che si trattava del suo debutto con accompagnamento di
orchestra.
Grande prova del maestro Daniel Pacitti, che
si trova molto a suo agio con la musica verdiana e che, visto gli
interminabili applausi, ha dovuto bissare il preludio da Traviata.